Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24952 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. III, 06/11/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 06/11/2020), n.24952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4254-2019 proposto da:

I.C., I.L., elettivamente domiciliati presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e difesi

dall’avvocato VINCENZO NARDELLI;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SPA elettivamente domiciliata in ROMA, L.GO DI TORRE

ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7333/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2020 dal Consigliere Dott. OLIVIERI STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 21.11.2018 n. 7333, ha rigettato l’appello proposto da L. e I.C., avverso la sentenza n. 1144/2016 del Tribunale di Latina che aveva rigettato la domanda di condanna al risarcimento danni dai predetti proposta nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. e fondata sull’asserito illecito commesso dalla banca, consistito nel non avere concesso il frazionamento del mutuo fondiario ipotecario – che era stato contratto dalla società costruttrice Impresa Edile soc. coop. a r.l. – al momento della stipula dei contratti di compravendita relativi alle unità immobiliari già costruite, e nell’avere così causato il fallimento della predetta impresa, con il conseguente danno patito dagli I., promissari acquirenti, per la perdita delle somme corrisposte a titolo di acconto sul prezzo.

La Corte territoriale ha accolto la eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sia in relazione al termine breve ex art. 2947 c.c. (ove l’illecito dovesse riguardarsi sotto il profilo della responsabilità extracontrattuale), sia in relazione al termine ordinario ex art. 2946 c.c. (nella ipotesi – peraltro esclusa dalla stessa Corte d’appello in base al disposto della L. n. 175 del 1991 vigente “ratione temporis” – in cui i promissari acquirenti avessero vantato un “proprio” diritto al frazionamento), dovendo essere individuato il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione, in entrambi i casi, alla data 22.3.1995 della stipula del primo atto di cessione immobiliare e contestuale richiesta di frazionamento del mutuo, inevasa dalla banca, con conseguente estinzione del credito risarcitorio, essendo stato notificato l’atto introduttivo del giudizio soltanto in data 8.9.2008.

Il Giudice di appello ha esaminato, inoltre, anche il merito, ritenendo comunque infondata la pretesa, in considerazione sia dell’assenza di un obbligo di provvedere violato dalla banca, sia della valutazione discrezionale, esclusivamente riservata a quest’ultima, circa la scelta del mantenimento dell’originario debitore, sia ancora della inesistenza di un nesso di derivazione causale tra l’omesso esercizio della facoltà di frazionamento del mutuo ed il danno patrimoniale lamentato dagli I..

La sentenza di appello, notificata a mezzo PEC in data 22.11.2018, è stata ritualmente impugnata per cassazione da L. e I.C. con ricorso affidato a cinque motivi.

Resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a..

I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La eccezione di improcedibilità del ricorso formulata ai sensi dell’art. 369 c.p.c., dalla parte resistente è infondata.

I ricorrenti hanno indicato in calce al ricorso l’elenco degli atti e documenti posti a fondamento delle censure svolte, ed hanno anche individuato all’interno dei singoli motivi esposti, il luogo processuale ove gli stessi possono essere rinvenuti nei fascicoli dei gradi di merito.

Primo motivo: violazione degli artt. 2935,2946 e 2947 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostengo i ricorrenti che la Corte d’appello, individuando il “dies a quo” di decorrenza dei termini prescrizionali, breve ed ordinario, ha violato la norma che ricollega la decorrenza della prescrizione al momento in cui il diritto può ritenersi insorto, essendosi perfezionati tutti gli elementi della fattispecie costitutiva, come oggettivamente percepibili dal danneggiato nella loro esistenza, non potendo ravvisarsi tale momento nella mera stipula “inter alios” di un distinto contratto di vendita.

Secondo motivo: omessa considerazione di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Terzo motivo: violazione artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2727 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo i ricorrenti reiterano la medesima censura formulata con il primo motivo, sotto il diverso profilo dell'”errore in fatto”, deducendo che il Giudice id appello non aveva tenuto in considerazione i fatti esposti nei documenti prodotti in primo grado, dai quali emergeva che gli I. erano venuti a conoscenza della condotta illecita della banca non prima del 30.10.1996, data in cui il primo acquirente di uno degli immobili costruiti, Bato Strutture s.r.l., aveva opposto, ex art. 1460 c.c., ad Impresa Edile soc. coop. a r.l., la sospensione del pagamento prezzo finchè non fosse stata effettuata la suddivisione della quota mutuo da accollare all’acquirente con il relativo frazionamento della ipoteca.

