Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24932 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. I, 07/10/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 07/10/2019), n.24932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22648/2014 proposto da:

I.F.M., rappresentato dell’avvocato Alessandro

Vitiello;

– ricorrente –

contro

C.C., rappresentata dell’avvocato Caterina Principato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3873/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/05/2019 da LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- Il Tribunale di Roma, dopo avere dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da I.F.M. e C.C. il (OMISSIS), ha posto a carico del F. l’obbligo di corrispondere all’ex moglie un assegno divorzile di Euro 400,00 mensili, con decorrenza dalla data della sentenza pronunciata il (OMISSIS).

2.- La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 5 luglio 2013, ha rigettato il gravame del F., il quale aveva dedotto l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno. A sostegno della decisione, la Corte ha evidenziato lo squilibrio reddituale delle parti e l’esigenza di porre la parte più debole nella condizione di conservare il tenore di vita matrimoniale, mediante l’attribuzione del congruo importo liquidato dal tribunale, tenuto conto della durata della convivenza (di cinque anni), delle aspettative ad essa connesse e dei redditi delle parti congruità dell’importo (il F. percepiva una rilevante retribuzione, di circa Euro 8000,00 mensili, e aveva la disponibilità di titoli finanziari; la C. era impiegata alle dipendenze di una società, percepiva un reddito annuo di Euro 25101,00 netti ed era onerata del canone di locazione dell’abitazione, pari a Euro 675,00) e pur considerando gli oneri economici gravanti sul F. per il mantenimento e le spese abitative di due figli nati da una successiva relazione con altra persona.

3.- Avverso questa sentenza il F. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memoria; la C. ha depositato un controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.- Preliminarmente, l’eccezione di inammissibilità del controricorso della C. è fondata, in quanto notificato tardivamente, il 21 novembre 2014, quindi oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c., essendo il ricorso stato notificato il 10 ottobre 2014.

2.- Il secondo motivo assume un rilievo assorbente e deve essere quindi esaminato. Esso denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per avere dato seguito all’orientamento giurisprudenziale, sottoposto a serrata critica, ritenuto non condivisibile e ormai non più corrispondente all’evoluzione della società e dell’istituto del matrimonio, secondo il quale la funzione dell’assegno divorzile sarebbe quella di garantire, seppur tendenzialmente la conservazione del tenore di vita matrimoniale, mentre la sua funzione dovrebbe essere quella di assistere l’ex coniuge privo di mezzi adeguati a vivere un’esistenza autonoma e dignitosa; la C. non avrebbe diritto all’assegno, tenuto conto della sua indipendenza economica e della sua giovane età (trentacinque anni all’epoca della sentenza parziale di cessazione degli effetti civili del matrimonio nel (OMISSIS)); inoltre, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto o avrebbero sottovalutato gli oneri economici connessi al nuovo nucleo familiare da lui costituito, che avevano inciso sensibilmente sulla sua situazione patrimoniale e reddituale.

Il motivo è fondato nei termini che si va ad illustrare.

2.1.- La ratio decidendi complessivamente posta a fondamento della decisione, con la quale la Corte di merito ha attribuito e quantificato l’assegno divorzile, si basa sullo “stato di inferiorità economica della C. rispetto all’ex coniuge, in considerazione dell’evidente e notevole divario tra i rispettivi redditi”, in ragione del quale non le era possibile altrimenti conservare, seppur tendenzialmente, il tenore di vita matrimoniale.

Detta ratio contrasta con i principi che regolano la materia, come evolutisi nella giurisprudenza di legittimità.

2.2.- la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, com’è noto, contiene un parametro – la disponibilità di “mezzi adeguati” e “comunque (l’impossibilità di) procurarseli per ragioni oggettive” – e alcuni criteri da utilizzare per l’attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile a favore del coniuge richiedente: le condizioni e i redditi dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, tutti da valutare anche in rapporto alla durata del matrimonio.

