Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24935 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. I, 07/10/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 07/10/2019), n.24935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Edoardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18442/2016 proposto da:

V.R., rappresentato dall’avv. Gaudenzia Brunello;

– ricorrente –

contro

G.S., rappresentata dall’avv. Piero Patelli

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18 gennaio 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21 maggio 2019 da Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 18 gennaio 2016, giudicando sui gravami proposti da V.R. e G.S. avverso l’impugnata sentenza del 13 aprile 2015 – che aveva posto a carico del primo l’obbligo di corrispondere alla seconda l’assegno divorzile, determinato in Euro 3000,00 mensili, e il contributo, determinato in Euro 1000,00 mensili, per il mantenimento della figlia C., divenuta maggiorenne in corso di causa, oltre alle spese straordinarie -, ha confermato la prima statuizione e ha riformato la seconda, aumentando il contributo per la figlia a Euro 1300,00.

2.- Per quanto ancora interessa, la Corte ha ritenuto il suddetto importo dell’assegno divorzile adeguato a consentire alla G. di conservare l’alto tenore di vita coniugale, corrispondente a quello concordato in sede di separazione consensuale, tenuto conto delle elevate capacità economiche del V. (reddito da lavoro dipendente pari a Euro 208587,00, ulteriori redditi da locazione di oltre sette milioni di Euro, partecipazioni societarie, crediti verso società partecipate, investimenti finanziari, proprietà immobiliari, disponibilità di denaro e beni di valore), mentre la G. era priva di capacità reddituale e patrimoniale, non potendo trovare un’occupazione idonea a consentirle di raggiungere il tenore di vita matrimoniale, tenuto conto della sua età (essendo nata nel (OMISSIS)), avendo sempre svolto l’attività di casalinga nelle mura domestiche e potendo contare soltanto sul contributo erogatole dal marito; la Corte ha infine ritenuto irrilevanti i sopraggiunti oneri ulteriori a carico di V. per la nascita di figli da un’altra unione.

3.- Avverso questa sentenza quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui si è opposta la G.. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.- Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., per avere, nel determinare il quantum dell’assegno divorzile, omesso di considerare le pattuizioni intercorse tra le parti, in particolare in sede di modifica delle condizioni della separazione in data (OMISSIS), quando gli ex coniugi fissarono l’importo mensile dell’assegno in misura inferiore, senza che successivamente la ex moglie avesse dimostrato il peggioramento delle proprie condizioni o il miglioramento di quelle dell’ex marito.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 per avere stimato il valore del patrimonio immobiliare in misura così elevata da ritenere erroneamente superflua ogni altra considerazione dei suoi redditi, quantificato i redditi da partecipazioni sociali in via ipotetica e astratta, valutato il proprio reddito da lavoro in Euro 80000,00 all’anno anzichè in Euro 40800,00, omesso di considerare la provenienza ereditaria del patrimonio e dei redditi da partecipazioni e di valutare il reddito effettivo e non ipotetico o teorico derivante dal patrimonio immobiliare, ai fini dell’incidenza sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

2.- Entrambi i motivi, da valutare congiuntamente, sono fondati nei seguenti termini.

2.1.- la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, contiene un parametro – la disponibilità di “mezzi adeguati” o “comunque (l’impossibilità di) procurarseli per ragioni oggettive” – e alcuni criteri da utilizzare per l’attribuzione e la determinazione dell’assegno divorzile a favore del coniuge richiedente: le condizioni e i redditi dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, tutti da valutare anche in rapporto alla durata del matrimonio.

2.2.- La nozione di adeguatezza dei mezzi è stata intesa dalla giurisprudenza tradizionale come finalizzata alla conservazione (tendenziale) del tenore di vita matrimoniale, come desumibile dalle condizioni economiche del coniuge destinatario della domanda, all’esito, in sostanza, del cosiddetto confronto reddituale tra i coniugi al momento della decisione (a partire da Cass. SU n. 11490 e 11492 del 1990).

