Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24955 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/10/2019, (ud. 21/02/2019, dep. 07/10/2019), n.24955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26919-2017 proposto da:

G.N., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA UGO

DA COMO 9, presso lo studio dell’avvocato ANDREA BARBUTO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE DELLE MARCHE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 541/2017 del TRIBUNALE di PERUGIA, depositata

il 27/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 4 novembre 2014, G.N. deduceva di essere dipendente dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche, in qualità di medico del centro presso l’ASUR di (OMISSIS) (subentrata per incorporazione alle precedenti UUSSLL, tra cui quella di (OMISSIS)) e che, a seguito di un lungo contenzioso instaurato nel 1993 con la ASL di (OMISSIS) del tempo, era stata condannata – a seguito di sentenza della Corte di Cassazione – al pagamento delle spese di lite, oltre accessori di legge. A seguito di ciò l’ASUR aveva comunicato all’attrice la trattenuta di un importo pari al quinto dello stipendio con la causale “sentenza giudiziaria”. Nel ritenere tale trattenuta del tutto illegittima, perchè disposta in assenza di titolo esecutivo, e sulla base di una condotta di abuso, tanto da integrare il reato di appropriazione indebita, lamentava di avere subito un danno biologico e la lesione di diritti inviolabili della persona, tra cui quello al lavoro, richiedendo il risarcimento nella misura di Euro 5000;

costituitasi, l’azienda contestava la domanda, deducendo di avere effettuato una compensazione tra le somme di cui era creditrice e quelle dovute a titolo di retribuzione dell’attrice;

il Giudice di pace riteneva insussistente un pregiudizio patrimoniale nei confronti della G., in quanto, nelle more del giudizio, la somma pignorata era stata restituita all’attrice;

con atto di citazione G.N. chiedeva la riforma della sentenza e il riconoscimento dell’illiceità della condotta posta in essere dalla azienda. Si costituiva quest’ultima contestando la pretesa e chiedendo la condanna di controparte al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Il Tribunale di Perugia, con sentenza del 27 marzo 2017, rigettava l’appello e la richiesta di danni per lite temeraria, condannando la parte appellante al pagamento delle spese di lite;

rilevava il Tribunale che la decisione della Corte di Cassazione costituiva valido titolo esecutivo e che il difensore della G. avrebbe dovuto informare la cliente, sin da marzo 2014, della soccombenza della stessa, mentre la trattenuta dello stipendio aveva avuto inizio dopo sette mesi dalla conoscenza della decisione. Rilevava che l’azienda aveva successivamente, di spontanea volontà, provveduto alla restituzione della somma trattenuta sullo stipendio e che, nonostante tale comportamento, la G. avrebbe instaurato il giudizio davanti al Giudice di pace di Perugia. Tali elementi escluderebbero la sussistenza di un’azione vessatoria da parte dell’Azienda Sanitaria. Sotto altro profilo i danni subiti dall’attrice deriverebbero, secondo la prospettazione attorea, non dall’esito della decisione della Corte di Cassazione, ma dalla condotta vessatoria perpetrata dalla Azienda Sanitaria, la quale, però, già in data 10 dicembre 2014 avrebbe rinunziato ad operare la trattenuta e cioè in data precedente a quella della notifica dell’atto di citazione (4 novembre 2014). Il pregiudizio, pertanto, avrebbe dovuto riferirsi al breve periodo intercorrente tra la lettera del 15 ottobre 2014 e l’inizio del giudizio di primo grado. Sulla base di tali elementi la pretesa risulterebbe irragionevole poichè, verosimilmente, riferita alla vertenza ultraventennale e non all’ultimo episodio. Ciò consentirebbe di escludere il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. In ogni caso il pregiudizio non troverebbe riscontro probatorio avendo le parti chiesto di fissare l’udienza di precisazione delle conclusioni, con ciò implicitamente rinunziando alla indicazione del nominativo dei testimoni da escutere;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione G.N. affidandosi a due motivi. L’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche non deposita controricorso, ma memoria ex art. 380 bis c.p.c., oltre il termine, in data 16 febbraio 2019.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 320 c.p.c., davanti al giudice di prime cure l’azienda convenuta aveva preliminarmente eccepito la competenza del Tribunale di Ancona quale giudice del lavoro. L’eccezione era stata contrastata dalla G. rilevando che il giudizio aveva ad oggetto un’azione di risarcimento dei danni provocati dal comportamento illegittimo tenuto dalla Azienda Sanitaria. Dopo il deposito di note, all’udienza del 12 maggio 2015, a fronte dell’eccezione preliminare sollevata dall’Azienda Sanitaria, l’attrice aveva chiesto termine ai sensi dell’art. 320 c.p.c., mentre il Giudice di pace, dopo avere riservato la decisione, aveva fissato l’udienza di precisazione delle conclusioni. In quella sede sarebbe stata reiterata la richiesta di termine ai sensi dell’art. 320 c.p.c.. In sede di appello la questione sarebbe stata nuovamente dedotta, quale violazione del diritto di difesa della ricorrente, che non avrebbe potuto “richiedere attività probatorie”;

con il secondo motivo si lamenta la nullità delle sentenze di primo grado e di appello, ai sensi dell’art. 321 c.p.c., rilevando che la discussione oggetto del procedimento di primo grado aveva riguardato esclusivamente l’eccezione di incompetenza sollevata dalla Azienda Sanitaria;

il primo motivo, peraltro riferito (come anche il secondo) a violazioni di legge da parte del Giudice di pace e non del Tribunale, non contrasta la seconda motivazione autonoma, con la quale il Tribunale ha superato il corrispondente motivo di appello, rilevando che le parti avevano rinunciato alle istanze istruttorie, avendo entrambe chiesto la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni. Ricorre l’ipotesi di autonoma motivazione, idonea a giustificare la decisione adottata a causa dell’assenza di prova. Non avendo la parte adeguatamente contrastato tale argomentazione, discende l’inammissibilità del motivo per carenza di interesse sul punto ex art. 100 c.p.c;

il secondo motivo è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 riguardo all’omessa trascrizione o allegazione del verbale di udienza di cui si discute. Il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016, Rv. 642130 – 01);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione in questa sede e il deposito fuori termine della memoria ex art. 380 bis c.p.c., Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 21 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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