Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24945 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 25/11/2011), n.24945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3942-2008 proposto da:

M.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIA PANAMA 68,

presso lo studio dell’avvocato PUOTI GIOVANNI, che la rappresenta e

difende, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 66/2006 della COMM. TRIB. REG. di CAGLIARI,

depositata il 14/12/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato LO MONACO per delega, che nel

riportarsi agli scritti difensivi insiste per l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 14.12.2006 n. 66 la CTR della regione Sardegna sez. 1 Cagliari rigettava l’appello proposto dal contribuente M.M. L. avverso la sentenza n. 104/02/2005 della CTP che aveva dichiara legittimo l’avviso di accertamento in rettifica con il quale veniva recuperato a tassazione il maggior reddito imponibile di lire 237.500.000, quale plusvalenza derivante dalla cessione (con scrittura privata autenticata in data 18.9.1997 rep. 74758 per atto del notaio Ernesto Bassi) di diritti di opzione su quote di capitale sociale della Centro Commerciale San Sperate s.r.l., reddito imponibile sul quale veniva liquidata la imposta sostitutiva con aliquota del 25% prevista dal D.L. 28 gennaio 1991, n. 27, art. 2 conv. in L. 25 marzo 1991, n. 102.

I Giudici di appello confermavano la sentenza di prime cure rilevando che il contribuente non aveva fornito prova della dichiarazione sottoscritta richiesta dall’art. 3 del predetto decreto legge per esercitare la opzione per il pagamento della imposta sostitutiva nella misura ridotta del 15% calcolato sulla plusvalenza pari al 7% del corrispettivo pattuito.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, deducendo due motivi, con atto tempestivamente notificato in data 28.1.2008 alla Agenzia delle Entrate ed al Ministero della Economia e delle Finanze.

Hanno resistito con controricorso gli intimati.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Questioni pregiudiziali e preliminari.

Va preliminarmente dichiarata “ex officio” l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svolto avanti la CTR della regione Sardegna introdotto dalla contribuente, e nel quale risulta costituito come parte appellata soltanto l’Ufficio di Cagliari (OMISSIS) della Agenzia delle Entrate, in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributar pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

Non avendo il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e delle Finanze comportato per la parte resistente svolgimento di specifica od ulteriore attività difensiva, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

2. La sentenza impugnata.

I Giudici di appello, dopo aver dato atto che la norma del D.L. n. 27 del 1991, art. 3 subordinava la applicazione della imposta sostitutiva in misura forfetaria all’esercizio della facoltà di opzione da parte del contribuente, mediante dichiarazione sottoscritta rilasciata al notaio, hanno ritenuta non raggiunta la prova della dichiarazione scritta resa al notaio in quanto: 1-il contribuente non aveva depositato in giudizio tale documento; 2- il notaio che aveva autenticato l’atto di cessione, al quale i militari della Guardia di Finanza si erano rivolti per acquisire il documento, non era stato in grado di esibire la dichiarazione di opzione sottoscritta del contribuente, nè questa risultava trasfusa nella scrittura privata autenticata agli atti di repertorio dello studio.

Difettava quindi la prova dell’opzione del regime fiscale che doveva essere “tassativamente esercitata con apposita dichiarazione, sottoscritta dal contribuente, rilasciata al notaio”. Tale prova non era surrogabile con la attestazione di ricezione della dichiarazione, resa dal notaio, in quanto priva di efficacia probatoria non essendo contenuta in un atto facente prova fino a querela di falso.

La CTR inoltre ha aggiunto (così sembra doversi intendere la statuizione resa in una espressione lessicale non limpida) che la tassatività delle forme prescritte per l’esercizio della opzione non consentiva di ritenere raggiunta la prova (?) per “facta concludentia” (attraverso il fatto dell’avvenuto pagamento della imposta con applicazione della aliquota ridotta).

