Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24946 del 06/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 24946 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso 27340-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

ZANAPA RAFFAELE & COMPAGNI SDF;
– intimato –

avverso la sentenza n. 137/2005 della COMM.TRIB.REG.
di CAMPOBASSO, depositata il 28/08/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 06/11/2013

udienza

del

18/09/2013

dal

Consigliere

Dott.

FRANCESCO TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

l’accoglimento del ricorso.

Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per

27390-07

Svolgimento del processo
La Zanapa Raffaele e c. s.d.f. proponeva ricorso alla
commissione tributaria provinciale di Campobasso contro un
avviso di accertamento in rettifica del valore di taluni
immobili, indicato nella dichiarazione relativa all’Invim

n. 363 del 1991.
In pendenza di lite presentava istanza di definizione ai
sensi dell’art. 2-quinquies del d.l. n. 546 del 1994,
conv. in l. n. 656 del 1994, eseguendo il versamento della
somma prevista, pari al 10 % dell’imposta dovuta.
L’amministrazione finanziaria, ai sensi del 6 ° co. del
citato art.

2-quinquies,

notificava un avviso di

liquidazione, col quale chiedeva il pagamento della somma
originaria, iscritta a ruolo nella proporzione di 1/3.
La società impugnava l’avviso suddetto e la commissione
tributaria regionale del Molise, con sentenza in data 288-2006, riformando la decisione negativa di primo grado,
accoglieva l’impugnazione, in sintesi osservando che
l’ufficio aveva recuperato le somme in violazione
dell’art. 34 del d.lgs. n. 346 del 1990, giacché questo
richiedeva un unico atto di rettifica e di liquidazione; e
che la chiusura della lite, ai sensi del citato art. 2quinquies, aveva determinato la cessazione della materia
del contendere e il venir meno di ogni ulteriore debito
del contribuente, non potendo invocarsi l’ultrattività di
una pretesa a fronte di un titolo ormai estinto.

straordinaria di cui al d.l. n. 299 del 1991, conv. in 1.

L’amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per
cassazione, deducendo due motivi.
L’intimata non ha svolto difese.
Motivi della decisione
I.

– Il primo mezzo, deducendo violazione e falsa

applicazione dell’art. l, 4 ° e 8 ° co., del d.l. n. 299 del

1991, censura la sentenza per non aver considerato che, in
materia di Invim, è appunto ammessa la non contestualità
dell’avviso di accertamento e di quello di liquidazione.
Il

secondo

mezzo,

deducendo

violazione

e

falsa

applicazione dell’art. 2-quinquies, 6 ° co., della l. n.
656 del 1994, censura la sentenza per aver violato la
norma succitata, secondo la quale, sebbene dinanzi alla
definizione della lite, l’ufficio può in ogni caso esigere
le somme il cui pagamento è previsto da disposizioni di
legge in pendenza di giudizio, anche se non ancora
iscritte a ruolo o liquidate.
II. – Il ricorso è fondato, potendosi i motivi esaminare
congiuntamente in ragione della loro stretta connessione.
III. – Dalla sentenza emerge che l’avviso di accertamento,
all’origine della lite poi definita mediante il condono di
cui al d.l. n. 564 del 1994, era stato notificato in
relazione ai valori dichiarati ai fini del pagamento
dell’Invim straordinaria.
L’attuale

controversia,

rettifica

di

quei

peraltro,
valori,

non attiene

sebbene

alla

alla

pretesa

dell’amministrazione di recuperare in ogni caso l’importo

2

(pari a 1/3) di cui alla provvisoria iscrizione a ruolo
delle imposte conseguenti, in pendenza di giudizio.
Non è quindi pertinente – e appare anzi del tutto priva di
costrutto – l’allusione del giudice d’appello a una
supposta necessitata unitarietà, all’uopo, dell’ atto di
rettifica e di liquidazione.

IV. – La questione posta dal ricorso è invece incentrata
sulla regola di cui all’art. 2-quinquies del d.l. n. 564
del 1994.
L’art. 2-quinquies prevedeva la possibilità di chiudere le
liti fiscali pendenti al 31-12-1994 mediante il pagamento
di determinate somme; ed estendeva tale facoltà, per il
contribuente, alle liti che potessero insorgere per atti
notificati entro la stessa data, ivi compresi i processi
verbali di constatazione per i quali non fosse stato
ancora notificato un atto di imposizione.
Il 6 ° comma, a sua volta, disponeva che “restano comunque
dovute le somme il cui pagamento è previsto dalle vigenti
disposizioni di legge in ipotesi di pendenza di giudizio,
anche se non ancora iscritte a ruolo o liquidate; dette
somme, a seguito delle definizioni, sono riscosse a titolo
definitivo. La definizione non dà comunque luogo alla
restituzione delle somme eventualmente già versate dal
ricorrente.”.
V. – Questa corte ha esaminato la portata della suddetta
disposizione

in un primo momento affermando

che

l’espressione “restano comunque dovute le somme il cui
pagamento è previsto dalle vigenti disposizioni di legge

