Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24971 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 07/10/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 07/10/2019), n.24971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17573/2017 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 7, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA TROVATO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIZIO RAVAGLI;

– ricorrente –

contro

CH.FR., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato ROBERTO

SARTORI e LORENZO MANFRONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 149/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/03/2017 R.G.N. 24/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/02/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CONCETTA TROVATO;

udito l’Avvocato FEDERICA DEL MONTE per delega Avvocato LORENZO

MANFRONI.

Fatto

FATTI di CAUSA

La Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 149 in data 7 febbraio 2017, pubblicata mediante deposito in cancelleria il successivo 8 marzo, in riforma della pronuncia emessa il 16 luglio 2015 dal giudice del lavoro di Rimini, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato al signor CH.Fr. con lettera del 4 marzo 2014 e condannava la convenuta datrice di lavoro, C.P., quale titolare della ditta individuale ROMAGNA CAR, a riassumere il dipendente entro tre giorni ovvero in mancanza a risarcirgli il danno liquidato nella misura di 3,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari a 2230,79 Euro, oltre accessori di legge nonchè al rimborso delle spese relative a doppio grado di giudizio all’uopo liquidate, dando altresì atto in motivazione di aver operato la riduzione del compenso ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4.

Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado (secondo cui sussisteva la giusta causa del recesso in relazione all’addebito contestato “… Durante il periodo di malattia lei ha svolto lavori di meccanica presso altre officine. Più precisamente ci risulta che il giorno 17 ottobre 2013 si è recato presso un’officina (OMISSIS) dove ha effettuato una sostituzione di una batteria su un autocarro”), ad avviso della Corte distrettuale l’annotazione di servizio contenuta nella relazione investigativa prodotta da parte convenuta, di per sè priva di valore probatorio, risultava così generica da non consentire di desumere univocamente che il Ch. avesse personalmente provveduto a sostituire la batteria e quindi a svolgere attività lavorativa presso la INTERVERVICE S.r.l. di (OMISSIS) il (OMISSIS), come invece preteso dalla datrice di lavoro. Nè la decadenza del ricorrente in primo grado dalle istanze istruttorie testimoniali poteva sopperire al mancato corretto adempimento dell’onere della prova a carico della convenuta parte datoriale. Peraltro, nella specie l’appellante aveva fornito elementi di prova idonei a smentire la ricostruzione dell’accaduto fornita dalla resistente, oggetto della contestazione disciplinare, avuto riguardo ai verbali di sommarie informazioni rese nell’ambito del procedimento penale dai signori F. e P., rispettivamente impiegata presso la ditta INTERSERVICE e amministratore dell’agenzia investigativa. Quest’ultimo, in particolare, aveva dichiarato che quando giunsero a (OMISSIS) il Ch. era già ripartito e che la segretaria della ditta aveva riferito telefonicamente che vi si era recata una persona corrispondente alle caratteristiche fisiche del Ch., a bordo di una Punto nera, la quale era ripartita dopo aver consegnato la batteria di un camion da riparare. Il contenuto delle sommarle informazioni dimostrava come il Ch. si fosse limitato a consegnare la batteria, ma non alla riparazione presso la ditta di (OMISSIS). Ciò portava ad escludere che l’appellante avesse svolto attività lavorativa per conto di terzi durante il periodo di assenza per malattia, così dimostrandosi quindi l’insussistenza in fatto dell’addebito per come contestato. Nessuna ulteriore contestazione era stata mossa da parte datoriale, con riferimento ad esempio alla eventuale idoneità della condotta tenuta dal dipendente, mediante il viaggio (OMISSIS), ad aggravare la malattia o a ritardare la guarigione.

D’altro canto, non era fondata l’eccezione opposta dall’appellata sulla dedotta inammissibilità della produzione dei citati verbali di sommarie informazioni rese nel procedimento penale. Anzitutto era pacifico che Ch. non avesse la disponibilità dei suddetti verbali al momento dell’introduzione del giudizio di primo grado, nè vi era prova certa della disponibilità da parte sua dei suddetti verbali alla data del 23 marzo 2015, anteriore all’ultima udienza del giudizio di primo grado. La missiva del difensore del Ch. nel procedimento penale (inquisito per truffa ai danni della datrice di lavoro) non dimostrava che all’udienza di discussione di primo grado in data 16 luglio 2015 il ricorrente fosse in possesso di copia degli atti del procedimento penale. Dunque, la produzione di tali documenti con il ricorso in appello non poteva ritenersi tardiva. In ogni caso i suddetti verbali sarebbero stati acquisibili d’ufficio ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c., con riferimento al potere dovere del giudice di accertamento della verità da esercitarsi con temperando il principio dispositivo, all’uopo richiamando la Corte felsinea precedenti giurisprudenziali di Cassazione, sezione lavoro, n. 19305 del 29 settembre 2016 e n. 23882 del 9 novembre 2006.