3. I motivi di ricorso.

3.1 Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 27 del 1991, art. 3 sulla base di tre distinte argomentazioni:

– la interpretazione letterale del testo normativo depone per la prevalenza della funzione ricettizia della dichiarazione di opzione sull’aspetto formale dell’atto, con la conseguenza che oggetto della prova non è il documento ma il risultato conoscitivo della volontà di opzione conseguito mediante la trasmissione della dichiarazione al notaio. Tanto si verrebbe a desumere dalla assenza di una prescrizione normativa di trasfondere la dichiarazione di opzione nel contenuto dell’atto ricevuto dal notaio, e di un obbligo per il contribuente di conservare una copia della dichiarazione;

– la interpretazione sistematica delle disposizioni contenute nel D.L. n. 27 del 1991, medesimo art. 3 consente di circoscrivere gli effetti della dichiarazione di opzione al rapporto “interno” tra contribuente e notaio (non assumendo questi alcuna responsabilità verso l’Amministrazione finanziaria), configurandosi come mera autorizzazione al pagamento dell’imposta;

– la diversa interpretazione che attribuisce valore di prova documentale alla dichiarazione, sostenuta dalla CTR, si porrebbe in conflitto: a) con il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost., perchè impedirebbe al contribuente, non più in possesso del documento consegnato a terzi, di assolvere all’onere probatorio laddove il notaio non fosse più in grado di esibire l’atto, atteso il divieto di prove testimoniali nel giudizio tributario; a) con il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. per ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti ai quali la legge impone di trasporre in atti pubblici le dichiarazioni fiscalmente rilevanti, ed i contribuenti invece ai quali tale prescrizione, come nel caso di specie, non è richiesta.

3.2 Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente censura la sentenza per illogica motivazione in punto di disconoscimento della prova fornita in giudizio dal contribuente (attestazione del notaio), sotto un duplice profilo:

– incongrua è la motivazione secondo cui “la dichiarazione del notaio rogante non costituisce prova, in quanto non resa in atto, che in tal caso si sarebbe dovuta assumere come vera, salvo querela di falso”, atteso che la efficacia probatoria della medesima dichiarazione non verrebbe immutata solo per il fatto di essere contenuta in un atto pubblico, in quanto la efficacia probatoria privilegiata dell’atto concerne soli i fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza;

la statuizione dei Giudici di appello è difforme dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel processo tributario, le dichiarazione dei terzi possono essere valutate dal Giudice come elementi indiziar sia a favore della Amministrazione finanziaria che del contribuente (Cass. n. 4269/2002), e non da conto delle ragioni per cui la attestazione notarile, unitamente al pagamento della imposta in misura forfetaria (risultante dallo stesso avviso di accertamento), non siano stati ritenuti sufficienti ad integrare la prova della effettiva ricezione da parte del notaio della dichiarazione di opzione.

4. Il controricorso.

La Agenzia delle Entrate ha chiesto il rigetto del ricorso sostenendo che la espressa previsione normativa della dichiarazione scritta, necessaria per esercitare la opzione, imponeva per tale atto la forma scritta “ad probationem”, gravando quindi il contribuente della relativa prova. Inoltre corretta era stata la valutazione probatoria compiuta dalla CTR che aveva ritenuto recessiva la efficacia indiziaria della attestazione notarile depositata in giudizio rispetto al fatto negativo del mancato reperimento presso lo studio notarile della dichiarazione di opzione, tanto più considerando che “D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 4, nel richiamare l’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, nn. 3 e 4, comma 2, prescrive che è inutilizzabile a difesa del contribuente la documentazione non trasmessa od esibita a richiesta degli uffici e della Guardia di Finanza”.

5. Esame e valutazione dei motivi.

5.1 Il ricorso deve essere accolto in relazione al vizio di “error in judicando” con riferimento tuttavia a norma di diritto diversa da quella assunta violata dalla ricorrente.