3

in

ipotesi

di

pendenza

del

giudizio”

riguarda

esclusivamente i versamenti compiuti prima del condono,
che restano fermi e non danno luogo ad alcuna restituzione
(v. Cass. n. 13831-01).
Invero si è detto che, in tema di condono tributario, la
chiusura delle liti fiscali pendenti a seguito del

pagamento di una somma correlata al valore della causa
provoca, nel concorso di condizioni e adempimenti
prestabiliti, l’estinzione del giudizio e la cessazione
della materia del contendere; e in conseguenza di ciò,
viene meno ogni debito del contribuente stesso.
Tuttavia in altro più convincente arresto (Cass. n. 1677202) si è precisato che il tenore dell’inciso “anche se non
ancora iscritte a ruolo o liquidate” è nel senso di non
potersi limitare la debenza alle somme già pagate.
La corretta interpretazione del comma in argomento è in
tale prospettiva da associare al principio che, ove al 3112-1994 la lite fiscale non sia pendente in concreto, ma
sia aperto il termine per proporla, come pure nel caso in
cui esista un mero processo verbale di constatazione (ma
senza accertamento), le somme provvisoriamente iscrivibili
a ruolo non restano dovute all’erario, perché l’art. 2quinquies, 6 °

co., va inteso nel senso che tali somme

rimangono dovute ove la lite fiscale sia pendente in
concreto, vale a dire se il giudizio è pendente.
Per cui, in sostanza, secondo questo orientamento, la
questione resta ancorata all’alternativa circa la
pendenza, o meno, di un giudizio sulla pretesa tributaria.

4

A siffatta esegesi va data continuità, essa

VI.

palesandosi dal senso del riferimento alla “pendenza del
giudizio”, in rapporto al correlato periodo che, nella
norma, conclude la frase: “dette somme, a seguito delle
definizioni, sono riscosse a titolo definitivo”.
La norma sta quindi a significare che, in caso di pendenza

del giudizio, le somme non ancora iscritte a ruolo
rimangono dovute a titolo definitivo se l’iscrizione è
prevista dalle vigenti disposizioni a titolo provvisorio;
mentre, se il giudizio non è pendente (perché è aperto il
termine per ricorrere contro un avviso di accertamento
ovvero perché al processo verbale di constatazione non ha
fatto seguito un atto impositivo), non vengono acquisite
all’erario le somme provvisoriamente iscritte o
iscrivibili a ruolo.
VII.

– Nel caso di specie la sentenza riferisce che

l’anteriore avviso di accertamento aveva dato luogo a un
contenzioso e che questo era stato “definito in corso di
causa”.
Donde devesi considerare pacifico che la lite era già
concretamente pendente al momento dell’entrata in vigore
del citato d.l. n. 564 del 1994.
Pertanto,

diversamente

da

quanto

affermato

dalla

commissione tributaria regionale, la definizione della
lite non poteva ritenersi incidente sulla sorte delle
somme il cui pagamento era previsto dalle disposizioni
vigenti per l’ipotesi della pendenza del giudizio; e

5

ESENTE DA RF.ciisTkvioNth,
Al SENSI DEL I) ‘e.
N. 13lTA,ALL4.N.5

MATERIA TRIBUTARIA
segnatamente dall’art. 15 del d.p.r. n. 602 del 1973 nel
testo pro tempore vigente.
L’impugnata sentenza va conseguentemente cassata. E, non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può la
corte decidere la causa anche nel merito, ai sensi

contro l’avviso di liquidazione.
Giusti motivi, in relazione all’opinabilità della materia
del contendere I

Zncisa da divergenti indirizzi

interpretativi, inducono alla compensazione integrale
delle spese processuali.
p.q.m.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza
e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione
originariamente proposta contro l’avviso di liquidazione;
compensa le spese dell’intero giudizio.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta
sezione civile, addì 18 settembre 2013.
reside
Il C nsigliere stensore
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ALmA4u.~
í

dell’art. 384 c.p.c., rigettando l’originaria impugnazione

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