Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24950 del 06/12/2016

Cassazione civile sez. II, 06/12/2016, (ud. 16/09/2016, dep. 06/12/2016), n.24950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27017-2012 proposto da:

T.V., (OMISSIS), B.G. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA CUCCIA, che li rappresenta e difende unitamente

agli avvocati UMBERTO TRACANELLA, FEDERICA SELVA;

– ricorrenti –

contro

TECNOMED SAS, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIA 16,

presso lo studio dell’avvocato SILVIA MAURO, rappresentato e difeso

dall’avvocato RAFFAELLA CHIARA CHIAPPA OCCHINI e dall’avv. RENZO

PIETROLUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2807/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/09/2016 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato CALO’ Maurizio, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato TRANCANELLA Umberto, difensore dei ricorrenti che si

riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato DE GREGORIO Maddalena, con delega depositata in

udienza dell’Avvocato CHIAPPA OCCHINI Raffaella, difensore del

resistente che si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Tecnomed s.a.s., premesso di aver mediato tra la Ducale s.p.a., venditrice, e B.G. e T.V., acquirenti, la vendita di un immobile in (OMISSIS), conveniva questi ultimi davanti al Tribunale di Milano per sentirli condannare al pagamento della somma di Euro 9.090,00 a titolo di provvigione.

I convenuti nel resistere in giudizio deducevano che a causa del comportamento illecito della Tecnomed essi erano stati costretti a corrispondere per l’acquisto un prezzo (Euro 300.000,00, più IVA) maggiore di quello stabilito nella proposta irrevocabile (Euro 285.000,00 più IVA) che essi avevano presentato il 18.11.2004.

Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo che la fattispecie, a causa dell’incarico ricevuto unilateralmente dalla sola Ducale s.p.a., non configurasse una mediazione ma un mandato o un procacciamento d’affari, con il conseguente venir meno del carattere d’imparzialità, indipendenza e neutralità tra le parti proprio della mediazione.

L’appello della Tecnomed s.a.s. era accolto dalla Corte distrettuale di Milano, che con sentenza n. 2807/12, pubblicata il 24.8.2012, condannava B.G. e T.V. al pagamento della somma di 8.000,00. Riteneva la Corte che gli appellati non avevano mai posto in discussione l’esercizio da parte della Tecnomed dell’attività mediatoria, tanto che essi avevano sottoscritto un atto d’impegno a corrispondere una provvigione di Euro 8.000,00 una volta concluso il contratto preliminare. Nè rilevava il fatto che successivamente alla proposta irrevocabile – firmata il 18.11.2004 e, dunque, contestualmente all’assunzione da parte dei B.- T. dell’impegno, questi ultimi si fossero accordati con la società venditrice, all’atto della stipula del contratto preliminare, in data 28.3.2006, per il pagamento di un prezzo superiore a quello offerto nella proposta irrevocabile. Tale determinazione del prezzo, infatti, era avvenuta per libera scelta delle parti solo in quella data, e cioè a due anni di distanza dalla proposta irrevocabile, senza che di quest’ultima fosse, nel frattempo, intervenuta accettazione da parte della Ducale s.p.a. Quindi, riteneva la Corte territoriale, richiamandosi a Cass. n. 24333/08, che la mediazione non fosse incompatibile con la sussistenza di un rapporto contrattuale d’altro tipo tra il mediatore ed uno dei soggetti messi in contatto, come nel caso in cui al mediatore fosse affidato da una parte l’incarico unilaterale di attivarsi per la ricerca di un partner commerciale.

Per la cassazione di tale sentenza B.G. e T.V. propongono ricorso, affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso Tecnomed s.a.s.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 1754 e 1703 c.c., in connessione con l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Sostengono che la Tecnomed s.a.s. aveva agito nell’esclusivo interesse della Ducale s.p.a., sua mandante, tant’è che il 6.2.2006, a distanza di circa un anno e mezzo dalla sottoscrizione della proposta irrevocabile d’acquisto, essa aveva comunicato loro che “l’immobile opzionato poteva essere acquistato, non però al prezzo stabilito nella proposta di Euro 285.000,00 ma al maggior prezzo di Euro 300.000,00 e che essi furono costretti ad aderire alla richiesta per evitare che l’immobile fosse alienato a terzi (i coniugi C. – S.), cui era stato offerto il medesimo bene.

