Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24953 del 23/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/10/2017, (ud. 20/09/2017, dep.23/10/2017),  n. 24953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20592/2014 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

G.T., FALLIMENTO (OMISSIS) S.C. A R.L., TRIAL SERVICE

S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 263/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 25/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 20/09/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di appello di Brescia, con sentenza del 28.1.2014, in accoglimento del gravame proposto da G.T., ed in riforma della sentenza di primo grado, – che ne aveva rigettato la domanda proposta nei confronti del Ministero dell’Interno e della Difesa ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 – accoglieva il ricorso originario e, dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Difesa, condannava il Ministero dell’Interno, quale committente dei servizi di pulizia presso le caserme di Carabinieri e Polizia di Stato nella provincia di Brescia, in solido con le società appaltatrici, datrici di lavoro della G., al pagamento delle somme da quest’ultima rivendicate a titolo di differenze retributive;

che la Corte d’appello di Brescia, per quel che qui interessa, precisava che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 (nella versione applicabile ratione temporis) non faceva alcuna distinzione tra committenti privati e committenti pubblici, nè tra contratto pubblico di appalto di servizi (disciplinato dal D.Lgs. n. 163 del 2006) e contratto di appalto di diritto comune (disciplinato dagli art. 1655 c.c. e segg.) e che, d’altra parte, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, doveva essere interpretato alla luce della legge delega, per salvaguardarne la confotinità con l’art. 76 Cost., a ciò conseguendo che, diversamente da quanto sostenuto dal Ministero appellato, le amministrazioni non potessero dirsi escluse tout court dall’applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003 cit.;

che di tale decisione il Ministero dell’Interno chiede la cassazione, affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui non hanno opposto difese la G. e le società appaltarici, rimaste intimate;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alla parte ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

2. che viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, art. 29, comma 2, Legge Delega n. 30 del 2003, art. 6, anche in combinato disposto con l’art. 1676 c.c.;

che si sostiene che il tenore letterale dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. cit. è tale da evidenziare la volontà del legislatore di escludere dal campo di operatività del decreto sia il personale delle pubbliche amministrazioni, sia le pubbliche amministrazioni in quanto tali, e che la solidarietà prevista dall’art. 29, comma 2, D.Lgs. cit. non può riguardare l’amministrazione pubblica come datore di lavoro del personale assunto nelle forme del pubblico impiego, visto che la norma ha sempre riferimento a soggetti che operano nel mercato; che si rileva che la Legge Delega n. 30 del 2003, affidava al legislatore delegato il compito di introdurre “un regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore nei limiti di cui all’art. 1676 c.c., per le ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso ad una cessione di ramo d’azienda”, con ciò confortando un’interpretazione della normativa difforme da quella seguita dalla Corte territoriale;

che si evidenzia come sia ben diversa la posizione della P.A., la cui attività negoziale è strettamente vincolata da norme amministrative di origine nazionale e comunitaria che sanciscono il principio dell’evidenza pubblica e che il corpus normativo raccolto nel Codice degli appalti e nella normativa applicativa ha carattere speciale ed esaustivo, prevedendo la disciplina dei contratti pubblici una selezione ex ante dei contraenti pubblici con criteri molto stringenti (nonchè, ex post, ma nei limiti dell’art. 1676 c.c.), laddove in ambito privatistico la sanzione interviene ex post per effetto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29;

3. che il ricorso è fondato, in conformità a quanto già ritenuto da questa Corte nella pronuncia del 7.7.2014 n. 15432 e nella successiva del 10.10.2016 n. 20327, alle cui argomentazioni ci si riporta, non essendovi ragione per dissentire dai principi nelle stesse affermati in relazione alla soluzione della specifica questione oggetto del presente giudizio;

4. che, come evidenziato nei citati precedenti di legittimità, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, nel prevedere che “il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale” è chiaro nell’individuare il destinatario della esclusione, riferita all’intero decreto, innanzitutto nell’ente pubblico, e che non è ravvisabile il prospettato vizio di eccesso di delega rispetto alla L. n. 30 del 2003, art. 6, in quanto questo riguarda esclusivamente i rapporti fra legge delegante e decreto legislativo delegato, ma viene meno nei casi in cui il legislatore, intervenendo nuovamente sul testo normativo, trasformi la natura della norma da legge in senso materiale a legge in senso formale, affrancandola dal vizio di eccesso di delega, come si è verificato nella specie (cfr. Cass. 15432/2014cit., che, attraverso il richiamo alla ordinanza della Corte Costituzionale n. 5 del 2013, ha evidenziato come la disciplina della responsabilità solidale del committente, dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, è stata oggetto di plurimi interventi del legislatore, successivi ed estranei al rapporto di delegazione, che hanno fatto venire meno ogni rilevanza dell’eventuale vizio originario);

5. che, una volta escluso che dell’art. 1, comma 2 del D.Lgs., possa essere interpretato nei termini indicati dalla Corte territoriale, è sufficiente il richiamo alla norma generale per affermare la inapplicabilità alle pubbliche amministrazioni della responsabilità solidale del committente prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2;

