Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24969 del 06/11/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 24969 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: DE CHIARA CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
IZZO PASQUALE (C.F. ZZIPQL61H13L259A), nella qualità di
liquidatore della SIELCI S.R.L. (P.IVA 08658420156),
rappresentato e difesa, per procura speciale a margine
del ricorso, dagli avv.ti Francesco Cannizzaro (C.F.
CNNFNC60H19C351D) e Michele Pontecorvo (C.F.
PNTMOL59D08H501I) ed elett.te dom.to presso lo studio

Z.9-5
2013

di quest’ultimo in Roma, Via A. Cantore n. 5

– ricorrente contro

Data pubblicazione: 06/11/2013

FALLIMENTO SIELCI S.R.L. (P.IVA 08658420156), in persona del curatore dott. Pietro Santoro (C.F.
SNTPTR63C12L049V), rappresentato e difeso, per procura
speciale a margine del controricorso, dall’avv. Antonio

presso lo studio dell’avv. Paolo de Camelis

– controricorrente e contro
FIBERLAN S.A.S.; 3 ELLE LA LAVORAZIONE DEL LEGNO
SOCIETA’ COOPERATIVA; CONSORZIO PROCOPIO S.C.A.R.L.; SC
ELETTRONICA S.N.C.

– intimate avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n.
2837/2011 depositata il 18 ottobre 2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17 luglio 2013 dal Consigliere dott. Carlo
DE CHIARA;
udito per

la parte

ricorrente

l’avv.

Michele

PONTECORVO;
udito per la parte controricorrente l’avv. Antonio
ADINOLFI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Pasquale FIMIANI, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
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Adinolfi ed elett.te dom.to in Roma, Via Azuni n. 9,

Con sentenza del 2 maggio 2011 il Tribunale di Milano dichiarò, su istanze della Fiberlan s.a.s., del
Consorzio Procopio s.c. a r.1., della 3 Elle La Lavorazione del Legno soc. coop. e della S.C. Elettronica

con separato provvedimento in pari data, respinto la
richiesta della debitrice di sospensione delle azioni
esecutive e cautelari ai sensi dell’art. 182 bis, sesto
comma, legge fallim. in relazione a uno stipulando accordo di ristrutturazione dei debiti.
La Corte d’appello della stessa città ha respinto
il reclamo proposto della società fallita, che lamentava la violazione dell’obbligo del primo giudice di dar
corso alla procedura di cui all’art. 182

bis.,

cit.,

prima di dichiarare il fallimento, osservando che invece il Tribunale non aveva tale obbligo, dato che la
norma richiamata prevede la sospensione delle sole procedure esecutive o cautelari, tra le quali non rientra
quella per la dichiarazione del fallimento, in coerenza
con il preminente interesse pubblico all’estromissione
delle imprese insolventi dal mercato.
La Sielci ha proposto ricorso per cassazione con
due motivi di censura, cui ha resistito il solo curatore fallimentare con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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s.n.c., il fallimento della Sielci s.r.l. dopo avere,

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia
violazione dell’art. 182 bis legge fallim., il cui sesto comma – si osserva – va letto in unione con il primo, avente la finalità di approntare uno strumento di

dichiarazione di fallimento; sicché la sospensione della procedura prefallimentare si imporrebbe appunto in
vista di quell’obbiettivo. Ove si ritenesse il contrario, andrebbe, ad avviso della ricorrente, sollevata
questione di legittimità costituzionale del richiamato
art. 182 bis, la cui indeterminatezza, che non consente
di comprendere se la sospensione di cui al sesto comma
riguardi anche le procedure prefallimentari, contrasta
con il diritto di difesa e il principio del giusto processo, di cui agli artt. 27 e 111 Cost.
2. – Con il secondo motivo si denuncia vizio di
motivazione, evidenziando la contraddittorietà del ragionamento della Corte d’appello, la quale:
da un lato ritiene sia inibito ai creditori di
procedere esecutivamente nei confronti del debitore,
onde evitare l’acquisizione di posizioni privilegiate,
e dall’altro ritiene che sia permesso ai medesimi di
procedere con istanze di fallimento, così da vanificare
ogni sforzo di soluzione alternativa della crisi;