L’insussistenza dell’addebito contestato, così come accertata, determinava l’illegittimità del licenziamento intimato, risultando peraltro pacifica in atti la cosiddetta tutela obbligatoria, con conseguente condanna di parte datoriale a riassumere il dipendente, ovvero a risarcire il danno in ragione di tre mensilità in mezzo dell’ultima retribuzione globale di fatto, tenuto conto del comportamento del dipendente non del tutto consono ai doveri di diligenza e prudenza. La retribuzione globale di fatto era quantificata in Euro 2230,79 come indicato nel ricorso e non contestato da controparte.

Avverso la succitata pronuncia d’appello ha proposto ricorso per cassazione la sig.ra C.P., quale titolare della ditta individuale denominata “Romagna Car di C.P.” mediante atto in data 6 luglio 2017 affidato a sei motivi, cui ha resistito il signor CH.Fr. con controricorso del 14 luglio 2017.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, parte ricorrente assume che la Corte d’Appello aveva del tutto omesso di analizzare la mancata contestazione specifica della relazione investigativa prodotta sin dal primo grado di giudizio da parte convenuta, nonchè di statuire sul punto, secondo cui in data (OMISSIS) lavoratore si era recato a (OMISSIS) e aveva sostituito presso la ditta INTERSERVICE la batteria di un camion (peraltro senza riproduzione testuale ex art. 366 c.p.c., comma 1, dell’anzidetta relazione investigativa, laddove tuttavia lo stesso ricorso nella nota in calce a pagina 10 riporta una sintesi del verbale di udienza 13 gennaio 2015, da cui emerge che il difensore del ricorrente nel contestare la legittimità dell’impugnato recesso osservava che a ben vedere dalla medesima relazione investigativa non si evinceva in alcun modo la prova degli asseriti comportamenti irregolari contestati.

Infatti, il ricorrente mai e in nessuna occasione aveva svolto attività lavorativa per conto di altri durante il periodo di malattia e non. “Il maldestro tentativo di controparte che cerca di provare un fatto de relato senza peraltro indicare nominativo della persona che, secondo la loro fantasiosa ricostruzione, avrebbe confermato lo svolgimento di attività lavorativa da parte del Ch. in (OMISSIS), altro non fa che smascherare il fraudolento comportamento della medesima. Non vi è l’esistenza di alcuna prova atta a suffragare l’assunto di controparte proprio perchè mai ed in nessuna occasione il signor Ch. ha svolto attività lavorativa per conto di terzi durante il periodo di malattia”).

Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, secondo il ricorrente, la Corte d’Appello aveva del tutto omesso di prendere posizione e di richiamare un fatto e decisivo per il giudizio, ovvero la mancata specifica contestazione da parte del lavoratore delle risultanze investigative, oggetto di discussione tra le parti in entrambi i gradi del giudizio. Se infatti il giudice di secondo grado avesse valorizzato la mancata contestazione specifica della relazione investigativa, avrebbe accertato la legittimità del licenziamento considerando assolto l’nere della prova da parte datoriale.

Con il secondo motivo di ricorso, ex art. 360 c.p.c., n. 3, è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, essendo pacifico per la ricorrente che Ch. si recò a (OMISSIS) il (OMISSIS) mettendo a repentaglio il proprio stato di salute ed esponendosi anche ad un aggravamento della sua patologia, all’uopo richiamandosi in più occasioni quanto osservato dalla sentenza di primo grado appellata (in seguito, però, integralmente riformata in secondo grado), secondo cui la condotta tenuta dal dipendente integrava giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c., tenuto altresì conto che nella lettera di contestazione disciplinare in data 24 febbraio 2014 era stato rilevato che la condotta posta del Ch. in data (OMISSIS) era stata posta in essere durante la malattia, ciò che integrava di per sè la violazione dei doveri di correttezza e buona fede, nonchè degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e buona fede. Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia era già di per sè sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione. Infatti, il lavoratore ammalato è tenuto all’obbligo strumentale dell’esecuzione del contratto e di recuperare le energie lavorative, che corrisponde all’interesse del datore di lavoro a che egli guarisca quanto prima e che non si esponga ad aggravamenti della propria patologia, come specificamente già rilevato in tal sensi dal giudice di primo grado. Già soltanto l’allontanamento del Ch. dalla propria abitazione in data (OMISSIS) per recarsi a (OMISSIS), durante la malattia, condotta espressamente e precisamente contestata da parte datoriale, costituiva violazione dei doveri di fedeltà di correttezza. La potenziale influenza del comportamento del lavoratore suscettibile per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotavano scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza, come rilevato dal primo giudicante, citando altresì Cassazione, sez. lavoro, n. 2013 in data 13 febbraio 2012.

