Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24960 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/10/2019, (ud. 21/02/2019, dep. 07/10/2019), n.24960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Mario – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2078-2018 proposto da:

A.B., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato OLINDO DI FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, M.T. & C. SRL,

L.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 944/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

Fatto

RILEVATO

che:

A.B., agente di polizia di Stato, esponeva con ricorso notificato a Carige Ass.ni S.p.A., alla società M.T. & C s.a.s. e a L.S., che il giorno 5 ottobre 2002 mentre percorreva la strada statale n. 640 con direzione di marcia Agrigento, alla guida della propria autovettura, era stata investita dall’autocarro Mercedes di proprietà della ditta M. e condotto da L.S., il quale, nell’effettuare una curva a sinistra, aveva invaso la corsia percorsa dall’auto della ricorrente. Quest’ultima, per evitare l’urto frontale, aveva tentato una manovra di emergenza, sterzando sulla propria sinistra, senza però riuscire ad evitare l’impatto violento. L’autovettura aveva riportato danni rilevanti, tali da determinarne la rottamazione e la ricorrente aveva subito gravi lesioni;

si costituiva la Carige Ass.ni S.p.A. contestando le domande, mentre restavano contumaci le altre parti;

la causa, istruita con l’espletamento della prova testimoniale e della consulenza tecnica d’ufficio, era decisa con sentenza del Tribunale di Agrigento del 26 giugno 2013, che dichiarava la concorrente responsabilità di L.S. nella misura di un mezzo, condannando i resistenti al risarcimento dei danni e alla metà delle spese di lite;

avverso tale decisione proponeva appello A.B., deducendo la violazione dell’art. 2054 c.c. e degli artt. 2043 e 2059 c.c. poichè il Tribunale aveva recepito passivamente le conclusioni del consulente d’ufficio, trascurando le critiche mosse dalla difesa della danneggiata. Si costituiva Carige Ass.ni S.p.A. contestando l’impugnazione e formulando appello incidentale. La Corte territoriale disponeva nuova consulenza e l’acquisizione di quella espletata in primo grado;

con sentenza del 27 maggio 2017, la Corte d’Appello di Palermo rigettava l’appello principale e quello incidentale, compensando le spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione A.B. affidandosi a sei motivi.

Le parti intimate non svolgono attività processuale in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c.. La decisione sarebbe nulla perchè carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la Corte d’Appello a disattenderle. La Corte territoriale in maniera molto sbrigativa si sarebbe limitata a condividere le conclusioni del consulente d’ufficio;

con il secondo motivo deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.. Dalle risultanze processuali e dall’esame delle cartelle cliniche emergerebbe l’errore nel calcolo dell’inabilità temporanea totale e parziale, avendo il consulente di parte evidenziato che la presenza di un danno estetico avrebbe dovuto essere adeguatamente valutata “soprattutto per una ragazza di 24 anni”;

con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 132 e 196 c.p.c. e 111 Cost.. La possibilità per il giudice di limitarsi a condividere le argomentazioni tecniche svolte dal consulente di ufficio, sarebbe limitata al caso di critiche alla consulenza già valutate dal consulente d’ufficio e da questo superate con una motivata e convincente valutazione tecnica. Fattispecie non ricorrente nel caso di specie;

con il quarto motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 Infatti, la Corte d’Appello, a fronte di specifiche censure mosse alla consulenza d’ufficio, avrebbe dovuto dare adeguata ragione dell’adesione al parere del consulente di primo grado. Al contrario, il giudice di appello si sarebbe limitato a semplici espressioni di stile;

