Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24926 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2011, (ud. 28/06/2011, dep. 25/11/2011), n.24926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20463/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 359/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 10/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di rettifica IVA 1997 notificato al sig. M. S. il 12.12.02 l’Agenzia delle Entrate negava la validità ad un atto di cessione di azienda con cui il contribuente aveva ceduto le rimanenze finali al 31.12.96, includeva dette rimanenza tra quelle iniziali all’1.1.97 e ricalcolava conseguentemente i ricavi (e quindi l’IVA) per l’anno di imposta 1997.

Il contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, che annullava l’avviso di rettifica. La sentenza di primo grado veniva appellata con appello principale dall’Ufficio e con appello incidentale dal contribuente.

La Commissione Tributaria Regionale dichiarava inammissibile, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, l’appello principale dell’Ufficio, giudicandolo basato su motivi nuovi, e accoglieva l’appello incidentale, con cui il contribuente aveva riproposto un motivo di ricorso avverso l’atto impositivo non esaminato dalla Commissione Tributaria Provinciale.

L’Agenzia ricorre per cassazione avverso la sentenza di appello sulla scorta di un unico mezzo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, articolato in due distinte censure e denuncia, con la prima censura, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e, con la seconda censura, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12. Nell’epigrafe del motivo si menziona anche il difetto di motivazione su un punto essenziale della controversia, ma nel corpo della esposizione tale censura non risulta sviluppata.

Il sig. M. non si è costituito in sede di legittimità.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 28.6.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va precisato che, poichè l’importo del tributo (IVA) preteso con l’atto impositivo impugnato ammonta ad Euro 103.143,67, deve escludersi che la presente causa sia suscettibile di definizione D.L. n. 98 del 2011, ex art. 39, comma 12, convertito con la L. n. 111 del 2011. Tale modalità di definizione opera infatti solo in relazione alle liti di valore non superiore a 20.000 Euro, intendendosi per valore della lite, a mente della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. c), (richiamato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12), l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo.

Con fa prima censura la ricorrente denuncia l’errore in cui sarebbe incorsa la Commissione Tributaria Regionale nel giudicare inammissibili, perchè non addotti precedentemente, i motivi proposti dall’Ufficio nel proprio appello; secondo la difesa erariale, invece, l’appello dell’Ufficio conteneva esclusivamente critiche della sentenza appellata e illustrazioni delle tesi già svolte in primo grado. La censura è inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto la ricorrente, per mettere la Corte in condizione di verificare la sussistenza dell’errore addebitato alla sentenza gravata, e quindi di apprezzare la novità o non novità delle domande ed eccezioni svolte dall’Ufficio nell’atto di appello, avrebbe dovuto trascrivere, almeno nelle parti salienti, tanto il ricorso in appello quanto l’atto di costituzione dell’Ufficio in primo grado. Tale trascrizione non è stata effettuata e, anzi, nel ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate non c’è nemmeno un sunto sintetico del contenuto delle difese svolte dall’Ufficio in primo grado e nell’atto di appello.

Con la seconda censura la ricorrente critica la statuizione della sentenza gravata che. in accoglimento dell’appello incidentale del contribuente, ha affermato la nullità dell’atto impositivo per essere stato il medesimo notificato prima del decorso del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, di 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza. Assume in proposito la ricorrente che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto riconoscere la ricorrenza, nella specie, delle ragioni di urgenza contemplale dall’ultima parte del comma settimo della L. n. 212 del 2000, art. 12, in quanto l’atto impositivo è stato notificato in prossimità della scadenza del termine di decadenza dell’Amministrazione dalla potestà accertativa.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse della ricorrente.

Nella sentenza gravata (pag. 3) si riferisce che la doglianza del contribuente in ordine alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, era stata proposta nel ricorso introduttivo di primo grado come quinto motivo di impugnativa dell’atto impositivo e che la Commissione Tributaria Provinciale non l’aveva esaminata, avendo annullando l’atto impositivo per i primi tre motivi dedotti dal contribuente.

Ciò premesso, osserva la Corte che, poichè la sentenza di primo grado aveva annullato integralmente l’atto impositivo impugnato, l’appello incidentale con cui il contribuente ha riproposto la suddetta doglianza davanti alla Commissione Tributaria Regionale deve considerarsi condizionato; cosicchè la Commissione Tributaria Regionale – avendo dichiarato inammissibile l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, in tal modo confermando l’annullamento dell’atto impositivo disposto con tale sentenza – avrebbe dovuto rilevare la cessazione dell’interesse del contribuente ad una pronuncia sull’appello incidentale. La pronuncia di merito (accoglimento) adottata dalla Commissione Tributaria Regionale sull’appello incidentale è pertanto priva di autonomi effetti e, conseguentemente, la censura mossa contro tale pronuncia nel ricorso per cassazione dall’Agenzia risulta inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione; infatti anche un eventuale accoglimento della censura non potrebbe rimuovere la decisione di annullamento dell’atto impositivo adottata dal primo giudice (per motivi diversi dalla violazione del disposto della L. n. 212 del 2000, art. 12), con sentenza confermata in secondo grado da una statuizione (di inammissibilità dell’appello dell’Agenzia) che passa in giudicato a seguito della declaratoria di inammissibilità della prima censura articolata nel ricorso per cassazione dell’Agenzia.

Devono quindi in definitiva dichiarasi inammissibili entrambe le censure in cui si articola il motivo di ricorso dell’Agenzia e, conseguentemente, rigettare tale ricorso.

Non essendosi il contribuente costituito davanti a questa Corte, non vi luogo alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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