Con il terzo motivo di ricorso, ex art. 360 c.p.c., n. 3, è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, lamentandosi l’utilizzazione dei verbali di sommarie informazioni, da parte della Corte d’Appello, con riferimento all’impossibilità di ammettere nuovi mezzi di prova e nuovi documenti in secondo grado, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporre o produrli in primo grado per causa ad essa non imputabile. I suddetti verbali nella specie erano già a disposizione del lavoratore in data 23 marzo 2015, allorchè venne informato dal proprio difensore della conclusione delle indagini preliminari a suo carico per effetto di notifica in data 23 marzo 2015 dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p.. Di conseguenza, nessun dubbio sussisteva sulla conoscibilità in astratto dell’anzidetta documentazione già dal 23 marzo 2015, data anteriore al 16 luglio 2015, udienza di discussione in primo grado, visto altresì che fin dal 24 marzo dello stesso anno vi era stata richiesta di estrarre copia dei documenti contenuti nel fascicolo n. 602/2014 r.g.n.. Quindi, il lavoratore avrebbe potuto produrre i documenti già in pendenza del giudizio di primo grado ed in particolare con il deposito della memoria autorizzata entro il 6 luglio 2015, laddove alla successiva udienza del 16 luglio la difesa del ricorrente aveva soltanto chiesto un breve rinvio, con conseguente decadenza dalla produzione in appello della suddetta documentazione. In ogni caso, la Corte di merito non avrebbe potuto sopperire alla negligenza di controparte, acquisendo d’ufficio il documento in questione, poichè secondo la citata giurisprudenza di legittimità la prova disposta di ufficio costituiva soltanto un approfondimento, ritenuto indispensabile ai fini del decidere, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà processuale. Nel caso di specie, tuttavia, non era mai emerso alcun riferimento al processo penale ed il verbale di sommarie informazioni era del tutto nuovo e non costituiva un mero approfondimento dei fatti di causa.

Con il quarto motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3, è stata lamentata la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, visto che la sentenza di appello non aveva tenuto in considerazione la specifica contestazione sulla quantificazione della retribuzione globale di fatto operata dalla convenuta sin dal primo grado del giudizio, come da atti all’uopo richiamati con riferimento alle memorie difensive di primo grado e di appello. Infatti, il calcolo della retribuzione globale di fatto richiamato dalla Corte distrettuale era errato, poichè corrispondeva al totale delle competenze al lordo indicato nel prospetto paga di marzo 2014. La retribuzione globale di fatto del Ch., assunto con la qualifica di mansioni di operaio di terzo livello c.c.n.l. Metalmeccanici artigianato, risultava pari a Euro 1655,06, di cui 1429,98 per paga base, 119,16 per rateo 138 mensilità e 105,92 per rateo t.f.r..

Non si comprendeva, comunque, per quale motivo la Corte d’Appello non avesse esaminato nè statuito in ordine alla omessa specifica contestazione sulla relazione investigativa per i motivi in precedenza illustrati e per quale motivo invece la stessa Corte avesse esaminato la domanda sulla quantificazione della retribuzione globale di fatto, precisando infondatamente che l’importo indicato dal lavoratore non era stato contestato. Pertanto, i giudici di secondo grado avevano violato il principio di cui all’art. 115 c.p.c., basando la propria decisione su fatti asseritamente non contestati, quando invece medesimi fatti – quantificazione della retribuzione globale – erano stati oggetto di specifica e particolareggiata contestazione da parte della difesa della convenuta.