con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., degli artt. 112,115 e 116c.p.c. e degli artt. 185 e 590 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il giudice di primo grado non avrebbe adottato alcuna motivazione in ordine alla personalizzazione del danno e ciò in quanto la prassi di liquidare il danno morale in una frazione dell’importo liquidato a titolo di danno biologico, non esonererebbe il giudice dall’obbligo di dare conto del procedimento adottato per pervenire alla somma liquidata. In sede di gravame sarebbe stata censurata integralmente l’argomentazione del giudice di primo grado e la Corte territoriale non avrebbe compiuto una liquidazione unitaria e integrale del pregiudizio subito, tenendo conto oltre che dell’invalidità permanente, dell’età della danneggiata al momento del fatto e soprattutto del periodo di inabilità temporanea di circa quattro mesi. Sotto tale profilo il danno morale ricorrerebbe in re ipsa non richiedendo ulteriore dimostrazione, quando sia stata accertata la sussistenza di quello biologico. Si tratterebbe, comunque, di un pregiudizio che non può essere liquidato in termini irrisori, mentre la valutazione equitativa adottata dal primo giudice apparirebbe simbolica e non correlata alla entità delle lesioni subite. Il giudice di merito, in sostanza, avrebbe dovuto correttamente personalizzare il danno non patrimoniale;

con il sesto motivo si lamenta la violazione degli artt. 1226,2043,2056 e 2059 c.c. e degli artt. 112,115,116 e 196 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte avrebbe omesso di valutare la lesione del danno alla salute sotto il profilo esistenziale ed estetico;

i primi quattro motivi, valutabili unitariamente, sono infondati. Con specifico riferimento al primo motivo, la motivazione della Corte d’Appello, seppure sintetica (seconda metà di pagina 8), in considerazione dei rilievi svolti, come trascritti nel secondo motivo di gravame, appare adeguata;

non rilevano precedenti valutazioni del giudice di appello sulla necessità di una rinnovazione. La motivazione finale che conferma la prima c.t.u. è ragionevole ed argomentata, rilevando che le conclusioni del c.t.u. sono successive ai rilievi del c.t.p. e tali da considerare anche la relazione del predetto tecnico di parte. La Corte territoriale, inoltre, esamina gli elaborati che ritiene sostanzialmente coincidenti e argomenta le discrepanze attinenti profili secondari. Per il resto, la tesi della ricorrente secondo cui l’elaborato tecnico di parte sarebbe successivo alla c.t.u, è priva di elementi di riscontro e quindi di autosufficienza. Sotto tale profilo la memoria ex art. 380 bis c.p.c. non apporta elementi di novità;

opera, infatti, il principio secondo cui, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche “per relationem” dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Sez. 1 -, Ordinanza n. 15147 del 11/06/2018, Rv. 649560 – 01);

per il resto, con riferimento al primo motivo, parte ricorrente omette di trascrivere il contenuto del motivo di appello rispetto al quale deduce la “carente illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado”, e ciò in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6, non consentendo a questa Corte di operare una valutazione nel merito sulla fondatezza della censura;

le censure oggetto del secondo motivo (oltre che irritualmente riferite all’art. 360 c.p.c., n. 5 pur deducendo la violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.) riguardano profili fattuali e consistono in una istanza di rivalutazione del materiale istruttorio, richiedendo alla Corte di legittimità di comparare le considerazioni poste a sostegno della consulenza d’ufficio, nei termini sinteticamente riportati dalla ricorrente, con le valutazioni espresse dal consulente di parte, sulla base dei brevi passaggi estrapolati da tali elaborati peritali;

il terzo e quarto motivo sono inammissibili, perchè dedotti in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, risultando omessa la trascrizione della sentenza di primo grado, riguardo alla personalizzazione (pagina 13 del ricorso) e il relativo motivo di appello;

le ultime censure (motivi cinque e sei) si traducono in una valutazione, in fatto, demandata al giudice di merito e, comunque, presente in sentenza attraverso il rinvio alla c.t.u. e sono formulate in termini assolutamente generici: la ricorrente si limita a censurare la congruità della motivazione riguardo all’omessa valutazione e descrizione, sia del danno estetico, che di quello esistenziale attraverso una monetizzazione unitaria del danno non patrimoniale che risulti effettivamente congrua;

e la ricorrente non adduce perchè la personalizzazione, che pure – per quanto limitata – è stata operata, in ragione del 10%, debba considerarsi irrisoria in un contesto di valutazione comunque equitativa;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; nulla per le spese poichè la parte intimata non ha svolto attività processuale in questa sede. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 21 febbraio 2019.

Depositato in cancelleria il 7 ottobre 2019

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