La normativa, applicabile “ratione temporis” alla fattispecie, in materia di imposizione delle plusvalenze diverse da quelle conseguite nell’esercizio di imprese commerciali, realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali od altri diritti comunque connessi a detti rapporti (D.L. n. 27 del 1991 conv. in L. n. 102 del 1991), dispone che, relativamente alle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni sociali cd. “non qualificate” di cui all’art. 81, comma 1, lett. c bis), del TUIR, “i cedenti possono optare per il pagamento della imposta sostitutiva sulla plusvalenza realizzata in ciascuna operazione, quando si avvalgono di notai ovvero quando nella operazione intervengono come intermediari professionali o eventualmente come acquirenti, aziende ed istituti di credito, agenti di cambio, commissionari di borsa, società fiduciarie, società di intermediazione mobiliare..” (art. 3, comma 1); “l’opzione si esercita all’atto della prima cessione effettuata nel periodo di imposta ……ed ha effetto anche per tutte le altre operazioni che verranno effettuate nello stesso periodo. L’opzione si esercita con apposita dichiarazione sottoscritta dal contribuente, rilasciata ai predetti soggetti (art. 3, comma 2); “I soggetti indicati nel comma 1 provvedono al versamento diretto della imposta dovuta dal cedente, al concessionario per la riscossione……trattenendone l’importo sul corrispettivo o ricevendone provvista dal cedente……, soggetti indicati nel comma 1 debbono rilasciare al cedente una attestazione del versamento…” (art. 3, comma 4). I notai e gli altri intermediari professionali debbono rilasciare alle parti contraenti – soltanto su richiesta di parte, nel caso di esercizio della opzione – apposita certificazione “anche integrando i documenti comprovanti la operazione, con le generalità ed il codice fiscale del cedente, la data e l’oggetto della cessione, il corrispettivo pattuito e l’importo delle spese……Gli stessi soggetti debbono comunicare entro il 30 aprile di ciascun anno all’amministrazione finanziaria……; dati relativi alle singole operazioni effettuate nell’anno precedente” (art. 4, commi 1 e 2). Gli uffici procedono al controllo, all’accertamento ed alla riscossione del tributo secondo le norme che regolano l’accertamento e la riscossione delle II.DD. (art. 5).

5.2 Tanto premesso, alla stregua della normativa richiamata, può ribadirsi che, in tema di imposte sui redditi, la facoltà, riconosciuta a coloro che effettuano cessioni di azioni a titolo oneroso avvalendosi di notai, di optare per il pagamento dell’imposta, anzichè nella misura del 25 per cento sostitutiva dell’IRPEF ordinaria, nella misura del 15% sulla plusvalenza realizzata in ciascuna operazione calcolata in percentuale al corrispettivo pattuito, è condizionata all’espressa formulazione dell’opzione tra regime ordinario e regime sostitutivo, nonchè al requisito che non si tratti di cessioni di azioni qualificate, cioè di azioni di società non quotate superiori al 15 per cento del capitale della società (Vedi: Corte cass. 5 sez. 9.4.2008 n. 9183).

La espressa manifestazione di esercizio della opzione è assoggettata ex lege alla forma scritta (richiedendo la norma esplicitamente la sottoscrizione del contribuente), con la conseguenza che gli effetti giuridici ricollegabili all’esercizio della facoltà di opzione, si producono soltanto se vengono osservate le forme prescritte per la manifestazione di volontà negoziale (e sempre che ricorrano le altre condizioni previste dalla legge: cessione di partecipazioni “non qualificate”).

In mancanza di opzione esercitata nelle prescritte forme, il diritto alla applicazione del regime forfetario non sorge e la PA è tenuta ad accertare la maggiore imposta dovuta ai sensi del D.L. n. 27 del 1991, art. 2, comma 4 conv. in L. n. 102 del 1991.

