Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24969 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/10/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 07/10/2019), n.24969

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29035-2017 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

RENATO SICILIANO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati LIDIA

CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 310/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 31/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 17/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

FRANCESCA SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 13 aprile – 31 maggio 2017, n. 310, la Corte d’Appello di Palermo confermava, con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da V.G. nei confronti dell’INPS per il riconoscimento della rivalutazione contributiva di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, in ragione dell’attività lavorativa svolta alle dipendenze della società KELLER S.p.A.;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che entrambe le parti concordavano sulle mansioni svolte dal ricorrente in qualità di saldatore, consistenti nell’operare presso i reparti K1, K2 e K3 alla produzione dei vagoni ferroviari e nello svolgimento di attività specifica di saldatura e finitura durante le fasi di smontaggio o revamping delle carrozze in lavorazione.

Sulla base di tali dati fattuali i due consulenti tecnici nominati in appello avevano escluso che egli fosse stato esposto per un periodo di durata superiore a 10 anni lavorativi ad una concentrazione di fibre di amianto aerodisperse superiore a 0,1 fibre per centimetro cubo.

I consulenti tecnici avevano evidenziato una esposizione indiretta a polveri di amianto aerodisperse, con saltuaria contemporaneità tra le operazioni caratterizzate da manipolazioni di semilavorati in amianto – svolte dai colleghi – e quelle che egli poneva in essere nelle vicinanze; le fasi di lavoro durante le quali egli indossava i guanti contenenti amianto erano di pochi minuti e non tutti giorni. La concentrazione media giornaliera di polveri di amianto nei capannoni di produzione – per effetto dello sfaldamento dei tetti costituiti da lastre in amianto – era pari a 0,0037, inferiore ai minimi indennizzabili.

A non diversa determinazione conducevano le osservazioni critiche alla relazione peritale.

Il consulente di parte deduceva l’omessa considerazione dell’inquinamento prodotto dall’impianto a pioggia realizzato sui tetti dei capannoni; tuttavia, come evidenziato dai ctu, il dato non era verificabile perchè nessuna macchina industriale era più presente all’interno degli stabilimenti.

Il c.t.p. evidenziava ancora che dalle testimonianze raccolte personalmente si era rilevato che il montaggio delle pasticche dei sistemi frenanti sui vari mezzi avveniva con carteggiatura delle superfici ed, all’occorrenza, con parziali sagomature delle pasticche; a prescindere dalla assenza di contraddittorio processuale nella assunzione delle informazioni, era in discussione a monte l’adibizione del lavoratore a tale mansione, circostanza priva di sufficiente conforto probatorio.

I due testi avevano esposto una serie di attività svolte all’interno degli stabilimenti che determinavano la dispersione di polveri di amianto ma nessuno aveva precisato se il V. si occupasse di tali compiti o se si trovasse occasionalmente nelle vicinanze dei colleghi a ciò preposti.

Il consulente di parte rilevava: che l’uso dei guanti di amianto era necessario per molteplici operazioni; che i consulenti d’ufficio avevano errato nell’escludere la presenza di amianto all’interno del forno termico contenuto nel capannone K1; che le operazioni di manutenzione delle superfici delle ganasce erano quotidiane. Tali critiche erano inconferenti, in quanto non vi era la prova di una stabile assegnazione del V. a tali incombenze, presumendosi dal suo inquadramento contrattuale che egli non fosse adibito a compiti manuali comportanti un contatto continuato con fonti termiche ad alta temperatura.

In ogni caso, date le ampie dimensioni dei capannoni, si doveva ritenere che egli non fosse costantemente nelle vicinanze dei carri ponte utilizzati per gli interventi manutentivi dei sistemi frenanti; era pertanto ragionevole la quantificazione operata dai ctu della durata dell’esposizione (pochi minuti non tutti giorni);

che avverso la sentenza ha proposto ricorso V.G., articolato in due motivi, cui ha opposto difese l’INPS con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti-unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale- ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e della L. n. 257 del 1992, art. 3, per omessa valutazione del materiale probatorio e difformità rispetto alle valutazioni operate in situazione identica dal ctu di altro giudizio nonchè violazione dell’art. 63 c.p.c..

Si espone che la Corte territoriale, alla pagina 6 della sentenza, indicava come pacifiche le mansioni svolte.

Si assume che palesemente contraddittorio era il successivo passaggio motivazionale, allorchè gli ausiliari del giudice evidenziavano un’esposizione soltanto indiretta del V..

Si deduce che dalle risultanze processuali era emerso che egli aveva anche il compito di smerigliare le ralle di appoggio, provocando una significativa dispersione di fibre in amianto.

Si contesta al giudice dell’appello la violazione del principio di disponibilità della prova ex art. 115 c.p.c. allorchè non aveva posto a fondamento della decisione il fatto costituito dall’accertata attività di smerigliatura delle ralle di appoggio in amianto, con esposizione diretta, contrariamente a quanto affermato alla pagina 6 della sentenza.

La violazione delle norme di diritto si deduce, altresì, per la mancata valutazione degli atti di indirizzo del Ministero del lavoro del 26 luglio 2000, depositati in uno al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (doc. 10), che indicavano l’esposizione all’amianto delle figure professionali che operavano in modo prevalente e continuo alla riparazione, demolizione e bonifica delle carrozze ferroviarie contenenti amianto (tra le quali, saldatori, elettricisti falegnami, tubisti, fabbri, carpentieri).