Con il terzo motivo, ribadiscono l’errore commesso dalla Corte d’appello, in quanto i fatti rappresentati nei documenti prodotti in primo grado non erano stati contestati da Banca (OMISSIS) s.p.a..

Il terzo motivo (violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., comma 1) è inammissibile.

Osserva il Collegio che, per un verso, il motivo non risponde al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Ed infatti, ove con il ricorso per cassazione si deduca che il Giudice di merito non ha tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15961 del 18/07/2007; id. Sez. 5, Ordinanza n. 17253 del 23/07/2009; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 20637 del 13/10/2016).

Per altro verso, il motivo è inconferente, in quanto è rivolto a censurare una errata applicazione alla fattispecie del principio di non contestazione da parte del Giudice di merito, il quale tuttavia non ha affatto statuito in base alla applicazione di detta norma processuale: con la deduzione dell’errore di diritto i ricorrenti vengono piuttosto a riproporre la precedente, inammissibile, censura di “omessa considerazione di fatti” ritenuti – asseritamente – decisivi a pervenire ad un diverso esito del giudizio.

Il primo ed il secondo motivo sono infondati, in quanto il dispositivo della sentenza della Corte territoriale va ritenuto conforme a diritto, previa correzione della motivazione ex art. 384 c.p.c., comma 4.

La prescrizione estintiva dei diritti inizia a decorrere ex art. 2935 c.c., dal momento in cui il diritto può essere fatto valere e, secondo la interpretazione che della norma ha fornito questa Corte, l'”ex ordium praescriptionis” relativo al diritto al risarcimento del danno va individuato con riferimento al momento in cui la fattispecie costitutiva del diritto (condotta dolosa o colposa lesiva dell’interesse giuridicamente rilevante, determinativa di un danno-conseguenza) non soltanto si sia compiutamente perfezionata ma sia anche emersa nella sua oggettiva consistenza, e cioè si sia resa obiettivamente percepibile (alla stregua di elementi apprezzabili secondo la normale diligenza riferibile all’uomo medio) palesandosi nella esistenza di tutti i suoi elementi, e dunque se al fine di determinare il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione occorre, in ogni caso, verificare il momento in cui si sia prodotto, nella sfera patrimoniale del creditore, il pregiudizio ( cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5504 del 05/04/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 18606 del 22/09/2016, con riferimento al danno da inadempimento contrattuale), pregiudizio che nel caso di danni cd. lungolatenti viene a manifestarsi – e dunque può rendersi conoscibile al danneggiato – anche a diversi anni di distanza rispetto alla condotta illecita, non può trascurarsi il fatto che anche l’elemento della riconducibilità eziologica del danno-conseguenza alla condotta illecita imputabile – a titolo almeno di colpa – al suo autore, sicchè la impossibilità di apprezzare il nesso di causalità tra la condotta e l’evento lesivo dovuta alla insufficienza delle conoscenze scientifiche e fisiche allo stato disponibili, non consente il decorso del termine prescrizionale (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3176 del 18/02/2016; Sez. 3, Sentenza n. 14662 del 18/07/2016; id. Sez. L, Sentenza n. 598 del 15/01/2016; id. Sez. L -, Ordinanza n. 2842 del 06/02/2018; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 17421 del 28/06/2019 – con riferimento al danno iatrogeno derivato dalla malattia epatica e dalla sua riconducibilità causale alla trasfusione -; id. Sez. L -, Ordinanza n. 1661 del 24/01/2020; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 4683 del 21/02/2020 – con riferimento al danno derivante da omessa vigilanza della PA sulla attività, rivelatasi gravemente irregolare, dell’intermediario finanziario autorizzato -; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 7677 del 03/04/2020 – con riferimento al risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale).