La questione di diritto posta dalla parte ricorrente, se cioè la previsione del requisito formale debba ritenersi recessiva rispetto alla direzione degli effetti dell’atto di opzione che sarebbero rivolti, non nei confronti della Amministrazione fiscale, ma esclusivamente e confronti del notaio esaurendosi nell’ambito del rapporto contrattuale tra cliente professionista, con la conseguenza che l’applicazione del regime fiscale prescelto conseguirebbe alla effettiva ricezione da parte del notaio della dichiarazione di opzione (dovendo quindi essere oggetto di prova, nella presente controversia, la ricezione e non anche la modalità di emissione della dichiarazione), deve ritenersi priva di rilevanza alla stregua della disciplina normativa introdotta dal D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442 (recante “norme per il riordino della disciplina delle opzioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte dirette”), regolamento delegato autorizzato dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 137, lett. b), che all’art. 1 stabilisce che “l’opzione e la revoca di regimi di determinazione della imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. La validità della opzione e della relativa revoca è subordinata unicamente alla sua concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività…”, mentre al successivo art. 2, comma 3 esclude che la violazione degli obblighi di comunicazione dell’opzione mediante la dichiarazione annuale IVA o la dichiarazione dei redditi, non pregiudica la opzione esercitata per “facta concludentia”, salva l’applicabilità delle previste sanzioni pecuniarie.

La predetta disciplina normativa trova applicazione anche “ai comportamenti concludenti tenuti dal contribuente anteriormente alla data di entrata in vigore del citato Decreto n. 442 del 1997”, come disposto dalla norma di interpretazione autentica dettata dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 4, venendo ad essere definitivamente risolto ogni residuo dubbio emerso da contrasti interpretativi manifestatisi anche nella giurisprudenza in relazione a fattispecie analoghe concernenti l’esercizio del diritto di opzione (opzione del regime normale di detrazione IVA da parte del produttore agricolo previa rinuncia all’esonero dagli obblighi di fatturazione, registrazione e versamento D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 34: cfr.

Corte cass. 1 sez. 11.7.1992 n. 8460, che ammetteva la rilevanza di comportamenti concludenti; contrai Corte cass. n. 1550/95, n. 1586/95 e n. 11050/96 secondo cui la mancata presentazione della dichiarazione di esonero e di opzione precludeva l’applicazione del regime ordinario di detrazione).

La soluzione della questione giuridica sottoposta all’esame della Corte non confligge con i limiti i corrispondenza tra chiesto e pronunciato imposti dall’art. 112 c.p.c. atteso che “in ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè per omologia con quanto prevede la norma di cui all’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l’esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre configgere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l’efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’integrazione di una eccezione in senso stretto” (Corte cass. 3^ sez. 22.3.2007 n. 6935; id 1^ sez. 17.4.2007 n. 9143; id. 2^ sez. 17.7.2007 n. 15925; conf. id. 2^ sez. 17.11.2010 n. 23215, ed id. 6-3 sez. ord. 17.5.2011 n. 10841).

Pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata, avendo pronunciato i Giudici di merito senza tenere conto che, nella fattispecie, deve ritenersi applicabile la predetta normativa regolamentare, estesa dalla L. n. 342 del 2002, art. 4 anche alla opzione del regime fiscale concernente le plusvalenze (capital gains) esercitata dal contribuente mediante comportamento concludente in data anteriore alla data entrata in vigore del predetto D.P.R. n. 442 del 1997 (cfr. Corte cass. 5 sez. 25.10.2006 n. 22872).

La Corte non può, tuttavia, definire la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2 essendo ostativa a tale pronuncia la necessità dell’accertamento in fatto, devoluto in via esclusiva al Giudice di rinvio, relativo alla sussistenza nel caso concreto dei riscontri probatori idonei a qualificare la “concludenza” del comportamento tenuto dalla contribuente e dunque la idoneità dello stesso ad esprimere una manifestazione inequivoca di volontà diretta alla opzione del regime fiscale di cui al D.L. n. 27 del 1991, art. 3, comma 3.

6. In conclusione il ricorso deve essere accolto, per le ragioni esposte in parte motiva, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della CTR della regione Sardegna che dovrò attenersi ai principi di diritto indicati in motivazione sub paragr. 5.2 e provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e delle Finanze, compensando interamente tra le parti le spese di lite, – accoglie il ricorso proposto da M.M.L. nei confronti della Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e invia ad altra sezione CTR della regione Sardegna che procederà a nuovo esame attenendosi ai principi di diritto indicati in motivazione sub paragr. 5.2, e provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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