Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24940 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 06/12/2016, (ud. 24/11/2016, dep. 06/12/2016), n.24940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2696-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.C.P.A., M.C.F. in

proprio e nq di eredi di C.B.V., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA FLAMINIA 213, presso lo studio dell’avvocato

RAFFAELE BAVA, rappresentati e difesi dagli avvocati GIUSEPPE

PEDRETTI, ANTONIO PIO CONTESSA giusta delega a margine;

– controricorrenti –

e contro

CARREGA BERTOLINI LUCEDIO VITTORIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 199/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

BRESCIA, depositata il 03/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che si riporta al

ricorso;

udito per i controricorrenti l’Avvocato D’ALESSANDRO per delega

dell’Avvocato CONTESSA che si riporta al controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

L’agenzia delle entrate propone cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 199/65/09 del 3 dicembre 2009 con la quale la commissione tributaria regionale Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto in parte illegittimo l’avviso di liquidazione di imposta principale di successione notificato agli eredi di M.C.L., deceduto il (OMISSIS).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto infondata la pretesa dell’amministrazione finanziaria di inserire nella base imponibile della successione anche il valore delle donazioni immobiliari eseguite in vita dal de cujus, posto che il coacervo di relictum e donatum, già previsto dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4, doveva ritenersi implicitamente abrogato dalla L. n. 342 del 202000 che aveva modificato la disciplina della precedente imposta di successione mediante eliminazione delle aliquote progressive, ed introduzione di un’aliquota unica con franchigia.

Resistono con controricorso gli eredi M.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 4 in combinato disposto con l’art. 11 preleggi, L. n. 212 del 2000, art. 3 L. n. 286 del 2006, art. 2 e segg. e L. n. 342 del 2000, art. 69 e segg.. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente affermato l’abrogazione implicita del regime del coacervo di relictum e donatum ex art.8 cit., nonostante la irretroattività della norma fiscale abrogativa, ed il fatto che la disciplina abrogatrice poi formalmente intervenuta con la L. n. 286 del 2006 non fosse qui applicabile, in quanto successiva tanto all’apertura della successione ((OMISSIS)) quanto alla stessa notificazione dell’avviso di liquidazione (31 dicembre 2004).

Con il secondo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (ultrapetizione). Per avere la commissione tributaria regionale rigettato l’appello sull’assunto dell’avvenuta abrogazione, da parte della L. n. 286 del 2006, dell’istituto del coacervo di cui alla D.Lgs. n. 346 del 1990; nonostante che questo profilo non fosse stato dedotto dai contribuenti, i quali si erano limitati ad eccepirne l’inapplicabilità in forza di una disposizione diversa, costituita L. n. 342 del 2000, art. 69, comma 1, lett. c).

Con il terzo motivo dì ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso del giudizio; per non avere il giudice di appello congruamente motivato sul criterio di determinazione dell’imposta adottato dall’avviso di liquidazione impugnato; segnatamente sotto il profilo della mancanza, nella specie, di duplicazione d’imposta tra successione e donazione.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c.; per non avere la commissione tributaria regionale statuito alcunchè sul motivo di appello concernente la nullità della sentenza di primo grado per carenza di motivazione.

Con il quinto motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto il profilo dell’omessa pronuncia sul motivo di appello in punto asserita violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 posto che l’atto impositivo era comprensivo di un chiaro prospetto di liquidazione e di un modello di versamento; risultando pertanto idoneo al raggiungimento dello scopo.

p. 2. Il secondo, quarto e quinto motivo di ricorso – suscettibili di trattazione preliminare, in quanto involgenti un’asserita causa di nullità della sentenza per violazione di ordine procedurale – sono infondati.

In primo luogo va considerato che, contrariamente a quanto ritenuto dall’agenzia delle entrate (secondo motivo), la statuizione di appello non si è basata su “provvedimenti più ampi di quelli richiesti o con effetti pìù ampi rispetto a quelli prospettati nella domanda”; nè ha arbitrariamente posto a fondamento della decisione la considerazione di “fatti” non dedotti dalle parti. Al contrario, la commissione tributaria regionale si è mantenuta entro i limiti tanto del petitum (annullamento dell’avviso di liquidazione nella parte in cui determinava la base imponibile mediante coacervo degli immobili donati in vita dal de cujus), quanto della causa petendi (intervenuto superamento normativo di tale coacervo, come già previsto dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4^). Su tale premessa, l’infondatezza della censura sul punto deriva dal fatto che la decisione in esame è dipesa da una determinata ricostruzione del dato normativo, nella successione delle leggi nel tempo; con la conseguenza che non di superamento dei limiti della domanda si è trattato, e nemmeno di immutazione ufficiosa dei termini fattuali della controversia, quanto di mera ricostruzione giuridica della fattispecie; di per sè avulsa dal potere dispositivo delle parti, ed invece demandata all’esercizio di un potere-dovere giudiziale.

