Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24952 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. II, 06/12/2016, (ud. 20/09/2016, dep. 06/12/2016), n.24952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1249/2012 proposto da:

S.F., (OMISSIS), P.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA, 32, presso lo studio

dell’avvocato MARIO MENGHINI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GABRIELE BRUYERE;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO VIA (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 19, presso lo

studio dell’avvocato ALDO LUCIO LANIA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VIRGINIO AZZALINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 914/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato LANIA Aldo Lucio, difensore del resistente, che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 La Corte d’Appello di Torino, con sentenza 14.6.2011 ha respinto il gravame proposto da S.F. e P.A.contro la sentenza 6.8.2007 del Tribunale che li aveva condannati a pagare in favore del Condominio di via (OMISSIS) la somma di Euro 9.832,89 (pari al 50% dell’intero) a titolo di rimborso spese di riparazione di un muro comune.

Per giungere a tale soluzione la Corte piemontese ha osservato, per quanto qui interessa:

– che la contestazione sulla appartenenza del diritto controverso non attiene alla legittimazione ad causam, ma alla fondatezza della domanda nel merito, costituendo eccezione in senso proprio, come tale non rilevabile di ufficio e quindi inammissibile ex art. 345 c.p.c., se sollevata per la prima volta in appello;

– che non risultava provata l’assenza delle condizioni per applicare l’art. 882 c.c., perchè gli appellanti non avevano dimostrato la responsabilità di altri soggetti, nè era ammissibile una indagine ufficiosa al riguardo;

– che la rinunzia parziale alla comproprietà del muro (risultante dall’atto notarile prodotto dagli appellanti) non è prevista dalla legge e comunque non esonera dal dovere di contribuire alle spese di riparazione.

2 Contro tale sentenza lo S. e la P. ricorrono per Cassazione con unico motivo illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., a cui resiste il Condominio di via (OMISSIS) con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 99,100,101,102 e 345 c.p.c., nonchè l’omessa e insufficiente motivazione dolendosi del mancato accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata in appello. Affermano di non essere mai stati comproprietari del muro non avendone mai acquistato la comunione, come si evince dal loro atto di acquisto. Sostengono la tesi della rilevabilità di ufficio del difetto di legittimazione passiva in ogni stato e grado del giudizio, rilevando che già il Tribunale avrebbe dovuto provvedere in tal senso e lo stesso avrebbe dovuto fare la Corte d’Appello perchè nel titolo di proprietà (atto per notaio Podio) depositato nel giudizio di primo grado vi erano tutti gli elementi per risolvere la questione.

Questa censura è infondata, anche se si rende necessario correggere la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., essendo comunque il dispositivo conforme al diritto.

Le sezioni unite, intervenute di recente per dirimere un contrasto sulla natura giuridica della contestazione in ordine alla reale titolarità attiva o passiva del diritto sostanziale dedotto in giudizio, hanno affermato il principio secondo cui le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti (cfr. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016 Rv. 638372).

Nel caso che ci occupa, dagli atti del giudizio di primo grado non era certamente rilevabile la prova dei fatti impeditivi della titolarità del diritto di comproprietà sul muro su cui oggi i ricorrenti incentrano la loro difesa perchè il loro titolo di acquisto (l’atto per notaio P. del 3.4.1980) non fu prodotto davanti al Tribunale, ma solo in appello, come si evince chiaramente dalla consultazione del fascicolo di parte che la natura procedurale del vizio dedotto consente di compiere in questa sede (v. fascicolo di parte davanti al Tribunale e attestazione di deposito del 21.3.2011 in appello).

E’ vero che, come affermato dalle sezioni unite, la titolarità della posizione soggettiva è un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l’attore ha l’onere di allegare e di provare; ma è altrettanto vero che – come pure precisato dalle sezioni unite – essa (cioè la titolarità della posizione soggettiva, ndr) può essere provata in positivo dall’attore, ma può dirsi provata anche in forza del comportamento processuale del convenuto, qualora quest’ultimo riconosca espressamente detta titolarità oppure svolga difese che siano incompatibili con la negazione della titolarità (v. S.U. sentenza n. 29051/2016 cit. in motivazione)

Ebbene, in primo grado il Condominio era stato chiamato a confrontarsi con una tesi difensiva che dava assolutamente per scontata la comproprietà originaria del muro, tant’è che invocava un successivo atto di rinunzia parziale a tale comproprietà: dunque non si vede perchè mai, a fronte di una simile condotta processuale dei convenuti, l’attore dovesse farsi carico di un ulteriore onere probatorio – volto cioè a dimostrare che lo S. e la P., unitamente alla loro unità abitativa, avevano acquistato anche la comunione del muro – onere non reso necessario dalla difesa avversaria, ma anzi reso superfluo (v. in particolare atto di rinunzia parziale a comunione di muro in data 15.7.2002 regolarmente prodotto).

Per le stesse ragioni, non può condividersi l’affermazione dei ricorrenti secondo cui anche il Tribunale aveva l’onere di rilevare di ufficio il difetto della titolarità dal lato passivo del rapporto.

La produzione – lo si ripete – per la prima volta in appello dell’atto P. da parte del nuovo difensore degli S.- P. si poneva decisamente in contrasto con la previsione dell’art. 345 c.p.c., trattandosi di documento nuovo e dunque il suo esame era precluso alla Corte torinese, non essendo stata neppure dedotta l’impossibilità, per causa non imputabile, della produzione in primo grado, o l’indispensabilità.

Nè – contrariamente a quanto sostenuto in ricorso – risulta che l’atto P., perno della tesi oggi sostenuta dagli S.- P., fosse stato prodotto in giudizio dal Condominio perchè esso non si rinviene neppure nel fascicolo dell’attore (del resto, nemmeno l’indice lo riporta).

In conclusione, l’errore di fondo in cui mostrano di incorrere i ricorrenti – e lo dimostra chiaramente il contenuto della memoria ex art. 378 – sta nel richiamare sic et simpliciter la regola della proponibilità delle mere difese “in ogni fase del giudizio” senza però coordinarla con gli altri principi generali, come quello, pure richiamato dalle sezioni unite, della prova della titolarità della posizione soggettiva desumibile anche dalle difese del convenuto (v. sopra) e quello del divieto di produzione di nuovi documenti in appello di cui all’art. 345 c.p.c..

Il ricorso va pertanto respinto con addebito di spese alla parte soccombente.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200.00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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