Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24956 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/10/2019, (ud. 21/02/2019, dep. 07/10/2019), n.24956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27460-2017 proposto da:

D.M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASILINA

1665, presso lo studio dell’avvocato FULVIO ROMANELLI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso l’AREA LEGALE TERRITORIALE dell’Istituto medesimo,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2359/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

D.M.M. aveva sottoscritto in data 25 maggio 2010, un contratto per l’apertura di un libretto di risparmio presso l’ufficio postale di (OMISSIS) intestato disgiuntamente anche a A.M.P., convivente della D.M., deceduto nel (OMISSIS). Dopo il decesso l’erede, A.E., aveva prelevato la metà delle somme depositate, opponendosi ad ogni ulteriore operazione posta in essere dalla cointestataria. Al fine di ottenere la restante metà delle somme quest’ultima agiva nei confronti di Poste Italiane, che si costituiva contestando la pretesa. I giudici di primo e di secondo grado respingevano la domanda proposta dall’attrice;

avverso tale statuizione propone ricorso per cassazione D.M.M. sulla base di un unico motivo, che illustra con memoria. Resiste con controricorso Poste Italiane S.p.A..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo si deduce il difetto di motivazione logica e la violazione degli artt. 1298,1370 e 1371 c.c., in quanto il giudice di primo grado avrebbe erroneamente esteso la solidarietà attiva, oltre che nei confronti dei coeredi, anche della cointestataria del libretto di risparmio, così violando l’equilibrio esistente tra le parti del contratto. Sarebbe censurabile l’interpretazione delle clausole contrattuali delle Condizioni generali di contratto contenute nell’art. 4, commi 9, 10 e 11. L’art. 1298 c.c., inoltre, prevede una presunzione di parità delle quote nei rapporti interni tra debitori e creditori solidali e l’art. 1370 c.c., dispone che, in caso di dubbio interpretativo, le clausole predisposte dal contraente devono essere interpretate nella maniera più favorevole all’altro. Nello stesso modo l’art. 1371 c.c., prevede che, nell’ipotesi di dubbio interpretativo, il contratto deve essere interpretato nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti. Tali disposizioni sarebbero state violate, come pure l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nell’ipotesi di morte di un cointestatario del conto corrente, l’istituto di credito sarebbe obbligato a corrispondere, quanto meno, la metà del saldo disponibile alla data del decesso al cointestatario;

a prescindere dall’irritualità per la mancanza di asseverazione sulla copia informale della sentenza, estratta dal fascicolo informatico, il ricorso è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, per l’assoluta mancanza, nell’esposizione del fatto (pagina 3 del ricorso) del riferimento al contenuto ed alla motivazione delle sentenze di primo e secondo grado e ai motivi di appello, al fine di consentire a questa Corte di valutare l’eventuale presenza di un giudicato interno;

il ricorso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata;

in effetti il tenore dell’esposizione del fatto omette: a) la individuazione del giudice adito in primo grado e la specifica posizione adottata da Poste Italiane; b) le ragioni della decisione di primo grado; c) le modalità di svolgimento del giudizio di primo grado e la motivazione posta a sostegno della decisione del primo giudice; d) i motivi di appello; e) le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata. Lo scrutinio del ricorso risulta impossibile in ragione delle dette lacune;

a prescindere da ciò, il ricorso non si confronta con la sentenza impugnata, che ha affermato espressamente che il significato delle clausole delle condizioni generali di contratto è chiaro. Pertanto, il riferimento agli artt. 1370 e 1371 c.c., non è specifico, perchè l’interpretazione “contra stipulatorem” opera solo nel caso di insufficienza degli altri criteri legali, la cui violazione non è neppure illustrata adeguatamente. Analoghe considerazioni riguardano il richiamo all’art. 1298 c.c., in quanto la ricorrente non ha contestato la premessa giuridica da cui muove la Corte territoriale (applicabilità delle condizioni generali di contratto) e la memoria non aggiunge elementi di novità;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3 il 21 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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