Tanto premesso, la Corte d’appello, motivando diversamente dal Tribunale, ha ritenuto che gli attuali ricorrenti fossero legittimati ad agire a tutela del diritto al risarcimento del danno, in quanto fatto valere nell’atto introduttivo anche in relazione all’illecito extracontrattuale, e consistente nell’omesso frazionamento del mutuo ipotecario, richiesto da Impresa Edile soc. coop. a r.l., condotta che avrebbe cagionato il fallimento della società costruttrice mutuataria e quindi anche “la perdita degli immobili” promessi in vendita agli I. (come meglio indicato in un passo successivo della motivazione “nella impossibilità di acquistare gli immobili e nella perdita delle somme versate in anticipo sul prezzo” – sentenza appello in motiv. pag. 9 -). Il Giudice territoriale ha, quindi, ritenuto dirimente rispetto all’esame del merito, l’accoglimento della eccezione preliminare di merito sollevata dalla banca, avendo considerato interamente decorso il termine, con riferimento sia al termine di prescrizione breve di cui all’art. 2947 c.c., sia (ma deve intendersi soltanto “ad abundantiam”, attesa la precedente inequivoca qualificazione della natura “extracontrattuale” della pretesa risarcitoria) al termine ordinario ex art. 2946 c.c. in relazione alla “dedotta responsabilità contrattuale”, ma ribadendo, nello stesso passaggio argomentativo della motivazione, la correttezza della decisione del primo Giudice che aveva escluso, in capo agli originari attori, la titolarità di un diritto al frazionamento del mutuo ipotecario, azionabile “ex contractu” direttamente nei confronti della banca (cfr. sentenza appello in motivazione, pag. 10).

L’accertamento della prescrizione estintiva del diritto al risarcimento del danno compiuto dalla Corte d’appello poggia sulla errata deduzione logica per cui:

a) dal contratto definitivo di compravendita, stipulato in data 22.3.1995 tra l’acquirente BATO Strutture s.r.l. e la società costruttrice, emergeva che la prima era tenuta a pagare il prezzo, in parte mediante accollo della quota parte del mutuo ipotecario contratto dalla società alienante, ed in parte mediante pagamento diretto di alcuni fornitori della stessa società alienante;

b) a tale data doveva quindi ritenersi insorto ed attuale l’asserito obbligo della banca di procedere al frazionamento della ipoteca;

c) ne seguiva che, a tale data, si era quindi perfezionato l’illecito che segnava il “dies a quo” di decorrenza del termine per l’esercizio del diritto risarcitorio.

Tale apparente schema sillogistico si risolve in un grave paralogismo.

Occorre innanzi tutto considerare che il frazionamento del mutuo fondiario costituisce una rinuncia all’indivisibilità dell’ipoteca, e dunque è da qualificare come “atto unilaterale” del creditore ipotecario, che non muta natura anche nel caso in cui a tale rinuncia sia stato fatto riferimento in eventuali accordi raggiunti dal concedente con il mutuatario o da quest’ultimo con i promissari acquirenti (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 2073 del 12/02/2003; id. Sez. 3, Sentenza n. 264 del 11/01/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 7453 del 20/03/2008). Ne segue che il rifiuto opposto dalla banca, in quanto esercizio di un diritto del creditore ipotecario, non potrà integrare ex se una condotta omissiva colposa, salvo che la rinuncia alla indivisibilità della ipoteca abbia costituito oggetto di assunzione di specifica obbligazione avente fonte in un titolo negoziale, ovvero la legge preveda espressamente tale rinuncia quale corrispondete obbligo dell’attribuzione di un diritto al frazionamento posto in capo a specifici soggetti legittimati a richiederlo.

E’ stato al proposito puntualizzato da questa Corte che “le norme che si sono succedute nella disciplina del frazionamento (come facoltà del mutuante D.P.R. n. 7 del 1976, ex art. 3, comma 6; come diritto del mutuatario L. n. 175 del 1991, ex art. 5; come diritto anche del terzo acquirente D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 39; come diritto anche del promissario acquirente e dell’assegnatario ex art. 39 cit. dopo le modifiche dettate dal D.Lgs. n. 122 del 2005) si limitano a prescrivere, affermandone il carattere dichiarativo, la suddivisione del mutuo in quote e, correlativamente, il frazionamento dell’ipoteca a garanzia” ed ancora che “il frazionamento dell’ipoteca deve essere eseguito, secondo le norme ricordate, “correlativamente” alla suddivisione del mutuo. La formulazione letterale delle norme in questione, rimasta inalterata nel tempo, esprime con chiarezza la volontà del legislatore che, nel frazionamento, sia mantenuta la correlazione tra garanzia e debito, nel senso che il vincolo reale sulla singola unità immobiliare frazionata deve garantire tutta, e soltanto, la quota risultante dalla suddivisione del mutuo (o del finanziamento)” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 15685 del 21/06/2013).