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risoluzione della crisi dell’impresa alternativo alla

disconosce il diritto inviolabile del debitore,
una volta introdotta la procedura di accordo di ristrutturazione dei debiti, a disporre del tempo necessario per i relativi incombenti senza essere soggetto

privilegiate dei creditori, il logico corollario del
quale è che egli possa evitare anche di essere assoggettato a fallimento;
fa derivare l’improseguibilità della procedura di
cui all’art. 182 bis legge fallim. dalla dichiarazione
di fallimento, mentre il giudice di primo grado aveva,
al contrario, fatto derivare la dichiarazione di fallimento dal rigetto dell’istanza di sospensione ai sensi
dell’art. 182 bis, sesto comma, legge fallim.
3. – I due motivi possono essere trattati congiuntamente essendo connessi. Il secondo di essi, infatti,
è manifestamente inammissibile quale censura di vizio
di motivazione, attenendo non già ad accertamenti di
fatto bensì a una questione giuridica, quella della sospensione o meno del procedimento prefallimentare per
effetto della pendenza di richiesta ai sensi dell’art.
182 bis, sesto comma, legge fallim.; esso contiene tuttavia, nella sostanza, argomentazioni in favore della
soluzione positiva della predetta questione, sostenuta
con il primo motivo di ricorso, e dunque suscettibili

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alle azioni di disturbo o tese ad acquisire posizioni

in astratto di essere prese in considerazione
nell’ambito dell’esame di questo.
La soluzione sostenuta dalla ricorrente, però, non
convince.

casione di pronunciarsi negativamente sulla sospensione
della procedura prefallimentare per effetto della presentazione di una domanda di concordato preventivo
(Cass. 18190/2012, 1521/2013, quest’ultima pronunciata
a sezioni unite), sul rilievo che non vi è spazio per
la sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c., dato che
tra le due procedure non intercorre un rapporto di pregiudizialità necessaria, bensì di consequenzialità (eventuale del fallimento all’esito negativo del concordato) e di assorbimento (dei vizi del provvedimento negativo sulla domanda di concordato, risolventisi in motivi di impugnazione della dichiarazione di fallimento), che determina una mera esigenza di coordinamento
fra i due procedimenti; onde la facoltà di proporre domanda di concordato è una mera esplicazione del diritto
di difesa del debitore, il quale non può disporre unilateralmente dei tempi della procedura prefallimentare,
con incidenza sulle iniziative recuperatorie del nominando curatore e sulla ragionevole durata del processo.

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Giova premettere che questa Corte ha già avuto oc-

La ricorrente non invoca l’istituto generale della
sospensione di cui all’art. 295 c.p.c., ma propone
un’interpretazione estensiva del comma sesto dell’art.
182 bis legge fallim. là dove dispone che l’istanza di

di omologazione di un accordo, anche in itinere, di ristrutturazione dei debiti “produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e
cautelari”: sostiene, cioè, che fra le procedure inibite andrebbe compresa anche quella prefallimentare.
Tale interpretazione non può essere condivisa. Non
è possibile infatti – e quanto segue vale a superare
ogni contraria considerazione svolta dalla ricorrente far rientrare nella previsione normativa anche le procedure prefallimentari, le quali non hanno natura esecutiva o cautelare, bensì natura cognitiva piena, e
l’estensione non sarebbe coerente con il sistema, che
esclude, secondo la giurisprudenza sopra richiamata e
condivisa dal Collegio, l’inibizione della procedura
prefallimentare per effetto della domanda di concordato, parimenti rivolta al superamento della crisi
dell’impresa in maniera alternativa al fallimento.
Da quanto sopra deriva anche che la disciplina di
cui trattasi è tutt’altro che “indeterminata”, sicché

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sospensione del debitore che abbia presentato domanda

l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata
dalla ricorrente è manifestamente infondata.
4. – Il ricorso va in conclusione rigettato, con
condanna della soccombente alle spese processuali, li-

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in C 3.700,00, di cui C 3.500,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
17 luglio 2013.

quidate come in dispositivo.

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