Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24942 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. I, 07/10/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 07/10/2019), n.24942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 18095-2017 r.g. proposto da:

F.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Marco Viglietta, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Roma, Via Giuseppe Ferrari n. 11;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTI (OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore curatore fallimentare Avv. Paola Rosa;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Roma, depositato in data

26.6.2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

2/7/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Soldi Anna Maria, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del

primo motivo di ricorso ed il rigetto dei restanti motivi;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Marco Viglietta, che ha chiesto

accogliersi il proprio ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Roma – decidendo sulla opposizione allo stato passivo avanzata da F.S. nei confronti del FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., avente ad oggetto il diniego di ammissione al passivo per un credito lavoristico – ha confermato integralmente il provvedimento emesso dal g.d., rigettando, pertanto, l’opposizione.

Il Tribunale ha ritenuto che non fosse opponibile al fallimento il decreto ingiuntivo portante il predetto credito lavoristico perchè mancante del provvedimento giudiziale di esecutività definitiva ex art. 647 c.p.c., non potendosi ritenere equipollente alla predetta attestazione la certificazione di cancelleria di mancata opposizione e non potendosi ritenere idoneo a tal fine neanche il decreto di esecutività emesso dal giudice del procedimento monitorio in data 3.12.2015, cioè dopo la dichiarazione di fallimento. Il Tribunale ha dunque ritenuto che, in assenza di eventuale ulteriore documentazione giustificativa del credito, la mera allegazione del decreto ingiuntivo mancante della definitività prevista dall’art. 647 c.p.c. non potesse legittimare l’ammissione del credito al concorso dei creditori.

2. Il decreto, pubblicato il 26.6.2017, è stato impugnato da F.S. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

Il fallimento intimato non ha svolto difese.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Con ordinanza interlocutoria datata 6.1.2018 la Sesta-Prima Sezione Civile di questa Corte ha rimesso la causa alla discussione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omessa valutazione di prove documentali prodotte nel giudizio di opposizione allo stato passivo. Si evidenzia che, nel corso del predetto giudizio, aveva prodotto il fascicolo della fase monitoria all’interno del quale era contenuta la documentazione attestante lo svolgimento del rapporto di lavoro di cui si chiedevano le differenze retributive come credito da insinuare al passivo fallimentare e che il tribunale – dopo aver escluso, con motivazione non condivisibile, la non opponibilità del decreto ingiuntivo alla procedura fallimentare – aveva comunque escluso l’ammissione del credito per mancanza di ulteriore documentazione probante il credito, documentazione, invece, puntualmente e tempestivamente depositata nel giudizio oppositivo. Ciò integrava un vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., sempre per l’omessa valutazione della predetta documentazione. Si osserva come la motivazione impugnata avesse violato anche il principio fissato dall’art. 112 codice di rito posto che il giudice dell’opposizione allo stato passivo non aveva pronunciato su tutta la domanda, e cioè anche sul profilo dell’esistenza del credito lavoristico per come giustificato dalla documentazione sopra indicata e come la pronuncia impugnata avesse anche contemporaneamente violato l’art. 115 c.p.c. per non aver deciso la controversia su prove legittimamente offerte dalla parte opponente.

3. Con il terzo mezzo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, sempre in relazione alla predetta documentazione attestante l’esistenza del credito di lavoro ed invece colpevolmente ignorata dal tribunale.

4. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio processuale per la mancata ammissione da parte del tribunale della richiesta prova testimoniale come dimostrazione dell’esistenza e dello svolgimento del rapporto di lavoro con la società fallita.

5. Con il quinto ed ultimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione di legge in relazione all’art. 647 c.p.c. e L. Fall., art. 45 in relazione al profilo dell’affermata non opponibilità del decreto ingiuntivo alla procedura concorsuale per mancanza del decreto di definitività ex art. 647 codice di rito. Si denuncia come formalistica l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità sul punto qui in esame perchè l’attestazione di passaggio in giudicato rilasciata dal giudice del procedimento monitorio dopo la dichiarazione di fallimento retroagirebbe al momento della mancata opposizione al decreto ingiuntivo emesso in precedenza rispetto alla predetta declaratoria e perchè tale attestazione non avrebbe una efficacia costitutiva del passaggio in giudicato del decreto monitorio.

6. Il ricorso è fondato quanto al primo motivo, censura quest’ultima il cui accoglimento determina l’assorbimento del secondo, terzo e quarto motivo di doglianza.

