Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2494 del 27/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 27/01/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 27/01/2022), n.2494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. FEDELE Ileana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso,

unitamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Antonietta Coretti, Lelio

Maritato, Antonino Sgroi, Carla D’Aloisio, Emanuele De Rose, con

domicilio eletto in Roma, via Cesare Beccaria n. 29, presso

l’Avvocatura centrale dell’Istituto;

– ricorrente –

contro

N.A., rappresentato e difeso dall’avv. Nicola Carratelli,

con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giorgio Gaudio, sito

in Roma, piazza Prati degli Strozzi n. 22;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 228/2020 della Corte di appello di Catanzaro

depositata il 3 marzo 2020.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14 dicembre 2021 dal Consigliere Ileana Fedele.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di appello di Catanzaro ha respinto l’appello proposto dall’I.N.P.S. avverso la pronuncia del Tribunale di Cosenza, che aveva dichiarato prescritti i contributi dovuti dall’avv. N.A. a seguito dell’iscrizione alla Gestione separata di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, per l’attività professionale svolta nell’anno 2010, per essere decorso il termine di prescrizione fra la data di scadenza del versamento (individuata nel 16 giugno 2011) e la data di notifica del primo atto interruttivo (1 luglio 2016);

2. per quanto qui rileva, la Corte territoriale, a fronte dell’impugnazione dell’Istituto previdenziale, che aveva, fra l’altro, osservato come la decorrenza della prescrizione dovesse computarsi tenendo conto del differimento disposto con il D.P.C.M. 12 maggio 2011, ai sensi del quale il termine per il versamento dei contributi andava individuato nel 6 luglio 2011, ha confermato la sentenza appellata per una diversa ragione, ritenendo che, sebbene non potesse dubitarsi in linea generale dell’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata per coloro che esercitano abitualmente la professione di avvocato e che non sono tenuti a iscriversi presso la Cassa Nazionale Forense, il fatto che il professionista avesse percepito redditi di importo inferiore a Euro 5.000,00 rappresentasse un indizio della natura occasionale dell’attività svolta, rispetto al quale l’Istituto non aveva dato prova alcuna a supporto della sua natura abituale;

3. avverso tale pronuncia l’I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo di censura;

4. l’avv. N.A. ha resistito con controricorso;

5. è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo di ricorso l’I.N.P.S. deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 26-31, del D.L. n. 98 del 2011, art. 18, commi 11 e 12, conv. con modif. in L. n. 111 del 2011, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53, modificato dal D.Lgs. n. 344 del 2003, della L. n. 576 del 1980, artt. 10,11 e 22, del D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, conv. con modif. in L. n. 326 del 2003, e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 3, anche con riferimento all’art. 2697 c.c., per avere la Corte di appello, in ipotesi di avvocato iscritto all’albo degli avvocati ma non alla Cassa Nazionale Forense in periodi antecedenti alla L. n. 247 del 2012, – dichiarato non sussistente l’obbligo di contribuzione alla Gestione separata, sul presupposto che in difetto del superamento del limite di reddito, pari a Euro 5.000,00, l’attività svolta debba essere qualificata come occasionale;

2. il motivo è infondato per le medesime ragioni evidenziate con le ordinanze Cass. Sez. L. 15/03/2021, n. 7231, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-L. 14/10/2021, n. 28117, pronunciate in fattispecie analoghe a quella oggetto di causa, ed alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c.;

3. in particolare, come già osservato da Cass. Sez. L. n. 7231 del 2021, cit., nell’intento del legislatore, reso palese dalla lettura del combinato disposto della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, per come autenticamente interpretato dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 12, conv. con modif. in L. 15 luglio 2011, n. 111, e del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 44, conv. con modif. in L. 24 novembre 2003, n. 326, l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento. La produzione di un reddito superiore alla soglia di Euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità. Ne consegue che è dirimente il modo in cui è svolta l’attività libero-professionale, se in forma abituale o meno, con accertamento in punto di fatto, all’uopo avvalendosi delle presunzioni semplici ricavabili, ad esempio, dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, mentre la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a Euro 5.000,00 può semmai rilevare quale indizio – da ponderare adeguatamente con gli altri che siano stati acquisiti al processo – per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con carattere di a bitualità;

4. in quest’ottica, come pure già ritenuto nei precedenti citati di questa Corte, deve escludersi – come invece assunto dall’Istituto ricorrente – che tali regole di esperienza siano passibili di irrigidirsi in virtù della normazione positiva dettata dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, artt. 61 e 69-bis, (nella specie applicabili ratione temporis), così da trapassare nel campo della presunzione legale;

infatti, sia il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 3, nella parte in cui prevede che “sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali”, quanto il successivo art. 69-bis, comma 3, che esclude dalla presunzione di continuatività di cui al precedente comma 1 le “prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale”, sono preordinati a dettare discipline di favore per i committenti e i prestatori di attività riconducibili ad una professione intellettuale per il cui esercizio sia necessaria l’iscrizione ad apposito albo professionale, stabilendo rispettivamente che esse non necessitano dell’individuazione di uno specifico progetto per essere dedotte in un contratto di collaborazione e che, ai fini fiscali, non possono presumersi continuative; si tratta, in altri termini, di disposizioni che operano l’una nell’ambito dei rapporti tra le parti contraenti e l’altra nei confronti dell’Erario, ma dalle quali non è possibile desumere alcuna presunzione iuris et de iure tale per cui un’attività libero-professionale che possa essere svolta solo previa iscrizione ad un albo o elenco debba necessariamente qualificarsi come “abituale” ai fini dell’iscrizione alla Gestione separata;

5. in definitiva, il requisito dell’abitualità deve costituire oggetto di accertamento di fatto del giudice del merito, con esclusione di qualsivoglia automatismo;

6. nella specie, la Corte territoriale, in difetto di prova – di cui era onerato l’I.N.P.S. – di abitualità dell’attività, ha accertato che l’attività svolta dalla professionista era occasionale e produttiva di reddito modesto, inferiore al limite (Euro 3.844,00);

7. tale motivazione non risulta adeguatamente contraddetta dall’Istituto ricorrente, considerato che la mera deduzione dell’iscrizione all’albo o la titolarità di partita IVA non sono elementi sufficienti a dimostrare l’abitualità dell’esercizio dell’attività professionale, trattandosi per converso – come accertato dal giudice di merito – di modesta attività non esorbitante dall’occasionalità, infondate ed irrilevanti, per quanto sopra osservato, le ulteriori argomentazioni sviluppate in diritto;

8. alla soccombenza segue la condanna dell’Istituto ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario;

9. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna l’Istituto ricorrente alla refusione delle spese processuali, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Nicola Carratelli, dichiaratosi antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022

 

 

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