Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24949 del 23/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/10/2017, (ud. 28/09/2017, dep.23/10/2017),  n. 24949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12926/2016 proposto da:

S.G., S.P., S.L., per se il

S.L., quali eredi legittimi della sig.ra F.L. lo stesso

S.L. (coniuge) ed i figli S.G., S.P.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VALLISNERI, 11, presso lo

studio dell’avvocato CHIARA PACIFICI, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONIO GIUA, PIETRO ANGELO GIUA;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO INDUSTRIALE PROVINCIALE DI SASSARI, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAOVUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati LUCIANO PINNA,

LUCA NASEDDU;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 74/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 23/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/09/2017 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI

VIRGILIO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza depositata il 23/2/2016, la Corte d’appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari, ha rigettato la domanda proposta dai sigg. S.L., G. e P., intesa ad ottenere la dichiarazione del diritto all’indennità di espropriazione in misura pari al valore di mercato del terreno espropriato oltre accessori, con condanna del Consorzio alla corresponsione, nonchè per ottenere l’indennità di occupazione temporanea, da calcolarsi sul valore di mercato, oltre interessi, con condanna del Consorzio alla corresponsione.

S.L., in proprio e quale erede della moglie F.L., ed i figli G. e P., quali eredi della madre, avevano proposto opposizione avverso la determinazione dell’indennità definitiva di esproprio, opposizione accolta dalla corte d’appello con sentenza 311/02; la S.C. aveva accolto il ricorso dei S. e cassato con rinvio alla Corte d’appello,ma il giudizio non era stato riassunto, dato che il Consorzio si era reso disponibile a versare le somme dovute, concordemente determinate in Euro 235.000,00, pagate dal Consorzio il 2/2/2007.

La Corte d’appello ha ritenuto evincibile dal carteggio tra le parti la prova scritta dell’accordo transattivo; che la mancata riassunzione aveva determinato l’estinzione del processo, per cui questa e la transazione avevano esaurito la materia del contendere, e che, a seguito dell’accettazione e dell’incasso il 2/2/2007 da parte di S.L. della somma di Euro 235.000,00, il rapporto si era esaurito, dovendosi così ritenere inapplicabile la sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità ex Corte Cost. 348/07.

Ricorrono i sigg. S. sulla base di tre motivi.

Il Consorzio si difende con controricorso.

Ambedue le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Col primo motivo, i ricorrenti sostengono che non si è formato il giudicato sul criterio di stima, che sono escluse prescrizione e decadenza, che la transazione impone il rispetto della forma scritta ad substantiam in un unico documento, proveniente dall’unico organo deputato a rappresentare l’ente, mentre sono irrilevanti ratifiche e comportamenti attuativi; che la Corte d’appello ha male inteso le norme privatistiche nel concludere per la sussistenza della transazione, visto che non vi sono concessioni reciproche e non vi era alcuna situazione di incertezza.

Col secondo, denunciano che l’art. 310 c.p.c., estingue il processo, ma non l’azione.

Col terzo, denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., sostenendo l’omessa decisione sulla necessità della forma scritta per la stipula degli atti degli enti pubblici, e sull’unicità del criterio del valore venale.

I tre motivi, strettamente collegati, vanno valutati unitariamente e sono da ritenersi manifestamente infondati.

Di fondo, la tesi dei ricorrenti è essenzialmente intesa a far valere l’erroneità della pronuncia impugnata, per non avere questa considerato che la ipotizzata transazione avrebbe richiesto la forma dell’atto pubblico da ritenersi quale unicità del testo documentale, per il rispetto della forma degli atti degli enti pubblici, e che mancavano la res dubia e le reciproche concessioni, avendo in definitiva il Consorzio pagato quanto dovuto a seguito della pronuncia di cassazione con rinvio.

Ora, va rilevato che la Corte d’appello ha sostanzialmente collegato i due profili della mancata riassunzione e dell’accordo delle parti sulla individuazione del quantum satisfattivo, seguito dalla riscossione della somma concordata (senza formule di riserva o altro), per affermare che la materia del contendere si era esaurita, sì che non residuava alcun aspetto in contestazione, su cui potesse influire la pronuncia della Corte costituzionale.

In altre parole, la Corte del merito ha considerato come non vi fosse più in essere alcun rapporto tra le parti non ancora definito, in relazione al diritto all’indennità di espropriazione e di occupazione d’urgenza, quando è intervenuta la sentenza del Giudice delle leggi.

Ed il rilievo della definizione del rapporto in relazione ai diritti azionati in forza dell’accordo tra le parti e della percezione della somma concordata, anche a tacere dalla mancata riassunzione che, come è noto, non estingue l’azione ex art. 310 c.p.c., vale di per sè solo a supportare la decisione della Corte d’appello.

Nè incide la problematica sollevata in relazione alla forma della transazione, atteso che il riferimento a detto atto è solo espressivo dell’interpretazione della Corte del merito, e ben può essere emendato facendo riferimento all’esecuzione concordata della sentenza del S.C., espressa con meri calcoli matematici, con la riduzione concordata di un limitato importo, per ottenere una rapida corresponsione, intesa a scongiurare le lungaggini del processo di riassunzione.

Va pertanto respinto il ricorso.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 4100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017

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