Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24953 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. III, 06/11/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 06/11/2020), n.24953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23076-2018 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN

SEBASTIANELLO 6, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE CAPPIELLO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA PISANI

MASSAMORMILE;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) ARL in liquidazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Nicola Rascio, elettivamente domiciliato in Roma alla via

XX Settembre 3 presso lo Studio Sandulli e Associati;

– controricorrente –

nonchè

MORES s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Massimo De Martino ed

elettivamente domiciliato in ROMA, alla via San Sebastianello n. 6

presso l’avv. Raffaele Cappiello;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) ARL in liquidazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Nicola Rascio, elettivamente domiciliato in Roma alla via

XX Settembre 3 presso lo Studio Sandulli e Associati;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1128/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2020 dal Consigliere Dott. SCODITTI ENRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

il Fallimento del (OMISSIS) s.c.r.l. in liquidazione, con atto notificato in data 1 marzo 2013, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli L.A. e Moreb s.r.l., proponendo azione revocatoria del contratto preliminare di vendita immobiliare del 13 novembre 2008 e del contratto definitivo di data 19 marzo 2009, con cui il primo aveva ceduto la nuda proprietà alla seconda, deducendo di avere proposto azione di responsabilità nei confronti del L. quale amministratore della società fallita dal 2001 al 2009. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello la curatela fallimentare. Con sentenza di data 8 marzo 2018 la Corte d’appello di Napoli accolse l’appello dichiarando l’inefficacia ai sensi dell’art. 2901 c.c., degli atti impugnati.

Osservò la corte territoriale che il collegamento fra Moreb e (OMISSIS) s.p.a., coprotagonista secondo la curatela degli atti di mala gestio imputati agli amministratori della (OMISSIS), costituiva indizio che escludeva che l’acquirente fosse del tutto all’oscuro delle vicende che avevano interessato la società fallita ed i suoi amministratori e che la consapevolezza del terzo acquirente circa il pregiudizio alle ragioni del creditore, oltre che l’eventus damni (per effetto degli atti di disposizione il patrimonio del L. risultava completamente sottratto alla garanzia dei creditori), era ulteriormente comprovata dalla sproporzione fra il prezzo di acquisto (Euro 285.000,00) ed il valore determinato dal CTU con riferimento all’epoca dei fatti (Euro 1.468.207,35), oltre la circostanza della promessa di vendita conclusa da Moreb due anni dopo l’acquisto per il doppio del prezzo di acquisto. Aggiunse che ricorrevano i presupposti della fattispecie di cui all’art. 2909 c.c.: il Fallimento era titolare di un credito da fatto illecito, ancora sub iudice, già insorto all’epoca degli atti dispositivi (il L. era nel consiglio di amministrazione di una società in situazione di scioglimento e di insolvenza fin dal marzo 2007, percepibile dagli amministratori, che nondimeno avevano proseguito nell’ordinaria gestione, determinando ulteriori perdite); la vendita a prezzo vile dell’intero patrimonio immobiliare costituiva evento pregiudizievole per i creditori; l’esistenza e consapevolezza da parte del debitore e del terzo acquirente del pregiudizio alle ragioni del creditore erano in re ipsa, ed a maggior ragione era ravvisabile la scientia damni non potendosi considerare la società acquirente all’oscuro delle vicende che avevano interessato (OMISSIS) ed i suoi amministratori ed essendo sempre stata partecipe alla complessiva operazione posta in essere per la liquidazione del patrimonio del L..

Hanno proposto distinti ricorsi per cassazione L.A. sulla base di tre motivi e Moreb s.r.l. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso, nei confronti di ciascun ricorso, il Fallimento del (OMISSIS) s.c.r.l. in liquidazione. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1. E’ stata disposta la riunione delle impugnazioni. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con il primo motivo del ricorso proposto da L.A. si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la curatela ha preteso di provare la dolosa preordinazione sia del venditore che del terzo acquirente sulla base del collegamento fra il L. e (OMISSIS) s.p.a. e fra quest’ultima e l’acquirente e che il giudice di appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ha omesso di pronunciare sulle eccezioni sollevate in sede di appello dal L. medesimo, e cioè che non vi era il contestato legame familiare fra il L. e l’amministratore unico di (OMISSIS) in quanto, come si evinceva dall’interrogatorio nel procedimento penale di D.G.F., proprietario di (OMISSIS) era quest’ultimo e che socio unico di Moreb era (OMISSIS) s.p.a., società fiduciaria di primaria importanza appartenente ad uno dei maggiori gruppi bancari ((OMISSIS) s.p.a.), circostanza questa che rendeva non verosimile la condotta ascritta alla società.