6. che non sono, poi, condivisibili le argomentazioni della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la natura interpretativa e la retroattività della norma sopravvenuta di cui al D.L. n. 76 del 2013, art. 9, comma 1, conv. dalla L. n. 99 del 2013 e per ciò solo ha ritenuto il carattere innovativo della stessa, dal quale ha tratto conferma della esattezza della esegesi data al testo normativo vigente in epoca antecedente alla entrata in vigore della nuova disposizione;

che invero è stato chiarito (cfr. Cass. 20327/2016 cit.) che il tenore della nuova disposizione, con la quale il legislatore ha espressamente previsto la inapplicabilità dell’art. 29 agli appalti stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, non consente di affermare che l’intervento sia stato finalizzato anche ad imporre una interpretazione della normativa previgente, con efficacia retroattiva, ma che tuttavia non può per ciò solo affermarsi il carattere innovativo della disposizione, giacchè il legislatore può anche formulare in modo più chiaro ed appropriato una norma preesistente, dettando una nuova disciplina che provveda a regolare per il futuro la materia attraverso precetti non dissimili da quelli previgenti;

che, in sintesi, ferma restando la irretroattività della normativa, non è impedito all’interprete, all’esito di una comparazione fra il quadro normativo previgente e quello modificato, escludere il carattere innovativo della disposizione e ritenere che il precetto, reso esplicito, fosse già desumibile dalla norma preesistente, così come è stato ritenuto nella specie;

7. che, infine, la estensione anche agli appalti stipulati dalla pubblica amministrazione della responsabilità solidale del committente non può essere affermata facendo leva sulla necessità di assicurare al lavoratore impegnato nella esecuzione di un appalto pubblico la medesima tutela riconosciuta per gli appalti privati e che la Corte territoriale così argomentando non ha considerato le peculiarità proprie delle due situazioni a confronto che giustificano senz’altro la diversità delle discipline, dettate al fine di contemperare, in ciascun ambito, i diversi interessi che vengono in rilievo;

che, invero, mentre nell’appalto privato il committente non incontra alcun limite nella scelta del contraente e, quindi, potrebbe essere indotto ad affidare i lavori all’impresa che richieda il corrispettivo più basso e che perciò non offra alcuna garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte con le maestranze impegnate nell’appalto, nelle procedure di evidenza pubblica la tutela dei lavoratori è assicurata sin dal momento della scelta del contraente, poichè nella valutazione delle offerte” gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza…” (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 86) e ad effettuare controlli preventivi volti ad accertare non solo la solidità del concorrente ma anche il rispetto da parte dello stesso della normativa in materia di sicurezza, degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, degli adempimenti previdenziali ed assistenziali (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 38). Inoltre, come già evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 15432/2014, alla cui motivazione si fa rinvio per la trattazione analitica di detti aspetti, anche nel corso della esecuzione dell’appalto la stazione appaltante è tenuta a verificare l’esattezza dell’adempimento degli obblighi assunti dall’appaltatore nei confronti dei prestatori e, in caso di esito negativo della verifica, può attivare l’intervento sostitutivo, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’esecutore del contratto. Si tratta, quindi, di un complesso articolato di tutele volte tutte ad assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori, tutele che difettano nell’appalto privato, e che compensano la mancata previsione per gli appalti pubblici della responsabilità solidale prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, non applicabile alla pubblica amministrazione perchè in contrasto con il principio generale (oggi rafforzato dal nuovo testo dell’art. 81 Cost., che affida alla legge ordinaria il compito di fissare “i criteri volti ad assicurare l’equilibrio fra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni”) in forza del quale gli enti pubblici sono tenuti a predeterminare la spesa e, quindi, non possono sottoscrivere contratti che li espongano ad esborsi non previamente preventivati e deliberati. Mentre l’intervento sostitutivo di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, al pari della responsabilità prevista dall’art. 1676 c.c., applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, opera nei limiti di quanto è dovuto dal committente all’appaltatore, l’art. 29, nel testo applicabile alla fattispecie razione temporis, consente solo al committente di avvalersi del beneficio della preventiva escussione ma, ove questa si riveli infruttuosa, comporta la responsabilità dell’appaltante anche nella ipotesi in cui lo stesso abbia già adempiuto per intero la sua obbligazione nei confronti dell’appaltatore. E’ stato evidenziato come detta responsabilità non possa essere estesa alle pubbliche amministrazioni in relazione alle quali vengono in rilievo interessi di carattere generale che sarebbero frustrati ove si consentisse la lievitazione del costo dell’opera pubblica quale conseguenza dell’inadempimento dell’appaltatore (cfr., in tali termini, Cass. 15432/14);

8. che, conclusivamente, la diversità delle situazioni a confronto e degli interessi che in ciascun ambito vengono in rilievo giustifica la diversa disciplina;

9. che, pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va accolto con conseguente cassazione della decisione e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa con il rigetto della domanda originariamente proposta dalla G. nei confronti del committente, Ministero dell’Interno;

10. che la complessità delle questioni trattate, l’assenza di orientamenti univoci della giurisprudenza di merito ed il recente consolidarsi dell’orientamento di questa Corte, successivamente alla proposizione del presente ricorso, giustificano la integrale compensazione delle spese dell’intero processo.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originariamente proposta nei confronti del Ministero.

Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017

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