Inoltre, prosegue il motivo, la sentenza impugnata è incorsa in un ulteriore errore allorchè ha ritenuto che l’attività di mediazione non sia venuta meno per effetto del carattere unilaterale dell’incarico; e richiama a sostegno il precedente di Cass. n. 16382/09, secondo cui il conferimento ad un mediatore professionale dell’incarico di reperire un acquirente od un venditore di un immobile dà vita ad un contratto di mandato e non di mediazione, essendo quest’ultima incompatibile con qualsiasi vincolo tra il mediatore e le parti. Da ciò consegue che nell’ipotesi suddetta il c.d. “mediatore”: (a) ha l’obbligo, e non la facoltà, di attivarsi per la conclusione dell’affare; (b) può pretendere la provvigione dalla sola parte che gli ha conferito l’incarico; (c) è tenuto, quando il mandante sia un consumatore, al rispetto della normativa sui contratti di consumo di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005; (d) nel caso di inadempimento dei propri obblighi, risponde a titolo contrattuale nei confronti della parte dalla quale ha ricevuto l’incarico, ed a titolo aquiliano nei confronti dell’altra parte.

1.1. – Il motivo è infondato, perchè la mediazione atipica c.d. unilaterale è anch’essa qualificabile come mediazione ed è distinguibile dal mandato.

Infatti, secondo la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte, è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni. Essa rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dalla L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la rilevanza, nell’atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale si accompagna l’attività ulteriore in vista della conclusione dell’affare (cfr. Cass. n. 19066/06, che da tale premessa ha tratto la conseguenza che anche per l’esercizio di questa attività è richiesta l’iscrizione nell’albo degli agenti di affari in mediazione di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 2; in senso conforme, v. Cass. n. 16147/10).

In altre e più risalenti pronunce è ancor più nitida l’affermata insensibilità, ai fini qualificatori, dell’origine negoziale e meno della mediazione, allorchè si è affermato che non contrasta con la natura giuridica della mediazione nè con la funzione di imparziale intermediario fra i contraenti, la circostanza che il mediatore si faccia, come nuncius, portatore della proposta dell’uno all’altro: anzi, quest’attività, di riferire le reciproche richieste cercando di portarle al punto di convergenza e adoperandosi per favorire l’incontro dei consensi, è tipica della mediazione; ed è indifferente che l’iniziativa dell’affare parta dallo stesso mediatore o da una delle parti, e che, nell’un caso e nell’altro, sia il mediatore a sollecitare la proposta, o a ricevere l’incarico di riferirla, o a mettere in contatto i possibili contraenti prima che alcuna proposta concreta sia stata formulata (Cass. nn. 3668/71, 1917/70 e 2720/51).

A sua volta la mediazione va tenuta distinta dal conferimento di un mandato poichè essa dà diritto al compenso (id est, alla provvigione), giusta il disposto dell’art. 1755 c.c., solo se “l’affare si è concluso”, mentre il mandato è semplice attività (negoziale o prenegoziale) nell’interesse del mandante (cfr. Cass. n. 5952/05). La differenza che ne deriva è che mentre il mandatario ha l’obbligo di eseguire l’incarico ricevuto ed ha diritto a ricevere il compenso pattuito indipendentemente dal risultato raggiunto, il mediatore ha la mera facoltà di attivarsi per mettere in relazione le parti ed ha diritto alla provvigione solo se provoca la conclusione dell’affare (Cass. uil. 24333/08, 7251/05, 9380/02, 1719/98 e 11389/97).

La distinzione concettuale tra mandato e mediazione non esclude l’oggettiva prossimità pratica delle due situazioni per la confluenza su di un medesimo piano di due rapporti, l’uno interno e l’altro esterno, sicchè s’impone un chiarimento.

La circostanza che colui il quale si assuma mediatore non si sia interposto autonomamente tra le parti, ma abbia ricevuto da una sola di esse l’incarico di reperire un contraente per un determinato affare, non muta la natura mediatoria dell’attività svolta ove riconosciuta od oggettivamente riconoscibile come tale dall’altra parte. La mediazione, infatti, non dipende dalla perfetta equidistanza, sia originaria che successiva, del mediatore da entrambe le parti, nè il requisito di terzietà del mediatore è frutto d’un giudizio di valore formulabile ex post sulla condotta da lui tenuta (giudizio, del resto, non compatibile con la tecnica qualificatorio-sussuntiva della fattispecie). Al fine di marcare l’autonomia del mediatore dall’una e dall’altra parte, il requisito di terzietà è espresso per lo più dalla giurisprudenza di questa Corte col richiamo a concetti quali – imparzialità – o “neutralità” rispetto ai soggetti posti in relazione tra loro in vista dalla conclusione dell’affare. Solo v’è da domandarsi se il richiamo a tali nozioni sia idoneo allo scopo, per il suggestivo rimando ad altre ed affatto diverse attività (quali ad esempio la media-conciliazione). Ciò rischia di tradire il senso dell’art. 1754 c.c., che definisce il requisito in parola per via di mera negazione come assenza di un rapporto di collaborazione, dipendenza o rappresentanza con una delle parti. Non anche – si badi – come assenza di mandato.