Sono note le numerose e fondate critiche al suddetto parametro che hanno indotto la giurisprudenza a sostituirlo con quello, intrinsecamente inerente alla nozione di adeguatezza dei mezzi, di indipendenza economica, intesa come possibilità di vita dignitosa (Cass. n. 11504 del 2017): la Corte ha precisato che “per determinare la soglia dell’indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, nè bloccata alla soglia della pura sopravvivenza nè eccedente il livello della normalità” (Cass. n. 3015 del 2018).

2.3.- Il Collegio ritiene che questo esito interpretativo non sia stato sovvertito dalle Sezioni Unite n. 18287 del 2018, ma solo in parte corretto, e che quindi si debba ribadire, con le precisazioni che si faranno di seguito.

2.4.- Le Sezioni Unite hanno confermato che: a) il parametro (della conservazione) del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro sistema; b) l’onere di provare l’esistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno grava sul coniuge richiedente l’assegno, mentre in passato si poneva l’onere di provare l’insussistenza delle relative condizioni a carico del coniuge potenzialmente obbligato; c) l’assegno svolge una finalità (anche o principalmente) assistenziale.

Per altro verso, le Sezioni Unite hanno: a) evidenziato l’ulteriore e concorrente finalità compensativa o perequativa dell’assegno, nei casi in cui vi sia la prova – di cui è onerato il coniuge richiedente l’assegno, trattandosi di fatto costitutivo del diritto azionato – che la sperequazione reddituale in essere all’epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte concordate di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune (da ultimo, Cass. n. 10781 e 10782 del 2019, n. 6386 del 2019); b) le Sezioni Unite non hanno condiviso la rigida distinzione tra criteri di attribuzione (an debeatur) e di quantificazione (quantum debeatur) dell’assegno, in tal modo innovando rispetto al precedente orientamento consolidato, con l’effetto che per l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, devono applicarsi i criteri equiordinati di cui alla prima parte dell’art. 5, comma 6, al fine di decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

2.5.- Ad avviso del Collegio, risulta confermata la imprescindibile finalità assistenziale dell’assegno, con la quale può concorrere, in determinati casi, quella compensativa.

E’ sufficiente constatare che in tutti i casi in cui l’assegno non sia riconosciuto, non ricorrendo in concreto le condizioni per valorizzare la ricordata funzione compensativa, è perchè il coniuge richiedente, evidentemente, si trova in condizioni di “autosufficienza economica” (cfr. Cass. n. 6386 del 2019). L’esistenza di un obbligo di pagamento dell’assegno implica un perdurante legame di dipendenza (economica) tra gli ex coniugi che non c’è quando detto obbligo non sussista, cioè quando (e proprio perchè) entrambi sono “indipendenti economicamente”.

E’ opportuno precisare che l’assegno non è comunque dovuto qualora entrambi i coniugi non abbiano mezzi propri adeguati per vivere dignitosamente, pure in presenza di un relativo squilibrio delle rispettive condizioni reddituali e patrimoniali.

2.6.- La funzione assistenziale dell’assegno, come si è detto, può anche concorrere con (o essere assorbita dalla) funzione compensativa-perequativa, a determinate condizioni, entrambe costituenti espressione della solidarietà post-coniugale valorizzata dalle Sezioni Unite.

Il parametro della (in)adeguatezza dei mezzi o della (im)possibilità di procurarseli per ragioni oggettive va quindi riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente (e, quindi, all’esigenza di garantire detta possibilità al coniuge richiedente), sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, in base ad accordo con l’altro coniuge, un dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge.

La suddetta valutazione, da operare con riferimento ai criteri indicati dalla norma (art. 5, comma 6), tra i quali la durata del matrimonio, deve tenere conto delle predette esigenze che integrano il parametro dell’adeguatezza, con effetti sul piano anche della quantificazione dell’assegno in concreto.

