Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24949 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 25/11/2011), n.24949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – rel. Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 10895/08 R, G. proposto da:

COMUNE DI SASSUOLO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta delega a margine del ricorso e Delib.

G.M. 11 marzo 2008, n. 55 dall’Avv. Del Federico Lorenzo,

elettivamente domiciliato in Roma, Via F. Denza n. 20, presso lo

studio degli Avv.ti Lorenzo Del Federico e Laura Rosa;

– ricorrente –

contro

CERAMICHE INDUSTRIALI DI SASSUOLO E FIORANO SPA con sede in

(OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa, giusta delega a margine del controricorso, dagli Avv.ti

Salvini Livia e Cipolla Giuseppe Maria, elettivamente domiciliata nel

relativo studio, in Roma, Viale Giuseppe Mazzini, 11;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 07/15/2007, della Commissione Tributaria

Regionale di Bologna, Sezione n. 15 in data 06.02.2007, depositata

l’01.03.2007.

Udita la relazione, svolta nella Camera di Consiglio del 25 ottobre

2011 dal Presidente, che, preliminarmente, ha assegnato il ricorso a

se stesso, stante l’impedimento a presenziare del relatore designato;

Sentito, l’Avv. Laura Rosa, per delega del difensore della

ricorrente;

Sentito, pure, per la società controricorrente, l’Avv. Branda

Giancarla per delega del difensore Avv. Salvini;

Sentito, altresì, il Procuratore Generale, Dott. Umberto Apice, che

ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società contribuente impugnava in sede giurisdizionale la cartella, con cui veniva richiesto il pagamento dell’ICI, dovuta al Comune di Sassuolo per gli anni 1996 e 1997, relativamente ad un immobile del quale era stato rettificato il valore.

L’adito Giudice di Primo Grado, accoglieva il ricorso, ritenendo trattarsi di riscossione azionata in pendenza di giudizio, nel quale i presupposti atti di accertamento erano stati, a loro volta, impugnati ed annullati, sia pur con pronuncia non definitiva.

La CTR, pronunciando sull’appello del Comune, lo rigettava, opinando in conformità alla pronuncia di primo grado. Con ricorso notificato, il 10-11 aprile 2008, il Comune ha chiesto la cassazione dell’impugnata decisione. Giusto controricorso notificato il 20-22 maggio 2008, la società ha chiesto dichiararsi inammissibile e, comunque, il rigetto dell’impugnazione.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è affidato a tre mezzi.

Con il primo motivo di ricorso, si deduce nullità della sentenza per omessa pronuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, non avendo il Giudice di appello esaminato e deciso la questione, regolarmente proposta in appello, concernente la sospensione del giudizio, stante il rapporto di pregiudizialità esistente con la controversia relativa agli avvisi di accertamento.

Con il secondo motivo, si prospetta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo.

Con il terzo mezzo l’impugnata sentenza viene censurata per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 68 e 69, del D.Lgs n. 602 del 1973, art. 15 e del D.Lgs n. 504 del 1992, art. 12. Il primo motivo del ricorso è a ritenersi inammissibile sotto diversi profili. Anzitutto, in base al condiviso principio secondo cui “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non e1 suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte” (Cass. N. 24808/2005). Sotto altro aspetto, in quanto che il vizio non potrebbe, comunque, ravvisarsi, tenuto conto che la Ctr, come si evince dalla sentenza impugnata (pag. 2 rigo 1 e seg.ti e pag. 28 e seg.ti), ha avuto ben chiaro il tenore della domande e richieste rassegnate dal Comune, segnatamente di quella di sospensione del giudizio in attesa delle pronunce dell’altro Giudice investito delle questioni pregiudiziali, e però, ha ritenuto di emettere pronuncia di merito, con la quale, nel caso, ha ritenuto l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo, stante la circostanza che al momento dell’iscrizione e dell’emissione della cartella, l’atto presupposto, cioè l’avviso di accertamento, era stato posto nel nulla, sia pure, per effetto, di pronuncia giurisdizionale di primo grado. Decidendo nei termini, la CTR, non solo, quindi, ha espressamente affrontato e risolto la questione relativa agli effetti connessi al fatto, che l’iscrizione era a ritenersi illegittima, in quanto avvenuta dopo che l’avviso di accertamento era stato annullato, ma pure – stante il rapporto di pregiudizialità logico-giuridica esistente tra la questione relativa alla sospensione del giudizio e quella in concreto espressamente decisa, ha implicitamente, rigettato la domanda di sospensione ex art. 295 c.p.c., proposta dal Comune, ritenendo la stessa non necessaria.