Ne segue allora che è del tutto errato individuare nel contratto di vendita del 1995 stipulato tra la società costruttrice ed un soggetto-terzo acquirente il fatto dimostrativo della esistenza dell’obbligo “generale” della banca di procedere al frazionamento anche agli altri contratti di vendita successivamente stipulati dalla società costruttrice, tenuto conto che – secondo quanto accertato dal Tribunale in primo grado, con statuizione non investita da motivo di gravame – la disciplina normativa applicabile “ratione temporis” (L. 6 giugno 1991, n. 175, artt. 5 e 9) riservava in via esclusiva al solo mutuatario (e cioè soltanto ad Impresa Edile soc. coop. a r.l.) la facoltà di richiedere la suddivisione del mutuo ed il correlativo frazionamento della ipoteca, e dunque soltanto a seguito della richiesta di tale soggetto, legittimato ex lege, avrebbe potuto determinarsi l’insorgenza dell’obbligo di attivazione della banca. E dalla corrispondenza prodotta nei gradi di merito dagli I., in particolare dalla lettera di Impresa Edile soc. coop a r.l. in data 26.1.1998 diretta a Banco di Napoli, risulta che una tale richiesta era stata esternata dalla società costruttrice al fine di raccogliere la “disponibilità” della banca alla predisposizione di un piano di suddivisione del mutuo. Pertanto, anche ad ipotizzare – come sostiene la resistente, con notevole immaginazione – che la Corte territoriale abbia applicato lo schema della presunzione semplice (desumendo la anteriorità o contemporaneità della formulazione della richiesta di frazionamento dalla stipula della compravendita), e cioè anche a volere ritenere che la richiesta di frazionamento sia stata rivolta verbalmente dalla impresa costruttrice alla banca al momento della stipula del contratto nel 1995, difetterebbe egualmente del tutto il collegamento tra la data di stipula del predetto contratto “inter alios” e la oggettiva conoscibilità, da parte dei pretesi danneggiati I., dell’illecito comportamento tenuto dalla banca nei confronti della società costruttrice, non essendo dato ricondurre automaticamente tale conoscibilità alla stipula di quel distinto contratto.

Ma all’errore in cui è incorsa la Corte d’appello nell’affermare conosciuto o conoscibile oggettivamente l’illecito da parte dei promissari acquirenti, è seguito quello, ancora più grave, di ritenere esaurita la fattispecie perfezionativa del diritto al risarcimento del danno con la mera richiesta di frazionamento del mutuo ipotecario rimasta inevasa, atteso che la ricostruzione della vicenda esposta dagli stessi danneggiati inseriva la condotta – asseritamente illecita – ascritta alla banca in una serie causale molto più complessa, in esito alla quale si era determinato il danno patrimoniale lamentato. Ed infatti, assumevano gli I. che, a causa del mancato frazionamento, la banca aveva cagionato lo stato di insolvenza della società costruttrice e quindi il fallimento della stessa, cui era conseguita la impossibilità per i promissari acquirenti di stipulare i contratti definitivi di vendita, con la perdita degli anticipi prezzo già corrisposti alla società poi dichiarata fallita. Orbene indipendentemente dalla verifica – nella specie mancata, essendo stata risolta la controversia in base alla eccezione preliminare – del nesso eziologico tra condotta e danno (verifica nella quale si inseriscono anche altri fattori causali, la cui autonoma o concorrente incidenza nella determinazione dell’evento lesivo, rimane tutta da accertare: 1-omesso pagamento dei fornitori di Impresa Edile soc. coop. a r.l.; 2-istanze di fallimento presentate da detti fornitori, essendosi la banca solo successivamente insinuatasi al passivo della procedura concorsuale, dopo che aveva iniziato già dall’anno 1996 procedura espropriativa immobiliare RG n. 449/1996 nei confronti della mutuataria resasi inadempimento alla restituzione delle rate di mutuo, come emerge dallo stesso ricorso pag. 14; 3-scelta discrezionale compiuta dal curatore fallimentare in ordine all’esercizio della potestà allo stesso riservata di sciogliere i contratti preliminari di vendita, L.Fall., ex art. 72, comma 4), è difettato del tutto, nella anapodittica affermazione della Corte d’appello (sentenza appello, in motiv. pag. 9: “il termine di prescrizione…..decorre, dunque, dalla cessione alla Bato Strutture s.r.l. di una delle palazzine avvenuta il 22 marzo 1995… “), l’accertamento del momento in cui si sarebbe effettivamente prodotto il pregiudizio patrimoniale in capo ai promissari acquirenti (danno-conseguenza), e cioè del momento in cui si sarebbe realizzata la definitiva “impossibilità” di procedere alla stipula del definitivo e la conseguente perdita delle somme corrisposte alla impresa, poi dichiarata fallita, a titolo acconto prezzo: la verificazione del danno-conseguenza (ed il momento in cui si verifica) è, infatti, elemento costitutivo del diritto nella fattispecie dell’illecito civile ex art. 2043 c.c., e dunque soltanto da tale momento può iniziare a decorrere il termine di prescrizione.