2.7.- Nell’ambito di questo accertamento, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono, da soli, elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno.

Il mero dato della differenza reddituale tra i coniugi è coessenziale alla ricostituzione del tenore di vita matrimoniale, che è però estranea alle finalità dell’assegno nel mutato contesto.

La quantificazione (e anche l’attribuzione) dello stesso non sono variabili dipendenti soltanto dall’alto (o dal più alto) livello reddituale di uno degli ex coniugi, non trovando alcuna giustificazione l’idea che quest’ultimo sia comunque tenuto a corrispondere all’altro tutto quanto sia per lui “sostenibile” o “sopportabile”, quasi ad evocare un prelievo forzoso in misura proporzionale ai suoi redditi.

Un esito interpretativo di questo genere si risolverebbe in una imposizione patrimoniale priva di causa, che sarebbe arduo giustificare in nome della solidarietà post-coniugale.

2.8.- Non varrebbe evocare, in senso contrario, l’esigenza (che si assume inerente all’assegno divorzile) “riequilibratrice” delle condizioni reddituali degli ex coniugi, la quale non trova una specifica conferma come funzione autonoma dell’istituto nel testo della norma (art. 5, comma 6, cit.). La suddetta esigenza era coerente, piuttosto, nella diversa prospettiva della conservazione del tenore di vita matrimoniale, rispetto alla quale il riequilibrio dei redditi costituiva l’esito finale di quel confronto reddituale che costituiva il fulcro di ogni valutazione in ordine alla attribuzione e quantificazione dell’assegno.

E tuttavia, una volta superata la suddetta prospettiva, il (parziale) riequilibrio dei redditi altro non è che l’effetto pratico dell’imposizione patrimoniale realizzata con l’attribuzione dell’assegno alle condizioni date (non indipendenza economica e/o necessità di compensazione del particolare contributo dato da un coniuge durante la vita matrimoniale).

3.- La ratio decidendi, complessivamente posta a fondamento della decisione, con la quale la Corte di merito ha quantificato l’assegno divorzile in favore della G., consiste nell’affermazione che “l’unico o principale parametro da considerare per la determinazione dell’assegno rimane quello delle condizioni economiche dei coniugi (…) caratterizzato dalla abissale sproporzione tra le capacità reddituali delle parti”, risultando la G. “priva di alcuna proprietà e reddito autonomo”, diversamente dal V., le cui “più che agiate condizioni economiche (…) fanno presumere l’elevato tenore di vita goduto dai coniugi durante la vita matrimoniale”, per il cui raggiungimento quell’importo è stato ritenuto adeguato.

In particolare, la quantificazione dell’assegno divorzile – essendo incensurata l’attribuzione dell’assegno (nell’an) in favore della G., non indipendente economicamente – è stata operata sulla base della mera constatazione della notevole differenza reddituale tra i coniugi, nella prospettiva della ricostituzione del tenore di vita matrimoniale, che tuttavia non costituisce più un parametro utilizzabile in materia.

Detta ratio contrasta con i ricordati principi che regolano la materia, essendo l’assegno divorzile previsto dalla legge per consentire al coniuge richiedente più debole di soddisfare le esigenze di vita autonoma e dignitosa che, dopo le Sezioni Unite del 2018, devono tenere conto anche delle aspettative professionali sacrificate, in base ad accordo con l’altro coniuge, per avere dato un particolare e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge.

La sentenza impugnata, inoltre, non ha verificato in concreto se i sopravvenuti oneri ulteriori a carico dell’obbligato per la nascita di figli da un’altra unione abbiano determinato un depauperamento delle sue sostanze (Cass. n. 14175 del 2016, n. 6289 del 2014), essendosi limitata ad evidenziare cripticamente la notevolissima consistenza delle capacità reddituali del V., che tuttavia di per sè non è un dato decisivo per la quantificazione dell’assegno.

5.- La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di merito per un nuovo esame, alla luce dei principi indicati, e per provvedere sulle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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