Il motivo è inammissibile. In primo luogo la censura non coglie la ratio decidendi ed è dunque priva di decisività. L’elemento soggettivo rilevante per la sentenza impugnata, coerentemente alla riconosciuta antecedenza del credito rispetto all’atto impugnato, è la consapevolezza del terzo del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore e non la dolosa preordinazione, sulla quale invece verte il motivo di ricorso.

In secondo luogo, con riferimento alla denuncia di mancata pronuncia su eccezione di merito sollevata in sede di appello, va rammentato che non ricorre il vizio di omesso esame di un’eccezione che, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicchè il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto di cui sarebbe stato pretermesso l’esame (Cass. 29 luglio 2004, n. 14486). La censura è stata formulata irritualmente nei termini di violazione del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, laddove deve considerarsi che le eccezioni in questione risultano incompatibili con la decisione adottata dal giudice di merito ed il relativo percorso motivazionale.

Con il secondo motivo del ricorso proposto da L.A., ed il primo motivo del ricorso proposto da Moreb s.r.l., si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2901,2697 e 2727 c.c., art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che gli atti sono stati compiuti prima del sorgere del credito (in realtà mai sorto) perchè il decreto di scioglimento della società è del 19 marzo 2009 e che la curatela fallimentare avrebbe dovuto dimostrare la dolosa preordinazione di entrambe le parti del contratto. Aggiungono che non vi è neanche un’aspettativa di credito prima della proposizione dell’azione di responsabilità verso l’amministratore della società e che non vi è prova nè della lesione del principio di cui all’art. 2740 c.c. nè dell’anteriorità del credito rispetto alla vendita.

Il motivo è inammissibile. Il giudice di merito ha accertato che il Fallimento era titolare di un credito da fatto illecito già insorto all’epoca degli atti dispositivi, considerando in particolare che il L. era nel consiglio di amministrazione di una società in situazione di scioglimento e di insolvenza fin dal marzo 2007, percepibile dagli amministratori, che nondimeno avevano proseguito nell’ordinaria gestione, determinando ulteriori perdite. Trattasi di giudizio di fatto non sindacabile nella presente sede di legittimità se non nelle forme della rituale denuncia di vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie non proposta con il motivo in esame.

Va inoltre evidenziato che nel motivo di censura si sollevano profili di stretta valutazione della prova, riservati in quanto tali alla competenza del giudice di merito (salvo gli aspetti afferenti alla motivazione ed al rispetto delle pertinenti norme di diritto). Non comprensibile, e pertanto carente di specificità, è poi il motivo di censura nella parte in cui, riferendo dell’inesistenza del credito prima dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore della società, sembra affermare che il credito, per il quale si chieda l’accertamento giudiziale, sorga per effetto del medesimo provvedimento giudiziale.

Con il terzo motivo del ricorso proposto da L.A., ed il secondo motivo del ricorso proposto da Moreb s.r.l., si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., art. 115 c.p.c.. Osservano i ricorrenti che nessun argomento è stato dal giudice di appello speso per ravvisare l’esistenza del requisito psicologico in capo all’acquirente, laddove invece le risultanze processuali escludevano la ricorrenza di tale requisito. Aggiungono che, non avendo la curatela mai contestato tali circostanze eccepite dalle controparti, doveva farsi applicazione del principio di non contestazione.

Il motivo è inammissibile. La censura consta di due submotivi. Con il primo submotivo si denuncia l’esistenza di vizio motivazionale. La denuncia non è stata formulata nel rispetto del vigente parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non avendo i ricorrenti specificatamente denunciato l’omesso esame di fatto decisivo e controverso, ma solo un’insufficienza motivazionale e la presenza di risultanze istruttorie di segno diverso dalla valutazione del giudice di merito.

Con il secondo submotivo si contesta la violazione del principio di non contestazione. Anche tale censura è formulata in modo irrituale. In primo luogo si riconduce l’oggetto dalla non contestazione non ad uno specifico fatto, ma alla difesa della controparte avente ad oggetto la carenza del requisito soggettivo in capo all’acquirente, e dunque ad un contegno processuale. In secondo luogo quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (Cass. n. 16655 del 2016), onere processuale nella specie non assolto.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè i ricorsi sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e vengono disattesi, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi.

Condanna L.A. al pagamento, in favore del Fallimento del (OMISSIS) s.c.r.l. in liquidazione, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Condanna Moreb s.r.l. al pagamento, in favore del Fallimento del (OMISSIS) s.c.r.l. in liquidazione, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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