La nozione di adeguatezza è stata intesa dalla giurisprudenza tradizionale come finalizzata alla conservazione (tendenziale) del tenore di vita matrimoniale, come desumibile dalle condizioni economiche del coniuge destinatario della domanda, cioè, in sostanza, dal cosiddetto confronto reddituale tra i coniugi al momento della decisione (a partire da Cass. SU n. 11490 e 11492 del 1990).

Sono note le numerose e fondate critiche al suddetto parametro che hanno indotto la giurisprudenza a sostituirlo con quello, intrinsecamente inerente alla nozione di adeguatezza dei mezzi, di indipendenza economica, intesa come possibilità di vita dignitosa (Cass. n. 11504 del 2017): questa Corte precisò che “per determinare la soglia dell’indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, nè bloccata alla soglia della pura sopravvivenza nè eccedente il livello della normalità” (Cass. n. 3015 del 2018).

2.3.- Questo esito interpretativo si deve ribadire, non essendo stato sovvertito dalle SU n. 18287 del 2018, le quali hanno confermato sia la finalità assistenziale dell’assegno, affermata dalle SU del 1990 e ribadita dalla giurisprudenza più recente (cfr. Cass. n. 6386 del 2019), sia l’onere del coniuge richiedente di dimostrare la sussistenza delle condizioni di legge, con riferimento ai criteri indicati nell’art. 5, comma 6. Le SU del 2018 hanno tuttavia evidenziato l’ulteriore e concorrente finalità compensativa o perequativa dell’assegno nei soli casi in cui vi sia la prova – di cui è onerato il coniuge richiedente l’assegno, trattandosi di fatto costitutivo del diritto azionato – che la sperequazione reddituale in essere all’epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte concordate di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune (cfr. Cass. n. 10781 e 10782 del 2019).

2.4.- Non varrebbe evocare in senso contrario la funzione (che si assume propria dell’assegno divorzile) “riequilibratrice” dei redditi degli ex coniugi, la quale invero non esiste come funzione autonoma, non trovando, tra l’altro, alcuna conferma letterale nella norma (art. 5, comma 6, cit.). Detta funzione era coerente, piuttosto, nella diversa prospettiva della conservazione del tenore di vita matrimoniale, rispetto alla quale il riequilibrio dei redditi costituiva l’esito finale di quel confronto reddituale che costituiva il fulcro delle valutazioni in ordine alla attribuzione e quantificazione dell’assegno. Tuttavia, una volta superata la suddetta prospettiva, il (parziale) riequilibrio dei redditi altro non è che l’effetto pratico dell’imposizione patrimoniale operata con l’attribuzione dell’assegno alle condizioni date (non indipendenza economica e/o necessità di compensazione del particolare contributo dato da un coniuge durante la vita matrimoniale, a determinate condizioni).

2.5.- L’attribuzione e la quantificazione dell’assegno non sono variabili dipendenti soltanto dalla differenza del livello economico-patrimoniale tra gli ex coniugi o dall’alto livello reddituale del coniuge obbligato, non trovando alcuna giustificazione l’idea che quest’ultimo sia tenuto a corrispondere tutto quanto sia per lui “sostenibile”, quasi ad evocare un prelievo forzoso in misura proporzionale ai suoi redditi.

L’assegno dev’essere attribuito e determinato al fine di soddisfare le esigenze di vita dignitosa del coniuge richiedente che, dopo le SU del 2018, devono tenere conto anche delle aspettative professionali sacrificate, in base ad accordo con l’altro coniuge, per avere dato un particolare e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge.

Nella specie, l’attribuzione e quantificazione dell’assegno sono state operate sulla base della mera constatazione della notevole differenza reddituale tra i coniugi, nella prospettiva della ricostituzione del tenore di vita matrimoniale, che tuttavia non costituisce più un parametro utilizzabile in materia.

3.- Pertanto, assorbito il primo motivo (che denuncia omesso esame di fatti di rilievo istruttorio), in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di merito per un nuovo esame e per provvedere sulle spese della presente fase.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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