Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24939 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. I, 07/10/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 07/10/2019), n.24939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15964/2015 proposto da:

Hotel Lago di Braies di H.C. & C. s.a.s., in persona

del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Roma,

Via Luigi Capuana n. 207, presso lo studio dell’avvocato Bacci

Mario, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Moccia

Flavio, con procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

H.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Tre Orologi

n. 10/e, presso lo studio dell’avvocato Ranieri Massimo, che lo

rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Pavan Giuliano, con

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 172/2014 della CORTE D’APPELLO di TRENTO –

SEZIONE DISTACCATA di BOLZANO, pubblicata il 27/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/06/2019 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Bolzano, con ordinanza cautelare del 2 aprile 2004, sospese l’efficacia della delibera assembleare adotta dalla Hotel Lago di Braies s.a.s., che aveva escluso da tale società il socio H.B.. Con successiva ordinanza del 31 maggio 2003, lo stesso Tribunale, rilevata l’omessa istanza di fissazione dell’udienza collegiale, dichiarò l’estinzione del giudizio, facendo salva la misura cautelare, poichè avente carattere anticipatorio.

Con sentenza n. 450/2012, il Tribunale di Bolzano disattese l’istanza ex art. 669 novies c.p.c., proposta dalla Hotel Lago di Braies s.a.s., confermando la perdurante efficacia – all’estinzione del giudizio dell’ordinanza cautelare. Con sentenza del 27.12.14, la Corte d’appello di Trento – sez. distaccata di Bolzano – respinse l’appello, osservando che: l’eccezione di giudicato sulla questione in esame era infondata poichè l’ordinanza del 31.5.14 della stessa Corte d’appello riguardò l’estinzione del procedimento di merito in relazione alla quale non era vincolante la valutazione sull’efficacia dell’emessa misura cautelare, da intendere come obiter dictum; l’appello era infondato in quanto l’ordinanza cautelare sopravviveva all’estinzione del giudizio di merito nell’ambito del quale fu emessa, in quanto presentava un contenuto anticipatorio degli effetti della sentenza che definisce il giudizio, sicchè tale ordinanza cautelare aveva prodotto la cessazione degli effetti della deliberazione senza caducarla.

La Hotel Lago di Braies s.a.s ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Resiste H.B. con controricorso illustrato con memoria.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza impugnata per illegittima composizione del collegio giudicante, in violazione dell’art. 111 Cost., in quanto tale collegio era stato formato, sia in primo grado, sia nella decisione d’appello, dal medesimo giudice relatore.

Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 24, comma 3, (oggi art. 669 octies c.p.c., commi 6 e 8), in quanto la misura cautelare in questione aveva un effetto prevalentemente conservativo e un effetto solo secondario anticipatorio, apparendo anche illogico un provvedimento cautelare che anticipi gli effetti di una sentenza costitutiva, quale quella di annullamento della deliberazione societaria.

Il primo motivo è infondato.

Anche a seguito della modifica dell’art. 111 Cost., introdotta dalla Legge Costituzionale n. 2 del 1999, in difetto di ricusazione la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice che abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo (art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4) non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacchè la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l’imparzialità e terzietà del giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione.

Nè detti istituti, cui si aggiunge quello dell’impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale, sotto l’ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell’imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost. (Cass. 1489//2008; Cass. 26976/2011; Cass. 21094/2017). Anche da ultimo si è ribadito che, in tema d’imparzialità del giudice, le norme interne che attengono all’astensione e alla ricusazione (artt. 51 e 52 c.p.c.) non contrastano nè con l’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo nè con l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea nè con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ma, al contrario, in virtù del novellato art. 111 Cost., comma 1, ad esse è stato impresso un rafforzamento costituzionale, in connessione con l’espansione internazionale del diritto di difesa. Ne consegue la piena compatibilità delle predette norme con la tutela a livello Europeo del diritto fondamentale ad un processo equo (Cass. 2270/2019).

Tale principi non trovano deroga in relazione alla deduzione di tardiva conoscenza della composizione del collegio giudicante, tenuto conto che le parti sono in grado di avere tempestiva contezza di tale composizione dal ruolo di udienza e dall’intestazione del verbale di causa ad opera del cancelliere e, quindi, di proporre rituale istanza di ricusazione” (Cass., n. 26976/11; n. 2399/16). Invero, nel caso concreto, non è stata presentata l’istanza di ricusazione.

