Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24939 del 25/11/2011
Cassazione civile sez. trib., 25/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 25/11/2011), n.24939
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
A.E., rappresentato e difeso dall’avv. Caianiello Sergio
ed elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. Bultrini Nicola in
via Germanico n. 107;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro
tempore, e AGENZIA DELIE ENTRATE, in persona del Direttore pro
tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato,
presso la quale sono domiciliati in Roma in via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Campania n. 320/5/05, depositata il 18 novembre 2005.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13
ottobre 2011 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
udito l’avv. Caianiello Sergio per il ricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’inanmissibilità, ed in
subordine il rigetto, del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A.E. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 320/5/05, depositata il 18 novembre 2005, che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Avellino, gli ha negato il diritto al rimborso della ritenuta operata, a titolo di IRPEF, dal datore di lavoro Isveimer spa sulla somma corrispostagli a seguito della liquidazione del fondo di previdenza per il personale dell’ente.
Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate resistono con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il contribuente si duole che la sentenza abbia rigettato, senza motivare sufficientemente, l’eccezione, formulata nelle controdeduzioni, di inammissibilità dell’appello dell’amministrazione per mancanza di specificità dei motivi e per contraddittorietà.
Il motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione con motivazione adeguata e puntuale.
Con il secondo motivo critica la sentenza, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, per aver escluso la natura risarcitoria delle somme in oggetto.
Con il terzo e con il quarto motivo assume l’impossibilità di inquadrare la fattispecie come reddito da lavoro dipendente, sostenendone il carattere del tutto atipico.
Con il quinto motivo deduce che il capitale corrisposto rientrerebbe nelle previsioni dei contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42, comma 4, t.u.i.r., e costituirebbe reddito per la parte corrispondente alla differenza fra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati, per cui l’imponibile sarebbe costituito dalla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei contributi versati, ridotto del 2% per ogni anno successivo al decimo, a titolo d’imposta del 12,50%.
In ordine ai motivi dal secondo al quinto, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, si osserva che questa Corte ha già più volte affermato, con riguardo a identiche fattispecie, il principio secondo il quale “le quote del Fondo di previdenza aziendale dell’Isveimer corrisposte agli iscritti, ai sensi del D.L. 24 settembre 1996, n. 497, art. 4, convertito in L. 19 novembre 1996, n. 588, a seguito della messa in liquidazione del predetto ente, non sono assimilabili a prestazioni corrisposte in dipendenza di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, e non sono quindi qualificabili, neppure in via analogica, come redditi di capitale; esse non hanno nemmeno natura risarcitoria, non essendo volte a compensare gli aventi diritto del sacrificio loro imposto o della perdita del trattamento integrativo (il cui ristoro, peraltro, sarebbe risultato comunque assoggettabile a tassazione, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2), ma ad estinguere immediatamente i loro crediti a costi ridotti; esse, in quanto destinate, secondo le intenzioni, ad essere corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro, trovano in quest’ultimo la loro fonte giustificatrice, ed essendo volte a compensare la perdita di redditi futuri hanno natura di retribuzione differita e funzione previdenziale, tale da giustificare l’applicazione in via analogica del regime fiscale previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16, 18 e 48 per il trattamento di fine rapporto e le altre indennità ad esso equiparabili” (Cass. n. 8200 del 2007, n. 13274 del 2005, n. 4425 del 2010).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Si ravvisano giusti motivi per dichiarare compensate fra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011