Come osservato dalla dottrina, la ragione dell’inconciliabilità tra mediazione e rappresentanza risiede nell’impossibilità che il mediatore segnali a se stesso l’affare. Indistinguibile sia in teoria che in pratica dal negozio rappresentativo, l’attività mediatoria ne risulterebbe snaturata nella funzione socio-economica che le è propria, vale a dire agevolare l’incontro tra offerta e domanda senza dipendere nè dall’una nè dall’altra. E difatti, l’art. 1761 c.c. ammette che il mediatore possa rappresentare una delle parti solo ad affare concluso, allorchè se ne debbano porre in essere i necessari atti d’esecuzione.

Per contro, il mandato a reperire possibili contraenti può coordinarsi con il fenomeno mediatorio senza per questo escluderlo. Già l’art. 1762 c.c., nel prevedere che il mediatore il quale non manifesti a un contraente il nome dell’altro risponde dell’esecuzione del contratto, ammette implicitamente che il mediatore stesso, pur mantenendo la suddetta qualità, vi aggiunga quella di nuncius o di mandatario del contraente non nominato.

La circostanza che la mediazione sia stata innescata non da un’iniziativa ingerente ma dall’incarico di uno dei soggetti interessati a negoziare non ha rilievo di per sè. L’incarico a svolgere la medesima attività che il mediatore svolgerebbe d’iniziativa propria può originare da un mandato interno con una delle parti, che tuttavia non muta l’attività che il mediatore svolga poi ai fini della conclusione dell’affare. Dunque, ciò che è decisivo non è tanto l’imparzialità del suo operare quanto la riconoscibilità esterna della posizione terza – che egli assume nel successivo rapporto con entrambe le parti, posizione che gli deriva, appunto, dall’assenza di collaborazione, dipendenza o rappresentanza con una sola di esse.

Vuoi che si ricostruisca in termini contrattuali vuoi che s’intenda come situazione giuridica derivante da contatto sociale, la mediazione non è incompatibile – come in effetti la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto in altre occasioni – con la sussistenza di un rapporto contrattuale di altro tipo tra il mediatore ed uno dei soggetti messi in contatto, come accade allorchè al mediatore sia affidato l’incarico unilaterale di attivarsi per la ricerca del partner commerciale (Cass. n. 24333/08). Non senza aggiungere, infine, che neppure può affermarsi che un tale incarico assuma necessariamente i connotati del mandato. Ciò che lo qualifica come tale è soltanto la comune volontà delle parti di dar vita ad un rapporto obbligatorio che, in relazione ad un dato oggetto, imponga un agere necesse consistente nel ricercare un possibile contraente. E dunque ben può essere che anche tale incarico (ex uno latere, se rapportato all’angolo visuale dell’operazione complessiva) sia esclusivamente mediatorio e dunque libero, senza l’assunzione di reciproche obbligazioni tra il richiedente e l’incaricato.

Ritiene, pertanto, il Collegio di seguire tale indirizzo maggioritario, piuttosto che il precedente (in realtà rimasto isolato) di Cass. n. 16382/09, invocato da parte ricorrente.

2. – Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame del fatto, controverso e discusso, del venir meno del nesso causale tra la pretesa attività mediatoria e la conclusione dell’affare, e contesta che gli odierni ricorrenti non abbiano mai messo in discussione, come invece affermato nella sentenza impugnata, l’esercizio da parte della Tecnomed dell’attività mediatoria. Deducono che il nesso causale si è interrotto per i gravi inadempimenti della Tecnomed ai propri obblighi di comunicazione e per l’assenza d’imparzialità ed indipendenza, e che l’utile messa in contatto delle parti, da cui dipende il diritto alla provvigione, consiste nell’appianare divergenze e nell’adoperarsi del mediatore affinchè l’affare sia concluso. Nulla di tutto ciò è avvenuto nel caso in esame, dal momento che, a fronte di scarne risposte, solo a distanza di sedici mesi il contratto è stato concluso e a prezzo maggiorato, senza alcuna possibilità per il B. di vedersi aiutare dal mediatore ad appianare le divergenze sul prezzo, dal momento che era già pronto un altro acquirente, contattato illecitamente dalla Tecnomed.