In secondo luogo, non si ritiene che la commissione tributaria regionale sia incorsa in omessa pronuncia con riguardo ai motivi dì appello involgenti la nullità della sentenza di primo grado o dell’atto impositivo (quarto motivo di ricorso). Sulla base della motivazione resa in appello, va infatti considerato che non di omessa pronuncia si è trattato, bensì di rigetto implicito di tale motivo di gravame. La commissione tributaria regionale ha infatti ritenuto di recepire il decisum del primo giudice; ma ciò non all’esito di un pedissequo ed acritico recepimento del ragionamento già fatto proprio dalla commissione tributaria provinciale (la quale, del resto, aveva accolto il ricorso per una ragione differente, costituita dal difetto di chiarezza ed intelligibilità dell’atto impositivo), bensì sulla base di un’autonoma rielaborazione del problema alla luce di una determinata ricostruzione giuridica ed interpretativa della fattispecie (resa appunto peculiare, come detto, dal succedersi di interventi legislativi di riforma). In definitiva, l’adozione da parte della commissione tributaria regionale di una ratio decidendi diversa, e ben più articolata di quella fatta propria dal giudice di primo grado, ha determinato il superamento del tenore motivazionale della commissione tributaria provinciale (e dei suoi eventuali vizi), con la formazione di una pronuncia che, ferma restando l’identità di decisione, si è retta su una motivazione di natura tipicamente sostitutiva.

In terzo luogo, la circostanza che la commissione tributaria regionale sia entrata nel merito della pretesa impositiva, implica l’implicita valutazione di validità formale e motivazionale dell’atto impositivo in quanto tale; con superamento della censura (quinto motivo di ricorso) sul punto.

p. 3. Infondati sono anche il primo ed il terzo motivo di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria in quanto entrambi incentrati – sotto il profilo vuoi della violazione normativa, vuoi della carenza motivazionale del giudice di appello – sul superamento dell’istituto del coacervo di relictum e donatum ex art. 8, comma 4 cit..

La decisione della commissione tributaria regionale non merita censura sotto nessuno dei profili dedotti.

E’ vero che, nella formulazione in vigore al momento dell’apertura della successione in oggetto, D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4 prevedeva espressamente tale istituto: “Il valore globale netto dell’asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari (…); il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli legati è maggiorato, agli stessi fini, di un importo pari al valore attuale delle donazioni fatte a ciascun erede o legatario. (…)”.

Questa previsione doveva però, già all’epoca, ritenersi superata, e svuotata di ogni contenuto e residua sfera di possibile applicabilità, in ragione del fatto che il cumulo delle donazioni era espressamente limitato “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7”; vale a dire, delle aliquote progressive di cui alla tariffa allegata al D.Lgs. n. 346 del 1990. Il sistema impositivo mediante aliquote progressive era tuttavia già venuto meno, prima dell’apertura della successione in oggetto, in forza della L. n. 342 del 2000, art. 69, comma 1, lett. c) (recante aliquote fisse in ragione del grado di parentela).

Non mancano plurimi e convergenti precedenti giurisprudenziali di legittimità (Cass. nn. 29739/08; 5972/07; 8489/97) secondo cui la previsione di cui al citato D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 8, comma 4, – prescrivente il coacervo (o cumulo) del donatum con il relictum – non era finalizzato a ricomprendere nella base imponibile anche il donatum (oggetto di autonoma imposizione), ma unicamente a stabilire una forma di riunione fittizia nella massa ereditaria dei beni donati, ai soli fini della determinazione dell’aliquota da applicare per calcolare l’imposta sui beni relitti. Il sistema della ‘riunione fittizià, in altri termini, operava in funzione antielusiva, così da evitare che il compendio ereditario venisse sottratto all’imposizione progressiva mediante preordinate donazioni in vita.

Ora, fermo restando che – come poc’anzi evidenziato – il cumulo non sortiva effetto impositivo del donatum, ma soltanto effetto determinativo dell’aliquota progressiva, si ritiene logica e coerente conseguenza che, eliminata quest’ultima in favore di un sistema ad aliquota fissa sul valore non dell’asse globale ma della quota di eredità o del legato, non vi fosse più spazio per dar luogo al coacervo. Nè, una volta differenziate le aliquote di legge sulla base del criterio primario non dell’ammontare crescente del compendio ereditario ma del rapporto di parentela, poteva residuare alcuna ratio antielusiva.

Deve dunque ritenersi che, anche prima della formale abrogazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 7 (comma 12 quater) e ss.mm. da parte della L. n. 1.286 del 2006, art. 2, comma 50 il disposto dell’art. 8, comma 4 in esame trovasse – a seguito ed in forza della menzionata modificazione, da parte della L. n. 342 del 2000, della norma di riferimento sostanziale di cui all’art. 7 medesimo – insuperabile limite di compatibilità.

Non è pertanto qui in discussione il principio generale di irretroattività della norma impositiva quanto – se mai – quello di abrogazione implicita per incompatibilità applicativa di una disposizione per effetto della formale modificazione del regime impositivo di riferimento contenuto in un’altra disposizione; modificazione a seguito della quale la prima disposizione non ha più ragione, nè modo, di operare.

E lo stesso criterio di imposizione adottato nell’avviso di liquidazione qui opposto (ricostruito in controricorso, pagg. 1.0 e 11) denota la forzatura indotta da una diversa interpretazione di legge; posto che, con esso, il cumulo del donato ha costituito direttamente ed immediatamente la base imponibile della successione (sebbene con la nuova aliquota fissa del 4%) non potendo più costituire, come sarebbe dovuto accadere in applicazione della lettera e della ratio del combinato disposto degli artt. 7 ed 8 cit. prima vigente, mero criterio contabile funzionale esclusivamente alla individuazione della aliquota progressiva incidente sul solo relitto.

Ne segue il rigetto del ricorso, con compensazione delle spese di lite stante la novità della specifica questione interpretativa.

PQM

LA CORTE

– rigetta il ricorso;

– compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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