Con il quinto motivo di ricorso è stato denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la sentenza di appello mancato di esaminare la domanda relativa all’aliunde perceptum sollevata sin dal primo grado di giudizio, come da pagine 10 e 11 della memoria difensiva, visto che era stato chiesto espressamente alla Corte distrettuale, in caso di riforma della sentenza di primo grado, di disporre la compensazione di quanto liquidato a favore del Ch. con quanto da costui percepito o che avrebbe potuto percepire dall’attività lavorativa esercitata o che avrebbe potuto esercitare dalla data del licenziamento della sentenza. A tale scopo era stato chiesto di disporre, ex artt. 213 e 421 c.p.c., indagini nonchè acquisizione di documenti presso il centro per l’impiego competente, I.N.P.S. nonchè l’Agenzia delle Entrate, afferenti alla posizione lavorativa del Ch., nonchè ordinare a quest’ultimo l’esibizione dei modelli fiscali quali CUD o modello unico.

Con il sesto motivo, infine, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’impugnata sentenza è stata censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, con riferimento alla condanna al rimborso delle spese di lite relative a doppio grado del giudizio, disposta dalla Corte territoriale, che tuttavia aveva pure qualificato il comportamento del lavoratore come non del tutto consono ai doveri di diligenza imprudenza, perciò limitando il risarcimento del danno a sole 3,5 mensilità, a fronte di una maggiore domanda avanzata dall’attore. Pertanto, risultava evidente la sussistenza di una parziale soccombenza, che avrebbe dovuto determinare quantomeno la compensazione delle spese processuali.

Tanto premesso, le anzidette censure vanno disattese per le seguenti ragioni.

Ed invero, quanto al primo motivo, va premesso che non risulta comunque trascritta, ex art. 366 c.p.c., n. 6, la relazione investigativa, della cui asserita omessa valutazione si duole parte ricorrente (il mero riferimento, per relationem, non soddisfa, infatti, la prescrizione di cui al menzionato art. 366, n. 6, Cfr., infatti, Cass. lav. n. 2966 del 07/02/2011: il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, a pena di improcedibilità del ricorso – di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso. In senso conforme v. anche Cass. III civ. n. 22303 del 04/09/2008: il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile. V. ancora analogamente Cass. III civ. n. 15628 del 03/07/2009, secondo cui inoltre l’inammissibilità prevista dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in caso di violazione di tale duplice onere, non può ritenersi superabile qualora le predette indicazioni siano contenute in altri atti, posto che la previsione di tale sanzione esclude che possa utilizzarsi il principio, applicabile alla sanzione della nullità, del cosiddetto raggiungimento dello scopo, sicchè solo il ricorso può assolvere alla funzione prevista dalla suddetta norma ed il suo contenuto necessario è preordinato a tutelare la garanzia dello svolgimento della difesa dell’intimato, che proprio con il ricorso è posto in condizione di sapere cosa e dove è stato prodotto in sede di legittimità.

Cfr. altresì parimenti Cass. III civ. n. 16655 del 09/08/2016: quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, aì sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi. V. pure Cass. VI ci. – 3n. 4220 del 16/03/2012: ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza di detto atto processuale, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame. Conforme Cass. n. 6937 del 2010.

Cass. VI – 3 n. 19048 del 28/09/2016: il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – di produrlo agli atti -indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso; la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile).

Nel caso di specie la relazione investigativa in questione non è stata debitamente riassunta, nè tanto meno riprodotta da parte ricorrente, che ne ha soltanto evidenziato il contenuto nelle sue difese (v. in part. pag. 9 del ricorso, ovvero pagg. da a 7, laddove è stata pressochè integralmente riportata la sentenza di primo grado n. 217/17 luglio – 27 ottobre 2015). Per contro, il motivo è anche infondato, poichè, come si evince univocamente dal paragrafo 4. (pagine 3 e 4) della sentenza impugnata, la Corte bolognese ha ampiamente esaminato la relazione redatta dalla Agenzia d’Investigazioni e Informazioni Mauser snc di F.S. & C., prodotta dalla convenuta, tuttavia escludendo che dalla annotazione ivi riportata, attesa la sua genericità, potesse desumersi lo svolgimento di attività lavorativa nell’occasione da parte del sig. Ch., non emergendo che costui avesse personalmente provveduto a sostituire la batteria, come invece preteso da parte datoriale. Inoltre, la Corte di merito ha così testualmente, oltre che correttamente, motivato: “Nè la decadenza del ricorrente in primo grado dalle istanze istruttorie testimoniali può sopperire al mancato corretto adempimento dell’onere di prova a carco del datore di lavoro. Peraltro, nel caso di specie l’appellante ha fornito elementi di prova atti a smentire la ricostruzione operata dalla ditta ed oggetto della contestazione disciplinare. Il lavoratore ha chiesto di produrre nel giudizio di appello i verbali di sommarie informazioni rese nell’ambito del procedimento penale dai signori F. e P…. Il contenuto delle sommarie informazioni appena trascritte dimostra come il Ch. abbia consegnato una batteria da riparare ma non proceduto egli stesso alla riparazione presso la ditta di (OMISSIS). Ciò porta ad escludere che lo stesso abbia svolto attività lavorativa per conto di terzi nel periodo di assenza per malattia e dimostra quindi l’insussistenza in fatto dell’addebito contestato. Nessuna ulteriore contestazione è stata mossa da parte datoriale nella lettera quanto, ad esempio, ad idoneità della condotta tenuta dal dipendente (viaggio a (OMISSIS)) ad aggravare la malattia o a ritardarne la guarigione.