2.1. – Il motivo è infondato perchè aggredisce la motivazione della sentenza impugnata in relazione ad un accertamento di fatto non decisivo.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, senza che sia richiesto un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, essendo sufficiente, che il mediatore – pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. nn. 25851/14, 28231/05, 3438/02, 9743/94, 5560/88, 4734/87, 4118/84 e 1934/82).

Nella specie, il motivo di ricorso contesta l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui il maggior prezzo stabilito nel contratto preliminare, rispetto alla proposta irrevocabile, era scaturito dalla libera trattativa delle parti; ma manca considerare che detta Corte ha anche – e contestualmente – affermato che tale proposta irrevocabile non era mai stata accettata dalla soc. Ducale (v. pag. 5 sentenza impugnata). Tale accertamento di fatto – non investito dal motivo in esame, che si duole della motivazione della sentenza impugnata sotto altro profilo – dimostra che l’affare è stato concluso solo con il preliminare; e poichè parte ricorrente non contesta di aver avuto nozione dell’offerta di vendita tramite la Tecnomed, tanto da dolersi unicamente di aver dovuto chiudere la trattativa ad un prezzo superiore a quello che essa aveva inizialmente proposto, il contributo causale è stato correttamente ravvisato dalla Corte milanese nella messa in contatto delle parti. Rispetto ad essa, il diverso prezzo concordato nel contratto preliminare non interrompe la sequenza causale, ma costituisce null’altro che il suo normale completamento.

Nè tanto meno tale nesso è interrotto dalla comunicazione del medesimo affare a terzi, il cui prezzo di domanda si riveli poi maggiore. La priorità temporale di una proposta d’acquisto non prenota effetti di sorta in mancanza di accettazione, con la conseguenza che come il venditore è libero di alienare il medesimo bene ad acquirenti diversi e per un prezzo maggiore, così il mediatore è libero di ricercare altri soggetti interessati al medesimo affare.

Pertanto, la censura in esame investe un fatto non dotato della benchè minima decisività.

3. – Il terzo mezzo deduce, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame della mancata iscrizione nel ruolo degli agenti in affari di mediazione. In particolare, sostiene parte ricorrente, la gestione dell’affare è stata affidata al sig. C.F., all’epoca non iscritto nel ruolo. Tale gestione risulterebbe da una lettera che questi indirizzò il 6.12.2005 alla soc. Ducale, per specificare gli estremi del pagamento in vista del possibile rogito.

3.1. – Il motivo non ha pregio.

In disparte sia la novità della questione, che in mancanza d’altra attività assertiva non può ritenersi automaticamente dedotta nel giudizio di merito per effetto della sola produzione di un documento, sia l’altrettanto probabile difetto di autosufficienza per la mancata riproduzione del relativo contenuto; tutto ciò a parte, va osservato che:

a) il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento, con la conseguenza che la denunzia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. n. 25756/14);

b) vigente il ruolo di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 1 la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che tutti coloro che esercitano l’attività di mediazione per conto di imprese organizzate, anche in forma societaria, devono essere iscritti nell’apposito ruolo professionale, a norma della L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 3, comma 5, mentre secondo l’art. 11 del relativo regolamento di attuazione, emanato con D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, in caso di esercizio dell’attività di mediazione da parte di una società, i requisiti per l’iscrizione nel ruolo debbono essere posseduti dal legale rappresentante di essa ovvero da colui che da quest’ultima è preposto a tale ramo di attività. Ne consegue che per gli ausiliari della società di mediazione è prescritta l’iscrizione nel ruolo solo quando, per conto della società, risultino assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, della quale compiono gli atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati, ed impegnativi per l’ente da cui dipendono; essa non è invece richiesta per quei dipendenti della società che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti (Cass. nn. 8708/09, 1507/07 e 8697/02).

Pertanto, poichè l’invio di una lettera del contenuto allegato (cui adde la lettera 6.2.2006, sempre a firma C., di cui si parla a pag. 8 del ricorso e 17 della memoria ex art. 378 c.p.c., avente ad oggetto la comunicazione del maggior prezzo di vendita richiesto dalla soc. Ducale) non è astrattamente idonea a dimostrare nè la preposizione nè comunque l’assegnazione di colui che l’ha sottoscritta allo svolgimento dell’attività di mediazione, con effetto impegnativo per la società, il denunciato omesso esame riguarda un dato di fatto non decisivo, per come prospettato, ai fini della controversia.

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico dei ricorrenti, in solido tra loro.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.500,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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