Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24968 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. I, 25/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 25/11/2011), n.24968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24354-2009 proposto da:

P.M.L. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 86, presso l’avvocato ILARIA

SCATENA, rappresentata e difesa dall’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

05/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2011 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Roma, con decreto del 5.9.08, ha parzialmente accolto la domanda di P.M.L. volta ad ottenere il risarcimento del danno subito, in proprio e nella sua qualità di coerede (insieme al fratello G.) di P.C., per l’eccessiva durata del procedimento civile promosso dal suo dante causa dinanzi al Tribunale di Oristano, con citazione notificata il 18.9.87.

La Corte, rilevato che il P. era deceduto il (OMISSIS) e che pertanto il processo si era irragionevolmente protratto nei suoi confronti per circa sei anni, ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare alla ricorrente la somma di Euro 3.000, pari alla metà della somma che sarebbe complessivamente stata liquidata in favore del defunto, spettante pro-quota a ciascuno dei suoi eredi; ha invece respinto la domanda di equo indennizzo svolta dalla ricorrente in proprio, rilevando che la stessa non si era costituita nel giudizio presupposto dopo la morte del genitore. La P. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento, affidato ad un unico motivo, cui il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con l’unico motivo di ricorso, P.M.L., denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6 p. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè vizio di motivazione, censura il provvedimento impugnato sotto tre distinti profili.

1.1) Lamenta, in primo luogo, che il danno sofferto da P. C. sia stato liquidato solo sino alla data in cui questi è morto, anzichè sino alla data di conclusione del processo, del quale il defunto è rimasto formalmente parte, non avendo il suo difensore mai dichiarato l’evento interruttivo. Sostiene che la scelta in tal senso compiuta dal legale le ha precluso di costituirsi in giudizio, e che pertanto, ai fini della liquidazione del danno spettantele iure successionis, la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto dell’intero periodo di tempo, di 17 anni e cinque mesi, occorso per la definizione del giudizio.

1.2) Deduce, inoltre, che la Corte territoriale, nel liquidare il danno soltanto con riferimento alla durata del procedimento eccedente quella ragionevole, non ha tenuto conto della consolidata giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui l’indennizzo va riconosciuto per ogni anno effettivo di giudizio; in subordine, nel caso in cui detta giurisprudenza non potesse ritenersi direttamente applicabile, denuncia l’illegittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a) in relazione all’art. 117 Cost..

1.3) Si duole, infine, dell’esiguità dell’indennizzo riconosciuto, pari ad Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo, sostenendo che la Corte territoriale lo ha determinato in misura inferiore a quella dovuta in base ai criteri di liquidazione del quantum adottati dalla Corte EDU. 2) Le censure sono tutte infondate e devono essere respinte.

2.1) II giudice del merito ha fatto corretta applicazione del principio, più volte enunciato da questa Corte (Cass. nn. 2752/011, 2983/08, 2393/06) secondo cui, ai sensi della L. n. 89 del 2001, spetta agli eredi la legittimazione della proposizione della domanda di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo promosso dal loro dante causa e, conseguentemente, va loro riconosciuto – pro quota – l’indennizzo che sarebbe spettato al defunto, da calcolare sino alla data della sua morte, al quale va aggiunto l’indennizzo (eventualmente) spettante per intero a ciascuno degli eredi per l’eccessiva durata della fase del processo successiva alla riassunzione. Il principio, contrariamente a quanto sostenuto dalla P., trova piena applicazione anche nell’ipotesi in cui l’evento interruttivo non sia stato dichiarato e la sentenza sia stata formalmente pronunciata nei confronti della parte deceduta.

Infatti, a parte il rilievo che, a norma dell’art. 300 c.p.c., comma 2, gli eredi possono costituirsi volontariamente in giudizio, il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito (Cass. 23416/09). Tale patema cessa necessariamente con la morte della persona: non si comprende, pertanto, come l’erede possa succedere al de cuius in un diritto che questi non ha mai maturato.

2.2) Quanto alla seconda doglianza, costituisce principio ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, Cass. nn. 8780/010, 7550/010), ed enunciato anche dalla Corte Costituzionale (sentenze nn. 348 e 349/07), che il giudice italiano, chiamato a dare applicazione della L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla Convenzione EDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo entro i limiti in cui detta interpretazione sia resa possibile dal testo della legge stessa. Se invece ciò non è possibile (come nel caso dell’art. 2, comma 3, lett. a), secondo il quale rileva solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole), il giudice, qualora dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione internazionale interposta, deve investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità rispetto al parametro di cui all’art. 117 Cost., comma 1, ma non può procedere alla diretta disapplicazione della norma interna. Questa Corte deve poi ribadire il giudizio di manifesta infondatezza dell’eccezione di illegittimità costituzionale della norma in esame, già espresso in precedenti pronunce proprio in riferimento alla coerenza del rimedio stabilito dalla L. n. 89 del 2001 con il principio di effettività (avuto riguardo alle norme convenzionali invocate): la diversità del moltiplicatore del calcolo non tocca infatti la complessiva attitudine della legge nazionale ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6 p. 1 della Convenzione medesima (Cass. n. 980/08).

2.3) Quanto, infine, alla terza ragione di censura, va rilevato che la Corte di Strasburgo ha fissato un parametro tendenziale di liquidazione oscillante fra Euro 1.000 ed Euro 1.500 per ogni anno di ritardo. La stessa Corte (in una serie di sentenze rese dalla Grande Camera il 29.3.2006 sui ricorsi nn. 64699/01, 64705/01, 64886/01, 64890/01, 64897/01), ha poi riconosciuto che gli importi concessi dal giudice nazionale possono essere inferiori a quelli da essa fissati, purchè non irragionevoli, a condizione che “le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”.

Ciò ha consentito di affermare che qualora, come nel caso di specie, non emergano particolari elementi in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, comporta, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, il riconoscimento, di regola, di una somma non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1.000 per gli anni successivi (Cass. n. 21840/09).

A tale criterio di liquidazione si è pienamente attenuta la Corte capitolina, che ha quantificato l’indennizzo in Euro 1.000 per ciascun anno del processo presupposto eccedente la ragionevole durata.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna della P. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna P.M.L. a pagare al Ministero della Giustizia le spese processuali, che liquida in Euro 1.500 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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