Il secondo motivo è fondato.

Il provvedimento cautelare della sospensione della Delib. di esclusione del socio è stato adottato, nella specie, nella vigenza del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 23. Il provvedimento di sospensione, trattandosi di società di persone (s.a.s.) è, peraltro, ancorabile all’art. 2287, applicabile alla s.a.s. in virtù del combinato disposto degli artt. 2293 e 2315 c.c. (norma analoga è contenuta nell’art. 2378 c.c., per le società di capitali).

Orbene, è evidente che nè il Tribunale nè la Corte d’appello – che, invece, fa espresso riferimento a tale norma, per cui la motivazione sul punto è errata – avrebbero potuto applicare il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 23, comma 4, laddove prevede che l’estinzione del processo non determina l’inefficacia del provvedimento cautelare emesso, essendo stata tale disposizione abrogata con effetto 4 luglio 2009, ossia ben prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado sull’istanza ex art. 669 novies, da parte della Hotel Lago di Braies, avvenuta il 24 settembre 2010. Deve, pertanto, trovare applicazione, nella specie, il combinato disposto dell’art. 669 octies c.p.c., commi 6 ed 8, e art. 669 novies c.p.c., comma 1, a tenore dei quali l’estinzione del giudizio di merito che, in via di principio determina l’inefficacia del provvedimento cautelare, ex art. 669 novies, comma 1 – non comporta l’inefficacia, tra l’altro, dei “provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito” (art. 669 octies, commi 6 ed 8).

La questione s’incentra, pertanto, sulla configurazione del provvedimento di sospensione della Delib. assembleare, ossia se il medesimo abbia, o meno, efficacia anticipatoria degli effetti della futura sentenza di annullamento della Delib. di esclusione.

Con la riforma delle norme in tema di provvedimenti cautelari, come efficacemente rilevato in dottrina, è evidentemente divenuta cruciale la distinzione, sinora esclusivamente dogmatica, tra misure cautelari di carattere anticipatorio e di carattere conservativo.

Da un lato, come recita l’art. 669 octies c.p.c., nuovo comma 6 vi sono i provvedimenti ex art. 700 c.p.c. e gli altri provvedimenti cautelari a contenuto anticipatorio previsti dal codice civile o da leggi speciali.

Dall’altro lato, invece, si registrano i rimanenti provvedimenti cautelari, vale a dire i provvedimenti cautelari conservativi ed in particolare i sequestri.

I primi, caratterizzati dal far operare in via provvisoria e anticipata quegli effetti dell’emananda decisione di merito che tardando risulterebbero inefficaci o inattuabili, potranno avere una loro autonoma stabilità.

I secondi, caratterizzati dall’intento di conservare integro uno stato di fatto in attesa ed allo scopo che su di esso il provvedimento principale possa in futuro esercitare i suoi effetti, postulano invece necessariamente che si intraprenda il giudizio di merito.

Orbene, premessa la nota controvertibilità della questione, va osservato che il riferimento alla natura costitutiva della sentenza di annullamento della Delib. di esclusione del socio costituisce sul piano dogmatico un parametro ontologico, da cui muovere ogni argomentazione al riguardo.

E’ del tutto pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che l’annullamento della deliberazione di esclusione di un socio in esito ad opposizione proposta a norma dell’art. 2287 c.c., comma 2, opera – in quanto ha natura costitutiva – ex tunc, ossia ricostituisce dalla pronuncia lo status di socio, ma con effetto retroattivo quanto alle conseguenze, in quanto comporta la reintegrazione del socio stesso nella sua posizione anteriore e nella pienezza dei diritti da essa derivati (Cass. 6829/2014; Cass. 16150/2000).

Orbene, la sentenza costitutiva non è suscettibile di produrre effetto prima del passaggio in giudicato (Cass. 17311/2016; Cass. 10605/2016).

Muovendo da tale premessa, l’opinione dominante afferma che la tutela cautelare può essere utilizzata anche con strumentale preordinazione ai processi di mero accertamento e di accertamento costitutivo, ossia in settori dai quali l’esecuzione forzata è esclusa per definizione, ove però la misura di salvaguardia riguardi i capi della sentenza pronunciati su domande di condanna accessorie al mero accertamento o all’accertamento costitutivo, non rivestendo la sentenza di mero accertamento o d’accertamento costitutivo il carattere di titoli esecutivi.