4.1. Non appare fondata l’eccezione mossa dalla ditta appellante sulla inammissibilità della produzione dei citati verbali di sommarie informazioni rese nel procedimento penale….”.

Dunque, la Corte di Appello con ampia motivazione ha accertato, insindacabilmente in questa sede di legittimità, i fatti di cui è causa, escludendo in particolare lo svolgimento di attività lavorativa da parte del CH. durante la sua assenza per malattia, quindi il fatto così come addebitato nella contestazione disciplinare, di cui poi all’intimato licenziamento, contestazione anch’essa riportata nell’impugnata sentenza (v. il punto 1. a pag. 2), laddove non si faceva però alcun cenno ad una condotta pregiudizievole alla salute del dipendente, tate da poterne aggravare lo stato morboso ovvero ritardarne la guarigione.

Pertanto, a fronte di tali precisi accertamenti, motivatamente eseguiti dalla Corte di merito, appaiono chiaramente inammissibili le diverse ricostruzioni prospettate da parte ricorrente, a nulla peraltro valendo le contrarie valutazioni operate dal giudice di primo grado con la gravata sentenza, siccome del tutto processualmente irrilevanti, una volta riformata per intero tale decisione da parte del giudice di grado superiore, la cui sentenza, quindi, è soggetta, nella specie, esclusivamente al ricorso previsto dall’art. 360 c.p.c., peraltro nei limiti rigorosamente ivi fissati, perciò in base alla sola c.d. critica vincolata all’uopo ammessa. Dunque, nella sua decisione la Corte d’Appello non ha omesso l’esame di alcun fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Ne deriva l’inammissibilità anche del secondo motivo di ricorso, una volta accertati i fatti negli anzidetti limiti, con esclusione quindi della condotta contestata in via disciplinare da parte datoriale, di modo che, correttamente e coerentemente, la Corte di merito, nell’ambito del suo prudente ed insindacabile appezzamento, ha invalidato l’impugnato licenziamento, sicchè non possono dirsi violate le norme di cui all’art. 2119 c.c. e art. 116 c.p.c. (peraltro non è stata nemmeno ritualmente denunciata una eventuale violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in ordine alla portata della contestazione disciplinare de qua, rispetto alla quale, invece, per come letteralmente riportata dalla sentenza qui impugnata, la Corte distrettuale ha escluso di conseguenza nello specifico inadempimenti rilevanti, tali da poter giustificare il licenziamento).

Anche il terzo motivo, oltre che inammissibile, è infondato. Sotto il primo profilo, infatti, trattandosi evidentemente di error in procedendo, la doglianza andava ritualmente denunciata, univocamente in termini di nullità, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione o falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c.. Inoltre, la censura è anche infondata, non solo perchè, come chiarito dalla Corte territoriale, l’onere probatorio rimaneva comunque a carico di parte datoriale, che ad ogni modo non aveva dimostrato lo svolgimento dell’ascritta indebita attività lavorativa (apprezzamento del contenuto delle emergenze istruttorie, come tale insuscettibile di sindacato di legittimità), ma anche in quanto la documentazione in parola risulta acquisita legittimamente dalla Corte d’Appello nell’ambito dei proprie poteri istruttori di ufficio ai sensi del cit. art. 437 (cfr. del resto Cass. lav. n. 19305 del 29/09/2016, secondo cui nel rito del lavoro, il potere istruttorio d’ufficio ex artt. 421 e 437 c.p.c., non è meramente discrezionale, ma costituisce un potere-dovere da esercitare contemperando il principio dispositivo con quello della ricerca della verità, sicchè il giudice, anche di appello, qualora reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati d’indagine, non può arrestarsi al rilievo formale del difetto di prova, ma deve provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale probatorio idonei a superare l’incertezza sui fatti in contestazione, senza che, in tal caso, si verifichi alcun aggiramento di eventuali preclusioni e decadenze processuali già prodottesi a carico delle parti, in quanto la prova disposta d’ufficio è solo un approfondimento, ritenuto indispensabile ai fini del decidere, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo. In senso analogo Cass. lav. n. 278 del 10/01/2005. V. parimenti Cass. III civ. n. 12902 del 23/06/2015, nonchè VI civ. – L. 29 gennaio 2015, n. 1704, con la cassazione di sentenza risalente al 30-01-2012 e decisione nel merito, confermando il possibile ricorso ai poteri istruttori d’ufficio da parte del giudice d’appello, ai sensi del combinato disposto degli artt. 421 e 437 c.p.c., anche in presenza di decadenze e preclusioni già verificatesi, permanendo, nondimeno, l’obbligo per il giudice d’appello di motivare in ordine all’ammissione di documentazione reddituale non prodotta in primo grado.

