Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24935 del 20/10/2017
Cassazione civile, sez. VI, 20/10/2017, (ud. 26/09/2017, dep.20/10/2017), n. 24935
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5250-2016 proposto da:
IMPA SPA, in persona del legale rappresentante, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio
dell’avvocato LUIGI MANZI, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FRANCESCO MERCURIO;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dei
Commissari, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso
la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato DANIELE PORTINARO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1563/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,
depositata il 14/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 26/09/2017 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
la Corte d’appello di Torino ha rigettato il gravame proposto da Impa s.p.a. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Casale Monferrato aveva accolto l’azione revocatoria fallimentare proposta dall’amministrazione straordinaria della (OMISSIS) s.p.a. in relazione ai pagamenti per complessivi Euro 543.451,18, eseguiti dalla società insolvente nel semestre anteriore alla domanda di ammissione alla procedura di amministrazione controllata;
la Corte, in particolare, ha ritenuto provata la scientia decoctionis in capo alla creditrice appellante sulla base di due indizi: l’accordo stipulato tra la Impa s.p.a. e la (OMISSIS) s.p.a. il 28 ottobre 2004, tramite cui quest’ultima, riconosciutasi debitrice nei confronti dell’appellante per l’importo complessivo di Euro 240.000, si impegnava al pagamento rateale di guanto dovuto; la circostanza “che la Impa abbia ottenuto l’impegno della debitrice a pagare tutte le successive forniture praticamente “a vista”: ad esempio, la fattura del 30 ottobre è stata pagata il 3 novembre, quella del 13 novembre il 30 novembre, quella del 20 novembre il 2 dicembre, e così via. Quindi l’appellante aveva ben compreso lo stato di decozione della società (OMISSIS) tanto che non tollerò più ritardi nel pagamento delle fatture come in passato ma pattuì un piano di rientro per il pregresso e si assicurò che le successive fatture emittende fossero saldate immediatamente”;
la Impa s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi;
la (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria ha resistito con controricorso e la ricorrente ha presentato anche memoria;
il Collegio ha deliberato che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non ponendosi questioni rilevanti dal punto di vista della funzione nomofilattica di questa Corte.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., la ricorrente censura il ragionamento presuntivo svolto dalla Corte territoriale, affermando, da un lato, che l’accordo di dilazione di pagamento sarebbe un indizio in sè solo inidoneo a provare la sussistenza della scientia decoctionis in capo alla creditrice, stante la necessità che gli indizi siano plurimi, precisi e concordanti; dall’altro, che l’impegno della debitrice a pagare le successive forniture “a vista” sarebbe un fatto del tutto indimostrato, non figurando nell’accordo del 2004, nè essendo stato altrimenti provato;
con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e artt. 99,112 e 115 c.p.c., si lamenta che sia stata ipotizzata l’assunzione, da parte della società debitrice, di un impegno di pagamento “a vista” che non risulta dagli atti;
con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 345 c.p.c. e dei principi generali sul contraddittorio, si osserva che il mero fatto dei tempi dei pagamenti venne enunciato per la prima volta dall’appellata nella comparsa di costituzione, ma senza allegare che esso fosse frutto di un impegno assunto dalla debitrice, e che le nuove allegazioni in appello sono inammissibili e comunque sulle stesse il giudice avrebbe dovuto sollecitare il contraddittorio delle parti;
con il quarto motivo, denunciando nullità della sentenza per extrapetizione, si lamenta che la Corte territoriale avrebbe fondato la propria decisione su una previsione contrattuale – quella del pagamento a vista – di cui l’attrice non aveva mai affermato l’esistenza; nessuno di tali motivi può trovare accoglimento;
la prima censura, relativa all’utilizzo di un solo indizio, è infondata perchè la Corte d’appello, come si è visto, ha valorizzato sia l’accordo di dilazione del pagamento, sia la tempestività dei pagamenti delle forniture successive;
le successive censure sono tutte basate sulla enfatizzazione dell’accordo” di pagamento a vista sino a stravolgere la ratio della decisione impugnata: se è vero, infatti, che nella motivazione della sentenza – sopra riportata testualmente in parte qua – si parla effettivamente di un “impegno” della debitrice di saldare sostanzialmente “a vista” le nuove fatture, è pur vero che il baricentro dell’argomentazione dei giudici è costituito non dall’impegno della debitrice, quanto dal controllo assiduo della creditrice (del cui atteggiamento psicologico, del resto, si discute), la quale “non tollerò più ritardi nel pagamento delle fatture.. e si assicurò che le successive fatture emittende fossero saldate immediatamente”; e tale valutazione è basata sulle fatture richiamate nella motivazione e sui relativi pagamenti, ossia su atti processuali dei quali non è contestata la tempestiva produzione in giudizio;
non ha pregio, pertanto, la censura di extrapetizione, essendosi la Corte d’appello limitata a trarre una inferenza probatoria – peraltro sollecitata dall’appellata con la comparsa di costituzione, come rivela la stessa ricorrente – da documenti ritualmente prodotti;
nè è a parlarsi di violazione del divieto di nova in appello, dato che, ancora una volta, è la stessa ricorrente a far presente che l’appellata si era limitata a rilevare, dalle fatture e dai relativi pagamenti, una tempistica a suo giudizio significativa: il che costituisce mero svolgimento di difese, non certo deduzione di nuove circostanze di fatto;
il ricorso va pertanto rigettato;
le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2017