Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24947 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. I, 07/10/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 07/10/2019), n.24947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco A. – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28008/2016 proposto da:

Unicredit S.p.a., quale incorporante di Capitalia S.p.a., e doBank

S.p.a., denominazione assunta da Unicredit Credit Management bank

S.p.a., nella quale è stata incorporata la Aspra Finance s.p.a., in

persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliate in Roma, Via Cosseria n. 1, presso lo

studio dell’avvocato Chimento Iolanda, che le rappresenta e difende,

giuste procure in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in persona del curatore Dott.

A.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pietro della Valle n.

2, presso lo studio dell’avvocato Antonelli Marco, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

(OMISSIS) S.p.a., Merida S.r.L;

– intimate –

avverso la sentenza n. 5813/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/09/2019 dal Pres. Dott. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto, ai sensi della L. Fall., art. 99, comma 5, avverso la sentenza reiettiva dell’opposizione allo stato passivo del fallimento delle (OMISSIS) SpA, pronunciata dal Tribunale di quella stessa città su ricorso della Capitalia Service J.V. srl quale mandataria di Banca di Roma SpA, nell’accoglimento dell’eccezione preliminare di carenza della legittimazione ad agire della ricorrente che non aveva fornito, nel corso del giudizio, la prova del mandato da parte di Banca di Roma, poi Capitalia Spa e, alfine, Unicredit SpA.

1.1. La Corte territoriale ha affermato che, l’appello non poteva trovare accoglimento in quanto la società ricorrente (divenuta Unicredit Credit Management Bank SpA, mandataria di Aspra Finance SpA) aveva depositato tardivamente ed inammissibilmente, nel corso del giudizio di appello, il mandato ricevuto (con atto per notar Z. A.M., in data 28 maggio 2003, rep. (OMISSIS), racc. (OMISSIS)) e – sulla base del quale aveva agito verso il fallimento.

1.2. Secondo il giudice distrettuale, avendo la ricorrente in primo grado reagito all’eccezione affermando che i propri poteri rinvenivano la loro fonte in atti pubblici conoscibili erga omnes, particolarmente corposi, e avendo chiesto termine ove il tribunale avesse ritenuto necessaria la produzione, non vi era necessità di ulteriori contestazioni essendosi la procedura riportata integralmente alla propria comparsa.

1.3. Nel caso in esame, insomma, sarebbe stato onere della ricorrente depositare il documento nel termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, poichè l’eccezione non era stata abbandonata ed essendo onere del mandatario consentire alle parti di verificare tale dato nel corso del giudizio.

1.4. In ogni caso la mandataria aveva depositato l’atto tardivamente ed inammissibilmente, nel corso del giudizio di appello all’udienza dell’8 luglio 2015 (p. 4).

2. Contro tale decisione la società mandataria (ora doBank SpA) e la mandante (Unicredit Spa) hanno proposto, con unico atto, ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, illustrato anche con memoria.

3. La Curatela fallimentare ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il detto mezzo (Violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 88,112,182,183,345 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5), le ricorrenti si dolgono della violazione del principio della buona fede, in considerazione del fatto che Essa aveva giustificato la fonte dei suoi poteri ed aveva chiesto al curatore di esprimersi sulla necessità della produzione del corposo documento, senza ottenere al riguardo alcuna risposta.

1.1. Secondo le ricorrenti, infatti, il Tribunale avrebbe errato con la sua decisione a sorpresa, considerato che alla propria disponibilità a produrre il documento non vi erano state dichiarazioni comportanti la necessità della produzione; in tal modo non rilevando la violazione del dovere di lealtà e correttezza da parte della curatela, nè imponendo ad essa il necessario chiarimento in ordine all’onere del deposito, essendosi la procedura limitata a chiedere, a norma dell’art. 1393 c.c., che il rappresentante apparente giustificasse i suoi poteri, fatto adempiuto con l’indicazione dell’atto pubblico fonte degli stessi.

1.2. La Corte territoriale, poi, aveva inopinatamente rigettato il gravame nonostante la disponibilità a depositarlo, cosa poi avvenuta effettivamente nel corso del giudizio.

1.3. Ma il riferimento fatto dalla Corte territoriale alla sentenza n. 11898 era improprio in quanto il principio non si attagliava al caso in esame, mentre i più recenti arresti (si richiama la sentenza n. 4248 del 2018 delle SU) consentirebbero la sanatoria del difetto di rappresentanza processuale in fase d’impugnazione.

1.4. Nella sostanza, l’ambiguo atteggiamento della curatela non autorizzava quell’esito di giudizio cui il Tribunale aveva dato forma, in ogni caso sanato immediatamente con l’atto di appello.

2. Il ricorso si compone di due profili di doglianza attinenti: a) alla impropria valorizzazione della contestazione della curatela che non avrebbe mai nettamente richiesto il deposito dell’atto, essendosi nella sostanza limitata a domandare quale ne fosse il fondamento, anche di fronte alla disponibilità della parte ricorrente a versare il corposo documento, ove davvero necessario ai fini della decisione; b) alla decisione a sorpresa de Tribunale, approvata dalla Corte territoriale nonostante in appello fosse stato sanato il presunto vizio, affermato – per la prima volta in modo esplicito – dalla sentenza di prime cure.