Inoltre l’indagine svolta dai due ctu si era basata in modo esclusivo sulla documentazione degli archivi CONTARP, come ammesso dai periti nelle note in replica alle osservazioni di parte, organo privo di imparzialità.

Uno dei ctu – prof. L.P. – aveva ammesso di essersi occupato di vigilanza sanitaria presso gli stabilimenti KELLER nel periodo di causa; la consulenza avrebbe dovuto essere pertanto rinnovata, ai sensi dell’art. 63 c.p.c., che effettuava rinvio all’art. 51 c.p.c.;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, relativo alla durata dell’esposizione ad amianto indicata dei consulenti dell’ufficio.

Il ricorrente ha esposto che nell’indicare la durata della esposizione giornaliera i due ctu avevano attribuito rilievo precipuo alla valutazione effettuata dalla CONTARP, senza rispondere alle puntuali osservazioni dei consulenti di parte.

La ctu aveva ritenuto che gli fosse stato esposto ad amianto:

– nel corso delle mansioni classificate come “sostituzione ferodi”, con coefficiente di esposizione (F) pari a 0,925, per pochi minuti e non tutti giorni;

– per l’utilizzo di guanti in amianto, con coefficiente (F) 1,0 e frequenza di utilizzo di pochi minuti non tutti giorni;

– per inquinamento ambientale, con valore 0,0037, per tutta la giornata lavorativa.

Premesso che in casi simili occorreva la somma algebrica dei singoli valori ottenuti, non era plausibile ipotizzare che egli – essendo impegnato, come operatore macchine, nella smerigliatura e molaturanonchè nei collaudi degli impianti di frenatura dei carrelli – potesse essere stato esposto all’amianto per “pochi minuti non tutti giorni”; così come non era condivisibile l’utilizzo da parte dei ctu del valore medio di esposizione indicato per la sostituzione dei ferodi dal data base (OMISSIS) (era maggiormente aderente alla realtà il valore massimo); anche il parametro-tempo doveva essere rivisto in senso più favorevole (gli stessi consulenti attribuivano al lavoratore la mansione di smerigliatura e molatura, aspetto non tenuto in considerazione nel computo dell’esposizione ad amianto; lo stesso tempo di utilizzo dei guanti in amianto era stato sottostimato).

Il giudice del secondo grado non aveva indicato gli elementi che lo portavano a superare le obiezioni critiche mosse dal consulente di parte nè aveva tenuto in doverosa considerazione la circostanza incontestata della mansione di abrasione con mezzi elettrici (mole) delle ralle contenenti amianto;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare inammissibile il ricorso;

che invero, i due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, tendono entrambi, pur essendo il primo motivo dedotto sub specie di violazione di norme di diritto, alla revisione del giudizio di fatto, espresso in sentenza sulla base della relazione dei due ctu, in ordine alla mancanza di una esposizione qualificata ad amianto nel corso della attività lavorativa.

Parte ricorrente assume il travisamento delle risultanze processuali – e comunque il vizio di motivazione- per non avere i due ctu considerato le mansioni di ” smerigliatura delle ralle di appoggio in amianto” asserendo del tutto genericamente che il fatto sarebbe emerso processualmente e che non sarebbe stato contestato dall’Istituto.

La sentenza ha accertato alla pagina 6, quinto e sesto capoverso, sulla base della analisi svolta dai ctu, che le lavorazioni affidate al V. “non comprendevano una manipolazione diretta di materiali contenenti amianto” e comportavano saltuariamente un’ esposizione derivante dalla vicinanza con i colleghi che provvedevano alle operazioni su semilavorati in amianto (oltre alla esposizione derivante dall’uso dei guanti in amianto e dallo sfaldamento dei tetti, costituiti da lastre in amianto).

Ribadisce ancora la sentenza, nel prosieguo “che le mansioni espletate dal V. non comportavano un duraturo e quotidiano contatto dello stesso con macchinari ed attrezzature rivestiti in amianto” (pag. 7, primo capoverso).

Tale accertamento di fatto era impugnabile in questa sede unicamente con la specifica allegazione di un fatto storico risultante dagli atti, oggetto di discussione e di rilievo potenzialmente decisivo, non esaminato nella sentenza impugnata, a tenore dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La parte ricorrente piuttosto che specificare un fatto non esaminato contesta nel merito le conclusioni cui è giunta la sentenza impugnata, così devolvendo a questa Corte un non- consentito esame del merito.

La censura di omesso esame degli atti di indirizzo del MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCILAE del 26 luglio 2000 difetta di specificità per non essere stati riportati in ricorso gli elementi essenziali dei suddetti atti (azienda cui essi si riferiscono e profili professionali come da essi definiti).

Quanto alla assunta incompatibilità del ctu – prof. L.P.-parte ricorrente non ha allegato di avere proposto istanza di ricusazione del ctu, in conformità al principio secondo cui, in caso di violazione dell’obbligo di astensione derivante dagli artt. 51 e 63 c.p.c., la parte interessata deve proporre istanza di ricusazione nei modi e nei termini previsti dall’art. 192 c.p.c., restandole, in difetto, preclusa la possibilità di far valere successivamente la detta situazione di incompatibilità (per tutte: Cassazione civile sez. II, 05/11/2018, n. 28103).

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che la parte è esente dal pagamento delle spese ex art. 152 disp.att. c.p.c.;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Dichiara la parte non tenuta al pagamento delle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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