Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24967 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 06/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 06/12/2016), n.24967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2842-2015 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso, unitamente e

disgiuntamente, dagli avvocati MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO e

CLEMENTINA PULLI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ETTORE PAIS 18,

presso lo studio dell’avvocato LUCIA DI COSIMO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FABIO GAETANO CAVALLARO giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 980/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

emessa il 21/10/2014 e depositata il 31/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato Emanuela Capannolo, per il ricorrente, che si

riporta agli atti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’INPS all’erogazione in favore di B.M., 1971 con decorrenza da marzo 2013, dell’assegno di assistenza di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 13 oltre accessori come per legge.

La decisione è stata fondata, quanto al requisito sanitario, sulla adesione agli esiti della consulenza tecnica d’ufficio rinnovata in seconde cure; quanto al requisito reddituale, sulle certificazioni negative dell’Agenzia delle entrate relative all’anno 2013; quanto alla mancata prestazione di attività lavorativa, sulla presunzione scaturente dalla assenza di redditi.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’INPS sulla base di un unico motivo; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Con l’unico articolato motivo, l’istituto ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 13 anche nel testo sostituito dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35 della L. n. 247 cit., art. 1, comma 94, dell’art. 116 c.p.c., art. 11 disp. gen.. Ha censurato la decisione per avere ritenuto validamente assolta la prova del mancato svolgimento di attività lavorativa, sulla base del contenuto delle dichiarazioni reddituali.

Il ricorso in conformità della proposta formulata nella Relazione depositata ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., proposta condivisa dal Collegio, è da respingere.

Si premette che in materia di pensione d’inabilità o di assegno d’invalidità, rispettivamente previsti, a favore degli invalidi civili (totali o parziali) dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 12 e 13 il cosiddetto requisito economico ed il requisito dell’incollocazione e, dopo la modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, lo stato di inoccupazione, integrano (diversamente da quello reddituale per le prestazioni pensionistiche dell’INPS) un elemento costitutivo della pretesa, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio e la cui allegazione e prova è a carico del soggetto richiedente, non potendo qualificarsi gli stessi, quindi, come mere condizioni di erogazione del beneficio, accertabili in sede extragiudiziale (cfr, ex plurimis; Cass., nn. 4067/2002; 13967/2002; 14035/2002; 13046/2003; 13279/03; 13966/2003; 14696/2007; 22899/2011).

Il mancato svolgimento di attività lavorativa previsto dalla L. n. 118 del 1971, art. 13, nel testo di cui alla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, applicabile ratione temporis in ragione della data di presentazione della istanza amministrativa avvenuta il 17.7.2009, deve dunque essere allegato e provato in giudizio dall’invalido, trovando applicazione il principio generale sull’onere di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa (su cui v., in generale, Cass., SU 11353/2004) e prova, di cui all’art. 2697 c.c., che non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude nè inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo, con la precisazione che, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo. Tale prova non potrà essere invece fornita mediante mera dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con le formalità previste dalla legge per le autocertificazioni (fra le più recenti, v. Cass. sez. sesta L 27380/2014).

Tanto premesso, va anche chiarito che la L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35 (disposizione vigente dall’1.1.2008 ex comma 94 del citato articolo), ha sostituito il testo della L. n. 118 del 1971, art. 13, nei termini seguenti: “Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso, a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di 1,:uro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’art. 12. “Attraverso la dichiarazione sostitutiva, resa annualmente all’INPS ai sensi dell’art. 46 e segg. del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, il soggetto di cui al comma 1 autocertifica di non svolgere attività lavorativa. Qualora tale condizione venga meno, lo stesso è tenuto a darne tempestiva comunicazione all’INPS”.

Al riguardo, è stato precisato (cfr. Cass. n. 19833 del 2013) che: “Con la modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, il requisito occupazionale è cambiato: non si richiede più la “incollocazione al lavoro”, ma semplicemente lo stato di inoccupazione, in quanto la legge individua il requisito in questi termini: disabili “che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste”. Tra i due concetti vi è una differenza, perchè il disabile incollocato al lavoro non è semplicemente disoccupato: è il disabile che, essendo privo di lavoro, si è iscritto o ha chiesto di iscriversi negli elenchi speciali per l’avviamento al lavoro. Ha cioè attivato il meccanismo per l’assunzione obbligatoria”. La nuova disciplina, pur non esigendo più l’attivazione del meccanismo per l’assunzione obbligatoria, ha invece lasciato immutato l’onere del disabile di fornire la prova di non aver lavorato nel periodo interessato dalla domanda proposta.

Tale prova, in giudizio, potrà essere data con qualsiasi mezzo, anche mediante presunzioni (cfr., tra le altre, Cass. ord. n. 17932/2015, nn. 19833/2013,9502/2012) L’unico limite è costituito dal fatto che non potrà essere fornita con una mera dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con formalità previste dalla legge per le autocertificazioni, che può assumere rilievo solo nei rapporti amministrativi ed è, invece, priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale (Cass. n. 25800/2010). In tal senso va interpretata anche la previsione secondo cui attraverso dichiarazione sostitutiva, resa annualmente all’INPS ai sensi del T.U. di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46 e segg., il soggetto di cui al comma 1 autocertifica di non svolgere attività lavorativa….”. Trattasi di disposizione che vale a semplificare l’accertamento amministrativo, ma non interferisce con i principi processuali che regolano l’onere della prova.

Come osservato in Cass. n. 25800/2010, “secondo la giurisprudenza consolidata la prova dell’incollocamento al lavoro e del reddito per beneficiare delle prestazioni di invalidità civile non può essere data mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, essendo questa rilevante nei soli rapporti amministrativi ed invece priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale (Cass. S.U. n. 5167/2003).

In applicazione di tali principi, il ricorso dell’INPS risulta manifestamente infondato.

La sentenza di appello ha ritenuto il mancato svolgimento di attività lavorativa desumibile, in via presuntiva, dalle certificazioni in atti dell’Agenzia delle Entrate, alla stregua delle quali risultava che nell’anno 2013 la Rasile non aveva percepito alcun reddito.

Il ragionamento presuntivo sul quale è fondato l’accertamento del requisito de qua non risulta specificamente censurato da parte dell’INPS, neppure nei limiti in cui, in relazione ad esso, è ammesso il sindacato del giudice di legittimità. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo. (v. tra le altre, Cass. n. 8023/2009, n. 10847/2007).

Infine, non depongono nel senso preteso dall’istituto ricorrente le affermazioni di cui alla sentenza di questa Corte n. 1792 del 2011 riprodotte in ricorso, atteso che quella decisione, secondo quanto emerge dalla lettura del provvedimento, è stata resa in fattispecie in cui ratione temporis non trovava applicazione la disciplina dettata dalla L. n. 347 del 2007, art. 1, comma 35 e atteso che la questione controversia concerneva la possibilità di prova del requisito dell’incollocazione al lavoro anche con altri mezzi oltre quello dell’iscrizione nelle liste previste dalla L. n. 68 del 1999, art. 6.

Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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