Tanto è sufficiente a dover postergare la data di decorrenza della prescrizione estintiva, in tempo successivo a quello del contratto di vendita con clausola di accollo pro quota del mutuo, stipulato nel 1995 tra BATO Strutture s.r.l. ed Impresa Edile soc. coop. a r.l., trattandosi per di più di “res inter alios acta” che nulla disvela “ex se” in ordine al momento di venuta ad esistenza degli altri elementi della fattispecie, integranti i presupposti indispensabili a far sorgere il vantato diritto risarcitorio in capo agli I. (e cioè – anche a trascurare, ritenendola presunta, la data in cui la società costruttrice mutuataria aveva formulato espressa richiesta di suddivisione del mutuo e frazionamento di ipoteca a Banco di Napoli, di cui si ha notizia per la prima volta nella lettera trasmessa da Impresa Edile soc. coop. a r.l. alla banca in data 26.1.1998 – il momento in cui la condotta omissiva della banca si era oggettivamente manifestata in modo tale da rendersi apprezzabile e dunque oggettivamente conoscibile ai promissari acquirenti quale condotta ingiustificatamente lesiva dei loro interessi e causalmente produttiva del danno-conseguenza lamentato).

Orbene gli stessi ricorrenti situano il momento della conoscibilità del danno-conseguenza, alla data 17.9.1998 di pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento della (OMISSIS) a r.l., in quanto evento cui si ricollega la impossibilità di realizzare il programma negoziale definito nei preliminari di vendita e la impossibilità del recupero delle somme anticipate a titolo di prezzo.

Osserva il Collegio che anche a condividere tale assunto, essendo ragionevole formulare una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, in relazione allo stato di incapienza patrimoniale della società fallita (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 24715 del 04/12/2015), tuttavia appare evidente come in tal caso, l’errore contestato alla Corte d’appello nella individuazione del “dies a quo” risulti del tutto irrilevante, atteso che il termine prescrizionale breve, riferito alla ipotizzata responsabilità della banca per illecito extracontrattuale, deve ritenersi egualmente decorso, con conseguente estinzione del credito risarcitorio: dalla data del fallimento (17.9.1998) fino al primo atto interruttivo della prescrizione (racc. spedita dal legale degli I. a Banco di Napoli in data 24.10.2006) si è infatti compiuta la prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c..

Diversa sarebbe la soluzione nel caso in cui la fattispecie fosse inquadrabile in un rapporto di natura contrattuale che legittimi gli I. ad azionare i rimedi contrattuale direttamente nei confronti di Banca (OMISSIS) s.p.a.: in tal caso, infatti, il decorso della prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.) risulterebbe validamente interrotto dalla predetta raccomandata 24.10.2006, e quindi, dalla successiva notifica, in data 25.7.2008, dell’atto di citazione in primo grado.