In particolare, secondo autorevole dottrina, la tutela cautelare potrà considerarsi anticipatoria ai fini dell’art. 669 octies c.p.c. quando assicuri un risultato pratico analogo a quello della pronuncia finale; nella prospettiva dell’anticipazione del risultato pratico della domanda, si ritiene che i provvedimenti che sospendano l’esecuzione di delibere assunte (tutti inerenti a giudizi suscettibili di decisione con sentenze costitutive) a seconda delle varie ipotesi, dall’assemblea di una associazione (art. 23 c.c., comma 3), dai partecipanti ad una comunione (art. 1109 c.c., comma 2), dall’assemblea di un condominio (art. 1137 c.c., comma 2), dai componenti di una società di persone che intendano escludere un socio (art. 2287 c.c., comma 2, che viene in rilievo nella fattispecie) presentino carattere anticipatorio.

Secondo tale orientamento, considerato infatti che il provvedimento di sospensione dell’efficacia dell’atto realizza, di norma, gli effetti pratici, lo scopo a cui è volto l’annullamento o la declaratoria di nullità, non sembrerebbe dubbio che alla sospensiva debba riconoscersi, ai nostri fini, natura anticipatoria e che quindi goda del regime di stabilità di cui al nuovo art. 669 octies c.p.c.

Nell’ambito del medesimo orientamento, altra dottrina aderisce all’impostazione secondo cui è anticipatorio quel provvedimento cautelare che prevede, a carico della controparte, quegli stessi doveri di fare o di astenersi che ad essa saranno imposti dalla sentenza di merito.

Sul differente presupposto della non condivisibilità di una impostazione che faccia riferimento al risultato “pratico” conseguito dalla misura cautelare, al contrario, diversa dottrina argomenta che, pur essendo indubbia l’idoneità della misura sospensiva ad “appagare” i condomini o i soci impugnanti, la sospensione degli effetti di una deliberazione condominiale o assembleare non può qualificarsi anticipatoria, essendo semplicemente preordinata ad evitare che l’esecuzione dell’atto impugnato determini modificazioni di fatto o diritto non più compiutamente eliminabili o rimediabili ex post. Argomentando da tali premesse sistematiche, una parte della dottrina ha ritenuto che la sospensione della Delib. assembleare è un provvedimento che non può anticipare gli effetti tipici della decisione di merito, atteso che questa è una sentenza costitutiva di annullamento ex art. 2908 c.c. Nella medesima prospettiva, si pone quella decisione secondo cui l’anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti discendenti da statuizioni condannatorie contenute in sentenze costitutive, non è consentita, essendo necessario il passaggio in giudicato, soltanto nei casi in cui la statuizione condannatoria è legata all’effetto costitutivo da un vero e proprio nesso sinallagmatico (come nel caso di condanna al pagamento del prezzo della compravendita nella sentenza costitutiva del contratto definitivo non concluso); è invece consentita quando la statuizione condannatoria è meramente dipendente dall’effetto costitutivo, essendo detta anticipazione compatibile con la produzione dell’effetto costitutivo nel momento temporale successivo del passaggio in giudicato (Cass. 28508/2018).

In altri termini, quello che si può anticipare – in via di provvisoria esecuzione della sentenza esecutiva di condanna, o in via di tutela cautelare anticipatoria – sono solo gli effetti meramente dipendenti dall’effetto costituivo, ossia in qualche modo autonomi rispetto allo stesso, non gli effetti che sono diretta conseguenza dell’effetto costitutivo.

Pertanto, relativamente alle sentenze costitutive, è possibile affermare che il bisogno di tutela urgente riguarda non tanto la salvaguardia o l’anticipazione del provvedimento costitutivo in sè e per sè considerato, bensì l’adozione di una cautela con riferimento alla statuizione consequenziale alla pronuncia costitutiva.

La tutela cautelare dei diritti fatti valere in un giudizio di condanna o di accertamento costitutivo si può concretare in una misura di salvaguardia dell’effetto esecutivo che ne può derivare, volto a rendere possibile la soggezione del debitore alla sanzione esecutiva. Tale tutela cautelare non può, dunque, generare l’effetto dichiarativo o la costituzione giudiziale di un diritto – effetto che certamente può derivare solo dalla sentenza – ma essa può risolversi tuttavia nell’autorizzazione giudiziale a compiere atti di salvaguardia del diritto costituendo, che possono derivare da condanne accessorie alla statuizione di mero accertamento, o a quella costitutiva d’un determinato effetto giuridico.