Peraltro, va notato che la società controricorrente, in allegato alla memoria 19.10.2011, ha depositato copia delle sentenze nn. 14395 e 14396, entrambe emesse da questa Corte in data 26.05.2011, con le quali è stato definito il contenzioso sugli atti presupposti, con la conferma dell’annullamento dell’accertamento ICI per gli anni 1996 e 1997; la relativa valutazione, allo stato preclusa dall’esigenza di tutela contraddittorio e del diritto di difesa, con tutta evidenza, implicherebbe un difetto d’interesse sopravvenuto alla decisione del mezzo. Peraltro, ritiene il Collegio che tale decisione sia stata correttamente adottata e quindi meriti, in ogni caso, conferma, sia pur integrata nella motivazione, posto che la rilevata illegittimità dell’iscrizione, non poteva restare influenzata dall’esito dei successivi gradi del giudizio, essendo connessa alla mera intervenuta pronuncia di annullamento che, ancor quando provvisoria, – potendo essere modificata in sede di gravame,- rendendo illegittima in radice l’iscrizione, per inesistenza del titolo, aveva privato di validità ed efficacia la notificata cartella. D’altronde, il profilo di censura di cui all’art. 360 c.p.c., citato n. 5, non risulta formulato in coerenza ai principi fissati dalla Giurisprudenza di questa Corte, essendo stato affermato che la censura per vizio della motivazione deve contenere una indicazione riassuntiva e sintetica che consenta una valutazione immediata dell’ammissibilità del mezzo, e che devono essere adeguatamente esplicitate le circostanze fattuali, desumibili dalla documentazione in atti e non esaminate, idonee a condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, nonchè i vizi logici e giuridici della motivazione (Cass. n. 11462/2004, n. 2090/2004, n. 1170/2004, n. 842/2002).

A fronte di siffatte esigenze, il momento di sintesi, nel caso, è a ritenersi del tutto generico ed in conferente, risultando così espresso: “dica, quindi la Suprema Corte se la Commissione Tributaria Regionale ai fini della sentenza qui impugnata, ha effettivamente valutato gli elementi di fatto e di diritto posti a sostegno delle doglianze del ricorrente”.

Il terzo motivo risulta inammissibile.

I Giudici di secondo grado, in vero, hanno ritenuto di condividere l’opinamento della CTP, confermandone la decisione.

In particolare, la CTR ha riconosciuto legittimo l’operato di quest’ultima nell’annullare le cartelle di pagamento, in quanto gli avvisi di accertamento, in base ai quali era avvenuta l’iscrizione a ruolo, in data antecedente di oltre un anno, rispetto all’operata iscrizione, erano stati annullati dalla CTP di Modena con sentenze n. 248 e n. 249, rese in data 11.11.2002 e depositate il 27.01.2003;

provvedimenti questi ritenuti idonei a privare di validità ed efficacia l’accertamento e, conseguentemente, a determinare l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo e della cartella.

Hanno, pure, rilevato i Giudici di appello che il termine previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 12, entro il quale il ruolo deve essere formato e reso esecutivo, non è soggetto a termine decadenziale e concerne esclusivamente gli accertamenti divenuti definitivi, non già, come nel caso, quelli impugnati in sede giurisdizionale ed in tale sede annullati, ancor quando con pronuncia non definitiva.

La ratio decidendi dell’impugnata sentenza riferiva, dunque, anzitutto ed essenzialmente, al venir meno del titolo (accertamento) legittimante l’iscrizione a ruolo, quale conseguenza del relativo annullamento ad opera di provvedimento giurisdizionale di primo grado, avente gli effetti previsti dal combinato disposto dell’art. 282 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2; di poi alla insussistenza di una previsione che, in presenza di accertamenti non definitivi, già annullati in sede giurisdizionale, sia pur con decisione non passata in giudicato, legittimi l’amministrazione finanziaria alla iscrizione a ruolo.

Come si evince dall’esame del mezzo ed in particolare dai quesiti formulati a conclusione dello stesso, la ratio decidendi non risulta colta ed adeguatamente censurata, in quanto non affronta la questione dell’effetto, preclusivo o meno dell’iscrizione, quale conseguenza dello intervenuto annullamento, ad opera del Giudice di primo grado, dell’avviso di accertamento, limitandosi a volgere alla Corte un duplice interpello, del tutto, inconferente e cioè se l’iscrizione a ruolo “non possa essere effettuata in pendenza del giudizio” sull’accertamento “da cui essa iscrizione discende” e se il termine per l’iscrizione a ruolo “sia stabilito a pena di decadenza anche in pendenza di giudizio sugli avvisi di accertamento sui quali si fonda detta iscrizione a ruolo”.

Ciò stante, il mezzo non può sfuggire ad una declaratoria di inammissibilità, sotto un duplice profilo.

Per un verso, in quanto il motivo non investe la ratio della decisione impugnata, essenzialmente fondata sull’insussistenza del titolo utilizzato per l’iscrizione, per essere stato lo stato, in precedenza, annullato in sede giurisdizionale, per altro aspetto, altresì perchè, i quesiti non risultano conferenti ed ossequiosi del disposto dell’art. 366 bis c.p.c., nel testo vigente ratione temporis, giacchè la risposta agli stessi, ove pur positiva per il richiedente, sarebbe priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto la decisione risulta sorretta da ratio non criticata, essenzialmente basata sull’intervenuto annullamento, per via giudiziale, dell’avviso di accertamento, attinente, quindi, a diversa questione, sicchè il ricorrente non ha interesse a proporre quei quesiti dai quali non può trarre alcuna conseguenza concreta ed utile ai fini della causa.

Per condiviso principio, in vero, l’inconferenza del quesito, “è assimilabile all’ipotesi di mancanza del quesito stesso, a norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del motivo, in applicazione del principio in tema di motivi non attinenti al decisum, nel senso che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass. SS.UU. n. 14385/2007, n. 7258/2007, n. 20360/2007).

Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in Euro 2500 per onorario, 100 per spese vive oltre spese generali ed accessori.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, in favore della contribuente, in ragione di Euro 2500 per onorario, 100 per spese vive oltre spese generali ed accessori.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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