La statuizione della sentenza di appello che nega, confermando la decisione di prime cure, il diritto ex contractu al frazionamento del mutuo ed alla divisibilità della ipoteca viene impugnata dai ricorrenti con i seguenti motivi quarto e quinto dei quali, pertanto, occorre passare all’esame.

Quarto motivo: violazione degli artt. 1173 e 1218 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Quinto motivo: violazione della L. 6 giugno 1991, n. 175, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, i ricorrenti impugnano la statuizione del Giudice di appello che, “solo per scrupolo di completezza”, aveva escluso la configurabilità nel caso di specie della violazione da parte della banca di un obbligo di protezione verso l’interesse dei promissari acquirenti.

Sostengono i ricorrenti di aver proposto, fin dall’inizio. anche la domanda risarcitoria da “responsabilità contrattuale” e che, nell’atto di appello, avevano altresì richiesto di accertare la responsabilità da “contatto sociale” della banca, deducendo che questa – resasi inadempiente nei confronti della società mutuataria, Impresa Edile soc. coop. a r.l., in quanto la disposizione di cui alla L. n. 175 del 1991, art. 5, comma 5, era stata riprodotta nel contratto di mutuo – aveva determinato con la violazione dell’obbligo “ex contractu” anche la lesione degli interessi riferibili ai terzi promissari acquirenti: dovendo, quindi, ritenersi errata la statuizione del Giudice di secondo grado che aveva ricondotto la omessa suddivisione del mutuo e di frazionamento ipoteca, all’esercizio di un diritto potestativo della banca che non poteva assurgere ad atto “non jure” e “contra jus” e dunque essere causa di un danno ingiusto ex art. 2043 c.c..

I motivi sono inammissibili, in quanto vengono a prospettare elementi fattuali ed una domanda del tutto nuovi (come eccepito, peraltro, anche dalla controricorrente: pag. 12 controricorso).

Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge quanto segue.

La Corte d’appello, esaminando la eccezione pregiudiziale, formulata dalla banca, di inammissibilità dell’appello principale proposto dagli I. (recte la questione di merito in ordine alla titolarità dell’azione contrattuale), ha ritenuto la impugnazione ammissibile, rilevando che:

1-gli I. avevano proposto, nell’atto introduttivo, domanda risarcitoria per responsabilità della banca, sia “extracontrattuale” che “contrattuale”, facendo valere il diritto al frazionamento;

2-il Tribunale aveva rigettato la “domanda contrattuale” (ossia la domanda di inadempimento della banca alle obbligazioni derivanti dal contratto di mutuo fondiario) per difetto di titolarità di azione, in quanto il frazionamento poteva essere richiesto esclusivamente dalla parte che aveva stipulato il contratto di mutuo, e cioè dalla società costruttrice;

3-l’appello proposto dagli I. poteva tuttavia accedere all’esame del Giudice di appello in quanto gli stessi mantenevano, comunque, la legittimazione ad agire per far valere la “responsabilità extracontrattuale” della banca ex art. 2043 c.c..

Il Giudice di merito, venendo quindi ad accertare la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, ha ritenuto in ogni caso estinto il diritto di credito indipendentemente dalla natura contrattuale od extracontrattuale della responsabilità -, ribadendo tuttavia che correttamente il primo Giudice aveva escluso la configurabilità di una responsabilità contrattuale della banca nei confronti dei promissari acquirenti, confermando quindi il rigetto della domanda “per responsabilità contrattuale” come formulata in primo grado dagli I. (ossia il rigetto della domanda di accertamento della responsabilità contrattuale, per avere la banca violato la “obbligazione”, asseritamente derivante dal contratto di mutuo stipulato con Impresa Edile soc. Coop a r.l., avente ad oggetto la rinuncia alla indivisibilità della ipoteca ed il frazionamento del mutuo). Venendo poi a pronunciare “ad abundantiam” sul merito della controversia, la Corte territoriale, dopo aver accolto la eccezione di prescrizione, ha esaminato anche la ipotesi della possibile violazione da parte della banca di “obblighi solidaristici” fondati sul principio di buone fede che regola l’attuazione del rapporto contrattuale, ed è pervenuta ad escludere detta violazione richiamando principi giurisprudenziali relativi al limite dell’impegno richiesto a ciascuna delle parti del rapporto nel comportarsi senza pregiudicare l’interesse altrui, individuato nell'”apprezzabile sacrificio del proprio interesse” (appare dunque coerente il richiamo al “principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore” deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicchè dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sè, un danno risarcibile”: Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 264 del 11/01/2006; id. Sez. U, Sentenza n. 28056 del 25/11/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 22819 del 10/11/2010).

