Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24971 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 06/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 06/12/2016), n.24971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18398-2015 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso, unitamente e

disgiuntamente, dagli avvocati MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO e

CLEMENTINA PULLI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

Contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, C.F. (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

e contro

M.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1279/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

emessa il 10/07/2013 e depositata il 17/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato Emanuela Capannolo, per il ricorrente, che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 1279/2014 la Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato che M.C. è invalida nella percentuale del 74% a decorrere dal mese di febbraio 2009 e ha condannato l’INPS a corrisponderle la pensione di inabilità, oltre accessori, con decorrenza da tale data.

Nella parte motiva della decisione, il giudice di appello, sulla premessa che la Marino aveva con l’originario ricorso formulato istanza oltre che per il riconoscimento della indennità di accompagnamento anche della pensione e dell’assegno (ex L. n. 118 del 1971, n.d.r.), in adesione agli esiti della rinnovata consulenza tecnica d’ufficio, secondo la quale la periziata era affetta da un complesso invalidante che determinava, a decorrere dal febbraio 2009, una riduzione permanente della capacità lavorativa generica in misura superiore al 74%, rilevato che era stata offerta idonea documentazione relativa al requisito reddituale, ha ritenuto sussistente il diritto all’assegno di invalidità.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’INPS sulla base di sei motivi.

M.C. è rimasta intimata. Il Ministero dell’economia e delle finanze si è costituito al solo fine della discussione.

Il Consigliere relatore ha formulato proposta di inammissibilità dei primi cinque motivi e di accoglimento del sesto.

Il Collegio non condivide tale valutazione limitatamente al secondo motivo che ritiene ammissibile e manifestamente fondato, con effetto di assorbimento del sesto motivo.

Si premette che con il primo motivo di ricorso l’ente ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. censurando la decisione per avere attribuito una prestazione non richiesta con l’originario ricorso che assume inteso esclusivamente al conseguimento della indennità di accompagnamento.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. censurando la decisione sotto il profilo della nullità del dispositivo con il quale il giudice d’appello, dopo avere dichiarato M.C. invalida nella percentuale del 74%, ha condannato l’INPS a corrispondere la pensione di inabilità, prestazione per la quale è prescritta una invalidità del 100%.

Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 13 e dell’art. 2967 c.c., censura la decisione per avere accertato il diritto all’assegno di assistenza ex art. 13 L. cit. senza verificare la sussistenza del requisito, avente valenza costitutiva, del mancato svolgimento di attività lavorativa.

Con il quarto motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; si censura la decisione sotto il profilo dell’omesso rilievo della carenza del requisito rappresentato dal mancato svolgimento di attività lavorativa.

Con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 414, 416, 434 e 437 c.p.c., per avere ritenuto provato il requisito reddituale sulla base di documentazione tardivamente prodotta dalla interessata e rispetto alla quale si era, quindi, verificata decadenza.

Con il sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 12 per avere condannato esso istituto alla pensione di inabilità di cui all’art. 12 L. cit., pur avendo accertato il mancato raggiungimento della prescritta percentuale di invalidità.

Il primo motivo di ricorso è articolato con modalità inidonee alla valida censura della decisione.

Si premette che la sentenza impugnata, in accoglimento di specifico motivo di gravame della M., ha ritenuto, a differenza del primo giudice, la originaria domanda intesa non solo al conseguimento della indennità di accompagnamento ma anche delle prestazioni di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13. La individuazione dell’ oggetto della pretesa azionata è quindi frutto di attività interpretativa del ricorso introduttivo e non è pertanto censurabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c. bensì sotto il profilo del vizio di motivazione, il quale in concreto non risulta in alcun modo denunziato dall’odierno ricorrente.

Questa Corte ha, infatti, chiarito che l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era compresa nel “thema decidendum” – tale statuizione, ancorchè in ipotesi erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato l’erroneità di quella medesima motivazione. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali, sicchè detto errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione. (Cass. n. 2630 del 2014, n. 21874 del 2015).

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente fondato. Sussiste, infatti, il denunziato contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza impugnata. Tale contrasto appare insanabile posto che la parte motiva della decisione risulta incentrata sulla verifica dei requisiti prescritti per il riconoscimento del diritto all’assegno di assistenza, verifica esclusivamente in relazione alla quale, in motivazione, si dà riscontro positivo; in dispositivo, invece, pur dandosi atto della sussistenza di una percentuale di invalidità del 74 % viene, attribuita una diversa prestazione e cioè la pensione di inabilità.

A tale insanabile difformità consegue la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo, che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la disposizione emanata restando esclusa nel rito del lavoro l’applicabilità del principio dell’integrazione del dispositivo con la motivazione nonchè del procedimento di correzione degli errori materiali, il cui ambito è limitato alle ipotesi di contrasto solo apparente tra dispositivo e motivazione. (Cass. n. 8894 del 2010), conseguendone l’assorbimento del sesto motivo.

Il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso sono inammissibili per difetto di interesse ad impugnare. I censure articolate con tali motivi, investono, sotto vari profili, i requisiti, diversi da quello sanitario, indispensabili per il riconoscimento della prestazione di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 13 prestazione non corrispondente a quella in concreto attribuita in dispositivo. Nè è sufficiente a radicare l’interesse ad impugnare la circostanza che in motivazione il giudice di appello ha dato atto della sussistenza del diritto della appellante Marino all’assegno in oggetto. Questa Corte ha infatti affermato che in tema di processo del lavoro, il dispositivo letto in udienza e depositato in cancelleria ha una rilevanza autonoma poichè racchiude gli elementi del comando giudiziale che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione e non è suscettibile di interpretazione per mezzo della motivazione medesima, sicchè le proposizioni contenute in quest’ultima e contrastanti col dispositivo devono considerarsi come non apposte e non sono suscettibili di passare in giudicato od arrecare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile. (v. tra le altre, Cass. n. 21885 del 2010).

In conclusione, in base alle considerazioni che precedono il primo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso devono essere dichiarati inammissibili; il secondo motivo accolto con effetto di assorbimento del sesto motivo. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo assorbito il sesto e dichiara inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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