Ebbene, il soggetto che agisce in via cautelare è certamente titolare di una situazione giuridica soggettiva a contenuto processuale che gli dà il diritto di perseguire la modificazione giuridica a cui aspira sul piano sostanziale, che dovrebbe avere – quale corollario – quello di conseguire in via d’urgenza non tanto l’effetto costitutivo, ma piuttosto la futura esecuzione della pronuncia accessoria.

Al riguardo, tale interpretazione sistematica della normativa che disciplina le misure cautelari si raccorda al dato positivo che l’ordinamento consente iniziative di carattere conservativo per i diritti sottoposti a condizione e che la statuizione di natura costitutiva si profila come situazione assimilabile a quella disciplinata dall’art. 1356 c.c., almeno sul piano descrittivo.

Dovendosi dunque accedere ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, ex art. 24 Cost., nella medesima ratio, la dottrina afferma anche l’ammissibilità del provvedimento ex art. 700 c.p.c. relativamente alle statuizioni accessorie ad una pronuncia costitutiva. Nel caso di specie, il collegio osserva che la sospensione della Delib. di esclusione, se considerata avente come natura anticipatoria, anticiperebbe proprio l’effetto inscindibilmente collegato con la pronuncia costitutiva di annullamento, consistente nel ripristino della posizione di socio, che resterebbe definitiva in caso di mancata instaurazione del giudizio di merito o di sua estinzione, laddove tale effetto può essere prodotto solo ed esclusivamente dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva di annullamento della Delib. di esclusione.

Per contro, è da ritenere che esigenze sistematiche, connesse al nesso di strumentalità che caratterizza tutti i provvedimenti cautelari, anche quelli anticipatori – sia pure in maniera attenuata -, postulino che alla sospensione della Delib. sia da ascrivere la finalità di evitare che la durata del giudizio possa incidere irreversibilmente sulla posizione del socio, qualora venga confermato tale (natura conservativa), consentendo un ripristino provvisorio del rapporto societario, evitando che la posizione di socio venga ad essere definitivamente compromessa, non solo non percependo gli utili, ma anche e soprattutto non potendo influire – cosa ancora più evidente quando si tratti, come nel caso concreto, di società di persone – sull’amministrazione e gestione della società.

Invero, adottando l’interpretazione estensiva che riconosce natura anticipatoria ai provvedimenti che attribuiscano subito anche solo il risultato pratico del provvedimento, la strumentalità attenuata finisce per diventare la regola, valevole per la maggior parte dei provvedimenti cautelari, previsti dal codice di procedura civile, dal codice civile e dalle leggi speciali, mentre la strumentalità piena, propria dei provvedimenti conservativi, si ridurrebbe ad una eccezione, caratterizzando sostanzialmente solo le misure cautelari riconducibili allo schema del sequestro.

Ma tale interpretazione, nella sua assolutezza ricostruttiva, non appare armonizzarsi con i principi sistematici afferenti alla natura costitutiva delle sentenze inerenti ai giudizi in cui sono emessi, come nel caso concreto, provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere societarie di esclusione del socio di società di persone.

Ora, ne consegue che l’estinzione del giudizio non può determinare la produzione in via definitiva dell’effetto costitutivo dipendente dal giudicato; ciò in quanto il provvedimento cautelare sospensivo dell’efficacia della Delib. di esclusione del socio di s.a.s. non può avere contenuto anticipatorio della sentenza costitutiva – che, sola, accerta i presupposti legittimanti l’esclusione del socio dalla compagine societaria, producendo, in caso d’accoglimento, la produzione dell’effetto modificativo dell’assetto societario- poichè esplica un’efficacia interinale ontologicamente coincidente al contenuto della sentenza e non riveste, dunque, i caratteri di una pronuncia accessoria diretta a salvaguardare gli effetti esecutivi discendenti dalla (emananda) medesima sentenza costitutiva.

In altri termini, il collegio ritiene che la natura costitutiva della sentenza impedisca un’anticipazione degli effetti suscettibile di divenire definitiva, per effetto dell’art. 669 octies c.p.c., dei commi 6 e 8.

Per quanto esposto, in accoglimento del secondo motivo del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, respinto il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano – in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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