3. Al riguardo va premesso che questa Corte ha, anche di recente (Sez. 6-1, Ordinanza n. 26948 del 2017), chiarito che “L’art. 182 c.p.c., comma 2 (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, deve essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio ed indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, non ritenendo ravvisarle un’autorizzazione implicita da parte del giudice delegato nei provvedimenti allegati dalla curatela, non aveva assegnato il termine di cui all’art. 182 c.p.c., comma 2)”.

3.1. Ma è vero, tuttavia, che le SU (Sentenza n. 4248 del 2016) hanno precisato che la portata di un tale principio soffre di un limite, nell’ipotesi in cui non sia stato il giudice ad operare il rilievo ufficioso, ma la parte abbia per suo conto eccepito il difetto di legittimazione (“il difetto di rappresentanza processuale della parte può essere sanato in fase di impugnazione, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie, e, qualora la contestazione avvenga in sede di legittimità, la prova della sussistenza del potere rappresentativo può essere data ai sensi dell’art. 372 c.p.c.; tuttavia, qualora il rilievo del vizio in sede di legittimità non sia officioso, ma provenga dalla controparte, l’onere di sanatoria del rappresentato sorge immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto, giacchè sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire”).

3.2. E, tuttavia, nel caso che ci occupa è proprio questo che le ricorrenti contestano, affermando che l’eccezione della curatela non aveva investito la necessità del deposito ma esclusivamente la fonte del potere, del tutto chiarito dalla opponente allo stato passivo; sì che lamentano una sostanziale decisione a sorpresa da parte da parte del primo giudice, fraintesa dal giudice di appello che, aveva ormai a disposizione l’atto sostanziale di conferimento del potere rappresentativo (il mandato).

3.3. Di contro la curatela replica affermando l’inderogabilità dell’onere documentativo in caso ci semplice eccezione (nella specie, anche reiterata, richiamando nelle conclusioni tutto quanto in precedenza eccepito), senza che essa potesse degradare a semplice richiesta di chiarimento sulla fonte del potere sostanziale.

4. Osserva la Corte che la difesa dell’opponente allo stato passivo è fondata sulla replica all’eccezione (con cui era stata fornita la spiegazione del mancato deposito dell’atto, che si assumeva, al contempo, pubblico e corposo; e con cui si era anche richiesto alla parte ed al giudice una espressa pronuncia sulla necessità di quell’oneroso deposito) alla quale la controparte e lo stesso giudice non avrebbero fornito risposta.

4.1. Ma la tesi non può essere accolta in quanto essa presuppone che l’attività processuale, anche nelle sue cadenze nette e precise, possa trasformarsi in una sorte di trattativa sulla base anche di alcune semplici ulteriori interlocuzioni della parte onerata di documentare ciò che, sulla base dell’eccezione di controparte, dovrebbe essere.

4.2. Questa Corte ha, ancor di recente (Sez. 6-1, Ordinanza n. 6996 del 2019). affermato il principio secondo cui l’atto introduttivo del processo deve ritenersi inammissibile, per difetto di idonea procura alle liti e, quindi, di “legitimatio ad processum”, quando questa sia conferita da soggetto indicato come procuratore della persona giuridica in base ad una determinata procura notarile che, tuttavia, non sia stata allegata, così, impedendo le necessarie verifiche. Tale vizio di rappresentanza processuale, qualora non rilevato in via officiosa nella fase di merito, fa sorgere in capo alla controparte un onere d’immediata difesa. (Fattispecie riferita a una contestazione avvenuta in sede di legittimità, attraverso la formulazione di uno specifico motivo d’impugnazione, ove si è aggiunto che la prova della sussistenza del potere rappresentativo potrà essere data, previa notifica, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., ma l’onere di sanatoria non può andare oltre il deposito del controricorso).

4.3. Nel caso che ci occupa, essendo stato eccepito il difetto di legittimazione per mancata documentazione della rappresentanza sostanziale, i chiarimenti forniti al riguardo (circa la natura pubblica dell’atto sottostante: il rogito notarile) in nulla modificano gli oneri nascenti dal loro mancato adempimento, che avrebbe dovuto portare la parte destinataria dell’eccezione all’onere di sanatoria-dimostrazione dell’esistenza del potere rappresentativo; obbligo che sorge immediatamente, per il fatto stesso dell’eccezione di difetto della dimostrazione della contemplano domini, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia stato motivatamente richiesto, giacchè sul rilievo di parte l’avversario è in linea di principio chiamato a contraddire, non certo a “contrattare” le possibilità e le forme del suo adempimento.

4.4. Tale termine, peraltro, non risulta essere stato neppure chiesto e nè il ricorso afferma l’esistenza di una tale istanza, ma solo di una sorta di interlocuzione con il giudice finalizzata a chiedere allo stesso una anticipazione di giudizio sulla necessità di produrre il documento, per quanto corposo.

4.5. Senza dire del fatto che la Corte territoriale ha, in ogni caso ritenuto tardivamente ed inammissibilmente depositata la fonte documentale del potere rappresentativo solo in una udienza successive alla stessa introduzione dell’appello: e tale affermazione non risulta specificamente censurata dalle odierne ricorrenti.

5. Il ricorso, pertanto, va respinto, con le conseguenze di legge: a) le spese processuali, a carico dei ricorrenti e liquidate come in dispositivo; b) il raddoppio del contributo unificato già assolto.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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