V. altresì Cass. lav. n. 7694 del 28/03/2018: nel rito del lavoro, stante l’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 c.p.c., ove reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, può in via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento. Conformi Cass. lav. n. 6753 del 04/05/2012, nonchè Cass. n. 12856 del 2010.

V. pure Cass. lav. n. 11845 del 15/5/2018 e n. 28134 del 5/11/2018, nonchè n. 20055 del 6/10/2016 e n. 2577 del 2/2/2009).

Quanto, poi, al quarto motivo, anch’esso risulta insufficientemente formulato, per mancanza di precisi riferimenti ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, stante il difetto di autosufficienza, nei sensi in precedenza indicati, delle affermazioni ivi contenute, soprattutto per quanto concerne la busta paga di marzo 2014, nonchè in relazione alle allegazioni sul punto di parte attrice ed alle controdeduzioni di parte convenuta, per cui infatti la Corte di merito non ha rilevato specifiche contestazioni in ordine all’importo lordo di Euro 2230,79 (cfr. peraltro Cass. lav. n. 2544 del 21/02/2001, secondo cui la determinazione delle retribuzioni spettanti L. n. 300 del 1970, ex art. 18, va effettuata al lordo, non già al netto, e la somma complessivamente dovuta è quantificabile per mezzo di un mero calcolo matematico. V. parimenti Cass. lav. n. 585 del 22/01/1987, secondo cui la determinazione delle retribuzioni dovute al lavoratore

ex art. 18 Stat. Lavoratori deve essere effettuata al lordo, e non già al netto, delle ritenute fiscali e previdenziali, atteso che esse costituiscono l’insieme delle attribuzioni patrimoniali volte a tenere indenne il lavoratore dalle conseguenze pregiudizievoli della sospensione delle prestazioni del rapporto).

Inconferente appare, altresì, il quinto motivo, laddove l’omissione ivi segnalata (mancato esame della domanda relativa all’aliunde perceptum, reiterata con la memoria difensiva di costituzione in appello), non integra il vizio contemplato dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5, ma una omessa pronuncia di quanto richiesto da parte appellata, donde la possibile violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., che quale error in procedendo andava tuttavia anch’essa, ritualmente ed univocamente, denunciata, in termini di nullità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Peraltro, attesa la genericità delle richieste informative, senza la deduzione di alcuna specifica attività lavorativa nelle more svolte dal CH., ha probabilmente indotto la Corte di merito a non tener conto di quanto chiesto dall’appellata, ex artt. 213 e 421 c.p.c., come da pagg. 15 e 16 della memoria di costituzione in secondo grado.

Va, infine, disatteso anche il sesto e ultimo motivo di ricorso, dovendosi escludere la reciproca soccombenza di cui all’art. 92 c.p.c., in base alla quale il giudice può compensare, in tutto ovvero in parte le spese di lite, tenuto conto che trattasi comunque di facoltà discrezionale riconosciuta al giudicante e che in ogni caso la domanda di parte attrice risulta in gran parte accolta con la invalidazione del licenziamento, ancorchè poi il elativo indennizzo sia stato contenuto nella misura di 3,5 mensilità (rispetto agli ordinari minimo di 2,5 e massimo di 6, L. n. 604 del 1966, ex art. 8).

Atteso, dunque, l’esito negativo dell’impugnazione qui proposta, che va integralmente respinta, la parte rimasta soccombente deve essere condannata al rimborso delle relative spese, risultando peraltro anche i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore del controricorrente in complessivi Euro 4000,00, per compensi professionali ed in Euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, in relazione a questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA