Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24937 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. I, 07/10/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 07/10/2019), n.24937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Edoardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10358/2018 proposto da:

T.G., difeso e rappresentato, giusta procura in calce al

ricorso dall’avv. Maria Pia Rizzo;

– ricorrente –

contro

F.S., elettivamente domiciliata in Roma Lungotevere

Flaminio, 44 presso lo studio dell’avvocato Lettieri Marta che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cecchin Simone;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il

08/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/05/2019 da Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato in data 8 gennaio 2018 la Corte d’Appello di Venezia, in parziale accoglimento del reclamo proposto da T.G. ed in parziale riforma del decreto del Tribunale di Rovigo del (OMISSIS), ha ridotto ad Euro 500,00 il contributo mensile dovuto dal reclamante per il mantenimento del figlio minore G., confermando le statuizioni del giudice di primo grado concernenti l’iscrizione del bambino a scuola e l’esercizio del diritto di visita.

La Corte d’Appello ha, in primo luogo, condiviso l’impostazione del giudice di primo grado in ordine al trasferimento scolastico del minore dalla scuola elementare sita in (OMISSIS), luogo di residenza del padre, a quella di (OMISSIS), luogo di residenza della madre presso la quale G. è stato collocato.

La Corte d’Appello ha, inoltre, rigettato l’istanza del padre di ampliamento del diritto di visita sul rilievo che il regime dallo stesso proposto (due pernottamenti infrasettimanali nelle settimane in cui non gli compete il week end e due pomeriggi, uno con pernotto ed uno fino alle 21 nelle settimane in cui gli compete il week end, oltre a tutti i pomeriggi fino alle 16) sarebbe estremamente articolato e frammentario, disfunzionale rispetto alla esigenze di stabilità e serenità che devono connotare la quotidianità del minore.

Avverso questo decreto ha proposto ricorso per cassazione T.G. affidandolo a sei motivi.

F.S. si è costituita in giudizio con controricorso, depositando altresì la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo T.G. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 in relazione all’art. 111 Cost., commi 1 e 2, per avere la Corte d’Appello completamente omesso di valutare le severe critiche alla CTU, con conseguente violazione del principio del contraddittorio.

In particolare, lamenta il ricorrente che il decreto impugnato non contiene alcun cenno in ordine alle censure dallo stesso formulate sulla parzialità dimostrata dalla CTU sia nel primo grado sia come autonomo motivo di impugnazione in grado d’appello, ove si denunciava l’omessa motivazione sulle contrarie e specifiche deduzioni sulle lacune, pregiudizi, gravi carenze metodologiche dell’elaborato peritale.

2. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che l’onere di specifica indicazione dei motivi non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello ragionamento applicabile anche ai motivi di reclamo – atteso che una tale modalità di formulazione del motivo rende impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione. (Sez. 6 – 5, n. 1479 del 22/01/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente ha richiamato pedissequamente i rilievi mossi con l’atto di reclamo senza specificare, neppure per sommi tratti, il contenuto delle critica formulata al decreto impugnato, se non formulando censure generiche in ordine alle lacune, ai pregiudizi ed alle gravi carenze metodologiche dell’elaborato peritali che avrebbero potuto essere svolte in un qualsiasi procedimento, impedendo così di cogliere la portata delle doglianze.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 rispettivamente per difetto di motivazione e violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 111 Cost. e art. 118 disp. att. c.p.c. nonchè per omessa valutazione di prove decisive.

Lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello non ha valutato le prove decisive costituite dalle deposizioni, quali informatrici, delle maestre della scuola elementare di (OMISSIS), il cui contenuto è stato distorto dalla CTU, ed entrambi i giudici di merito, nonostante le tempestive censure svolte sul punto dalla difesa del ricorrente, hanno omesso ogni motivazione.

4. Il motivo è inammissibile per difetto di genericità ed autosufficienza.

Dall’esame del decreto impugnato non emerge traccia che sia stata dibattuta tra le parti la questione del valore probatorio delle deposizioni delle maestre della scuola di (OMISSIS) e dell’interpretazione che alle stesse sia stata data dalla CTU.

E’ principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate come nel caso di specie – questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha adempiuto a tale onere di specifica allegazione, essendosi limitato ad affermare genericamente di aver formulato uno “specifico motivo d’appello” senza indicarne il contenuto ed il luogo di deduzione.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione alla violazione del principio di bigenitorialità espresso dalla L. n. 54 del 2006, dell’art. 337 octies sull’ascolto del minore, della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata con L. n. 176 del 1991 e della Carta di Nizza del 2000.

Lamenta il ricorrente che nonostante si sia in presenza di un affido condiviso, la contrazione del periodo di visita del padre maschera un affido esclusivo di fatto, potendo il padre trascorrere con il minore solo quattro giorni al mese e due pomeriggi con pernottamento. La Corte d’appello ha erroneamente considerato come elemento di disturbo alla quiete del minore il mantenimento di una significativa relazione padre/figlio.

La violazione delle norme sulle bigenitorialità e dell’ascolto del minore hanno determinato un grave pregiudizio al bambino.

6. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 111 Cost. e art. 118 disp. att. c.p.c. nonchè motivazione apparente.

Lamenta il ricorrente che il decreto impugnato si è limitato ad affermare che la frequentazione del minore con il padre è elemento di disturbo alla quiete del minore senza fornire alcuna argomentazione in fatto, così rendendo una motivazione perplessa, incomprensibile ed in contrasto con lo schema legale dell’affido condiviso.

7. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 8 CEDU relativo al rispetto della vita privata e familiare.

Lamenta il ricorrente che è stato leso il diritto alla sua serenità familiare, alla sua relazione affettiva con il figlio, diritto che non tollera ingerenze nemmeno dall’autorità giudiziaria se non in casi gravi e predefiniti.

8. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo, da esaminare unitariamente in relazione allo stretto collegamento delle questioni trattate, sono in parte infondati ed in parte inammissibili.

Va preliminarmente osservato che la regola dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l’altro genitore (vedi Cass. n. 22219/18; n. 18131/2913).

Peraltro, attiene al potere del giudice di merito stabilire le concrete modalità di esercizio del diritto di visita, che non sono sindacabili nelle loro specifiche articolazioni nel giudizio di legittimità, ove è invece possibile sollevare censure solo (il giudice di merito si sia ispirato, nel disciplinare le frequentazioni del genitore non convivente con il minore, a criteri diversi da quello fondamentale previsto dall’art. 155 c.c. dell’esclusivo interesse del minore.

Nel caso di specie, invece, il decreto impugnato ha evidenziato che l’ampliamento dell’esercizio del diritto di visita proposto dal padre darebbe luogo ad un regime estremamente articolato e frammentato, non funzionale alle esigenze di stabilità e serenità che devono necessariamente connotare la quotidianità del minore, argomentazione che soddisfa “il minimo costituzionale” richiesto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo i principi della sentenza del Supremo Collegio n. 8053/2014, e che si fonda sull’esame delle dinamiche familiari anche alla luce delle risultanze della CTU.

Come già sopra evidenziato, trattandosi di accertamento in fatto, non è sindacabile in sede di legittimità.

9. Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di prove decisive concernenti la rispettiva situazione economica delle parti.

Lamenta il ricorrente che la Corte di merito ha omesso una reale valutazione della capacità patrimoniale delle parti, non spiegandosi come il decreto impugnato abbia affermato che il padre gode di un reddito mensile netto di Euro 3.057,00 mentre, in realtà, è pacifico che lo stesse percepisce una pensione di Euro 2.100,00 mensili.

Il ricorrente ha, inoltre, evidenziato che la moglie è proprietaria del 100% dell’abitazione in cui abita mentre lo stesso è titolare solo del 50% della propria abitazione.

10. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che il ricorrente non ha minimamente indicato il fatto storico decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dal decreto impugnato, limitandosi a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito in ordine alla capacità reddituale delle parti.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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