L’indagine di merito svolta dalla Corte territoriale “ad abundantiam” si colloca, quindi, nel ristretto ambito del cd. danno indiretto, cagionato al terzo dall’inadempimento delle obbligazioni o dalla violazione dei doveri di condotta concernenti esclusivamente le parti del rapporto contrattuale: e soltanto in relazione a tale specifico ambito di indagine il Giudice di secondo grado ha ritenuto di escludere, tanto l’inadempimento in senso stretto, quanto la violazione di altri doveri di condotta della banca contraente il mutuo, venendo poi ad estendere tali conclusioni (con statuizione anch’essa resa “ad abundatiam”: attesa la dirimente pronuncia sulla prescrizione del diritto) anche alla insussistenza del nesso causale tra condotta ed evento lesivo, affermando che, in assenza di violazione di un dovere giuridico, alcun danno risarcibile, neppure “ai sensi dell’art. 2043 c.c.”, poteva configurarsi nel comportamento tenuto dalla banca.

La modifica del titolo di responsabilità (nè contrattuale; nè extracontrattuale) prospettata per la prima volta con l’atto di appello dagli I., introduce un diverso quadro di indagine anche fattuale rispetto a quello oggetto della cognizione del Giudice di primo grado, chiamato a pronunciare esclusivamente sulla violazione di un obbligo ex contractu (riferito al contratto di mutuo) o sulla violazione da parte della banca dell’obbligo del “neminem laedere” ex art. 2043 c.c..

L’assunto dei ricorrenti, secondo cui nell’atto di citazione introduttivo del giudizio, sarebbe stata formulata anche domanda risarcitoria per responsabilità contrattuale, da un lato, si palesa inconferente, in quanto non vale a scalfire le pronunce conformi di primo e secondo grado che sul rapporto contrattuale si sono espressamente pronunciate rilevando in capo ai promissari acquirenti la carenza di titolarità ad esperire rimedi contrattuali spettanti in via esclusiva alla società costruttrice mutuataria; dall’altro lato, si palesa del tutto insufficiente ad assolvere al requisito, prescritto a pena inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, di rendere ostensibile a questa Corte il contenuto dell’atto di citazione in primo grado, onde verificare se fosse stata o meno ritualmente acquisita all’oggetto del giudizio anche la questione concernente la responsabilità derivante dalla diversa fattispecie del “contatto sociale” ed in particolare se fossero stati o meno allegati e provati gli elementi circostanziali indispensabili a sostenere tale differente domanda, quali un collegamento fondato su una prestazione erogata dalla banca direttamente ai promissari acquirenti, o ancora una attività della banca direttamente incidente su di un elemento di validità od efficacia del contratto definitivo di vendita (è appena il caso di osservare al riguardo come la cosiddetta responsabilità “da contatto sociale”, soggetta alle regole della responsabilità contrattuale pur in assenza d’un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, è configurabile non in ogni ipotesi in cui taluno, nell’eseguire un incarico conferitogli da altri, nuoccia a terzi, come conseguenza riflessa dell’attività così espletata, ma soltanto quando il danno sia derivato dalla violazione di una precisa regola di condotta, imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell’attività svolta dal danneggiante, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità si individui nel riferimento dell’art. 1173 c.c., agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 11642 del 11/07/2012).

In assenza dell’assolvimento da parte dei ricorrenti del requisito di ammissibilità indicato, i motivi del ricorso, introducendo una questione nuova, non possono accedere al sindacato di legittimità.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato: inammissibili i motivi terzo, quarto e quinto; infondato i motivi primo e secondo.

I ricorrenti soccombenti sono tenuti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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