6.1 Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la mancata valutazione, nella sentenza impugnata, di una prova documentale offerta investe un errore processuale, da denunciarsi, pertanto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e non, invece, inammissibilmente, sotto il profilo del vizio di motivazione di cui al n. 5 della medesima disposizione (Sez. 5, Sentenza n. 12514 del 22/05/2013). Ed invero, in materia di ricorso per cassazione, mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità, l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (o viceversa) (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27033 del 24/10/2018).

Ciò posto, risulta evidente già dalle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo che la parte opponente aveva prodotto tempestivamente nel giudizio di opposizione allo stato passivo, oltre al decreto ingiuntivo (ritenuto correttamente, per quanto si dirà, non opponibile alla procedura fallimentare), anche ulteriore documentazione (contratto di lavoro, buste paga, ccnl, cud, lettera di recesso per giusta causa, etc.) attestante l’esistenza e l’entità del credito lavoristico di cui si chiedeva l’ammissione al passivo fallimentare, documentazione invece colpevolmente ignorata dal Tribunale di Roma nella motivazione qui impugnata.

Ciò integra la violazione delle norme processuali sopra indicate ed impone la cassazione del provvedimento impugnato per un nuovo esame della vicenda che tenga in considerazione anche la documentazione tempestivamente depositata nel giudizio di opposizione allo stato passivo.

6.3 Il quinto motivo è invece infondato.

Sul punto è necessario ricordare la granitica giurisprudenza espressa da questa Corte secondo la quale, in assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c. Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c. venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito, deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi della L. Fall., art. 52 (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 25191 del 24/10/2017; Sez. 1, Sentenza n. 2112 del 31/01/2014; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650; cfr. inoltre: Cass. 11 ottobre 2013, n. 23202; Cass. 23 dicembre 2011, n. 28553; Cass. 13 marzo 2009, n. 6198; Cass. 26 marzo 2004, n. 6085).

Nè rileva che il decreto ingiuntivo fosse stato dichiarato provvisoriamente esecutivo dal giudice che lo ha emesso, a norma dell’art. 642 c.p.c., giacchè, per quanto osservato, il passaggio in giudicato del provvedimento non si compie prima della spendita dell’attività giurisdizionale di cui all’art. 647 c.p.c., la quale – come è del tutto evidente – risulta necessaria anche nel caso in cui il provvedimento monitorio sia stato reso esecutivo in via provvisoria. E’ del resto incontestabile che il decreto provvisoriamente esecutivo non è equiparabile alla sentenza non ancora passata in giudicato (di cui alla L. Fall., art. 96, comma 2, n. 3), la quale viene pronunciata nel contraddittorio delle parti, ed è, come tale, totalmente privo di efficacia nei confronti del fallimento (Cass. 27 maggio 2014, n. 11811, per il caso di dichiarazione di fallimento soppravvenuta nel corso del giudizio di opposizione).

Ciò posto emerge in modo incontestabile dalla lettura del provvedimento impugnato e del ricorso introduttivo che il provvedimento monitorio posto alla base della richiesta di insinuazione al passivo fallimentare era sprovvisto dell’attestazione giudiziale di definitività ai sensi dell’art. 647 c.p.c. emessa prima dell’apertura della procedura concorsuale, tanto ciò è vero che è la stessa parte ricorrente ad ammettere che il decreto di esecutività era stato emesso dal giudice del lavoro dopo la dichiarazione di fallimento e prodotto solo in sede di giudizio di opposizione allo stato passivo.

Non risulta condivisibile neanche l’ulteriore argomentazione agitata dal ricorrente per sostenere l’effetto retroattivo del decreto di definitiva esecutività ex art. 347 c.p.c. al momento della emissione del decreto ingiuntivo, perchè l’attestazione di definitività integra un elemento costitutivo della fattispecie processuale che deve necessariamente intervenire prima della dichiarazione di fallimento ovvero dell’apertura della procedura concorsuale per rendere definitivo l’accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo e per rendere, dunque, il credito portato dal decreto opponibile al fallimento, in quanto sorto geneticamente prima del fallimento ovvero sempre dell’apertura di altra procedura concorsuale.

Ne consegue l’inopponibilità del decreto ingiuntivo alla procedura fallimentare, come già correttamente rilevato dal Tribunale di Roma.

Le spese del presente giudizio sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo, terzo e quarto motivo; rigetta il quinto motivo; cassa il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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