Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24949 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. II, 06/12/2016, (ud. 16/09/2016, dep. 06/12/2016), n.24949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8771-2012 proposto da:

D.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIO RAPISARDI

48, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO CARDUCCI, rappresentato e

difeso dagli avvocati RICCARDO FANTAPPIE’, ILARIA PACINI;

– ricorrente –

contro

D.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30,

presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato RENATA MELANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 205/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 11/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/09/2016 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato FANTAPPIE’ Riccardo, difensore del ricorrente che si

riporta agli atti;

udito l’Avvocato CAMICI Gianmaria, difensore del resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Accogliendo parzialmente contrapposte domande di condanna ad eliminare opere edilizie non a distanza legale, il Tribunale di Pistoia condannava, tra l’altro, l’attore D.F. sia alla riduzione in pristino, per aver eseguito opere non assentite dall’autorità comunale, sia al risarcimento dei danni conseguenti, che quantificava in favore del convenuto, D.L., in Euro 4.648,11.

L’impugnazione proposta da D.F., che con unico motivo di gravarne aveva lamentato come illegittima la duplicazione della condanna per una somma pari al costo della demolizione delle opere, era respinta dalla Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 205/11, pubblicata l’11.2.2011. Osservava detta Corte che il danno subito da D.L., al cui risarcimento l’appellante era stato condannato, non conseguiva alla violazione delle distanze, sia perchè era stata disposta la rimessione in pristino per la violazione dell’art. 872 c.c. (ma sul punto, rilevava, non vi era appello), sia perchè i danni (indebolimento del muro di confine, infiltrazioni d’acqua e perdita di volumetria) erano derivati dalla non corretta esecuzione di dette opere, sicchè la somma liquidata a tale titolo non aveva nulla a che vedere con le spese di riduzione in pristino.

Per la cassazione di detta sentenza D.F. propone ricorso, affidato a un unico motivo.

Resiste con controricorso D.L..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., per il vizio di ultrapetizione.

Sostiene al riguardo parte ricorrente che il convenuto nel proporre la sua domanda riconvenzionale aveva chiesto la rimessione in pristino o il risarcimento del danno, in alternativa tra loro, mentre la sentenza di primo grado aveva aggiunto alla condanna in forma specifica una per equivalente, relativa ai danni subiti dall’abitazione del convenuto a seguito delle opere del ricorrente, per la quale non vi era invece domanda.

2. – Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Infatti, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (così, tra le tante, Cass. n. 19410/15).

Con riferimento specifico al contenuto del ricorso per cassazione nell’ipotesi in cui venga eccepita la violazione dell’art. 112 c.p.c. (è indifferente se l’eccezione attenga ad un’ipotesi di omessa pronuncia ovvero ad un caso di possibile ultrapetizione), è stato, ancora, osservato che affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367/14; conforme, n. 6361/07).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha motivato in maniera puntuale e senza contraddizioni sull’eccezione già sollevata nei motivi d’impugnazione dall’attuale ricorrente, circa la presunta duplicazione della condanna al ripristino dei luoghi ed al risarcimento dei danni, differenziando le cause poste a base delle due diverse statuizioni a carico dell’appellante.

2.1. – Il motivo è, ad ogni modo, anche destituito di fondamento, perchè nelle proprie conclusioni contenute nella comparsa di risposta, D.L. articolò chiaramente una duplice domanda di condanna, all’eliminazione delle opere illegittimamente eseguite dall’attore e al risarcimento di ogni danno subito o subendo in considerazione delle suddette opere, nella misura che sarebbe stata provata in corso di causa e comunque di giustizia.

3. – Il ricorso va, pertanto, respinto.

4. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in 2.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione dell’assistente di studio dr. M.G..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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