Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24926 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. II, 09/10/2018, (ud. 17/05/2018, dep. 09/10/2018), n.24926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27007/2014 R.G. proposto da:

B.E., rappresentata e difesa dall’Avv. Lucio Olivieri, con

domicilio eletto in Roma, Via Groenlandia n. 31, presso lo studio

dell’avv. Simone Faiella.

– ricorrente –

contro

M.F., rappresentato e difeso dall’avv. Meri Cossignani,

elettivamente domiciliato in Roma, Largo della Gancia n. 1, presso

lo studio dell’avv. Romolo Donzelli.

– controricorrente –

e

C.D..

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 473/2013,

depositata in data 1.8.2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17.5.2018,

dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Ancona ha dichiarato la nullità della sentenza, rimettendo la causa in primo grado, con cui il Tribunale di S. Benedetto del Tronto aveva accolto la domanda proposta da C.D. e B.E., volta ad ottenere la condanna di M.F. alla demolizione di una canna fumaria installata nel ripostiglio posto a nord dell’appartamento della ricorrente.

La sentenza impugnata ha rilevato che il convenuto aveva dichiarato nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado che l’appartamento a servizio del quale era stata realizzata la predetta canna fumaria, era in comproprietà con la moglie e ha ritenuto che il tribunale avrebbe dovuto ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultima, poichè la condanna alla demolizione avrebbe inciso sulle modalità di godimento dell’immobile comune, appartenente pro quota ai suddetti coniugi.

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso B.E., affidato a 9 motivi.

M.F. resiste con controricorso e con memoria difensiva, mentre C.D. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Vanno respinte le censure di inammissibilità del ricorso poichè esso contiene tutte le indicazioni necessarie per l’individuazione delle questioni controverse e delle censure sollevate, mediante un puntuale richiamo agli atti di causa.

2. Il primo motivo censura la violazione dell’art. 949 c.c. e art. 2058 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè dell’art. 102 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza omesso di considerare che, oltre all’azione negatoria, la ricorrente aveva proposto una domanda di riduzione in pristino e di eliminazione della canna fumaria qualificabile come azione di risarcimento del danno in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c., per cui non occorreva la partecipazione al giudizio anche della comproprietaria dell’immobile; inoltre l’opera non poteva considerarsi costruzione e ne era stato chiesto lo spostamento e non l’eliminazione.

Il secondo motivo censura la violazione dell’art. 102 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, assumendo che, pur a ritenere proposta un’actio negatoria servitutis, la sentenza non avrebbe dovuto ordinare l’integrazione del contraddittorio trattandosi di demolire non una costruzione, ma un segmento di un tubo in plastica – mero accessorio dell’impianto – collocato nel ripostiglio della ricorrente, che non incideva sul diritto della comproprietaria pretermessa. Inoltre la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare che il M. aveva ottemperato spontaneamente alla sentenza di primo grado ed aveva rimosso la canna fumaria, per cui non sussisteva più alcuna necessità di procedere alla sua demolizione.

Il terzo motivo censura la violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, asserendo che l’art. 949 c.c., contempla due diverse domande di cui l’una di accertamento e l’altra di condanna di natura personale; che, in caso di violazione del contraddittorio, solo la pronuncia relativa all’azione volta alla demolizione poteva essere annullata, non occorrendo disporre la rimessione al primo giudice dell’intera causa.

Il quarto motivo censura la violazione degli artt. 100 e 111 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza ritenuto che l’appellante potesse impugnare la sentenza pur dopo aver ceduto il proprio immobile con atto del 5.6.2002, aver provveduto alla rimozione della canna fumaria e limitandosi a proporre in appello la sola questione di rito, senza contestare nel merito della domanda; che il M. non poteva, inoltre, eccepire la violazione dell’art. 102 c.p.c., non essendoci alcuna possibilità di rigetto dell’azione proposta dalla ricorrente.

Il quinto motivo censura la violazione degli artt. 354 e 355 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza condannato l’appellata alla restituzione delle spese di lite e di quelle anticipate dal M. per l’eliminazione della canna fumaria, mentre avrebbe dovuto limitarsi ad annullare la sentenza, rimettendo ogni pronuncia consequenziale al giudice di primo grado, poichè anche la pronuncia sulle restituzione presupponeva l’accertamento dell’illegittimità dell’opera.

Il sesto motivo censura la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la Corte distrettuale dapprima qualificato la domanda come actio negatoria servitutis e poi, pronunciando sulla restituzione degli esborsi sostenuti dal resistente per eliminare la canna fumaria, aveva contraddittoriamente riconosciuto natura personale all’azione esperita, non tenendo conto, inoltre, che il ricorrente aveva subordinato la richiesta di restituzione all’accoglimento dei soli motivi pertinenti al merito.

Il settimo motivo censura la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza ordinato la restituzione delle spese di esecuzione della sentenza di primo grado, benchè l’appellante ne avesse richiesto il rimborso subordinatamente all’accoglimento nel merito del gravame, mentre la Corte distrettuale aveva accolto l’impugnazione per motivi di rito.

L’ottavo motivo censura la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza disposto la restituzione di Euro 3000,00 a titolo di spese sostenute per l’eliminazione della canna fumaria sulla scorta della ritenuta coerenza tra l’importo indicato nella fattura prodotta in causa ed il preventivo dei costi, sebbene la fattura indicasse un esborso di Euro 3.000,00 ed il preventivo un costo di Lire 3.000.000, senza inoltre tener conto del fatto che tali importi includevano anche le spese di rimozione della caldaia che non era stata oggetto di giudizio.

Il nono motivo censura la violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza pronunciato sulle spese del giudizio di primo grado pur non avendo elementi sufficienti per la quantificazione, posto che il M. aveva richiesto la costituzione di servitù coattiva con domanda riconvenzionale giudicata tardiva, senza premurarsi di integrare il contradittorio anche nei confronti della moglie, il che imponeva di rimettere al tribunale anche la pronuncia sulle spese.

2. I primi quattro motivi, che vertono su questioni strettamente connesse e che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Si evince dalla trascrizione del contenuto della citazione di primo grado contenuta nel controricorso, che gli attori avevano chiesto di dichiarare l’insussistenza dei diritti che il M. aveva vantato sulla loro proprietà mediante la realizzazione della canna fumaria, instando, inoltre, per la rimozione dell’opera.

La domanda è stata correttamente qualificata dalla Corte distrettuale, poichè essa era diretta non a sanzionare la commissione di un illecito lesivo dei diritti dei ricorrenti ma anche ad ottenere una pronuncia volta ad accertare la libertà dei beni e l’inesistenza del diritto dei ricorrenti a posizionare il manufatto all’interno del ripostiglio.

A differenza di quanto sostiene il ricorrente, costituisce “actio negatoria servitutis” non solo la domanda diretta all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù ma anche quella volta alla eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà, allo scopo di ottenere la effettiva libertà del fondo, così da impedire che il potere di fatto corrispondente all’esercizio di un diritto, protraendosi per il tempo prescritto dalla legge, possa comportare l’acquisto per usucapione di un diritto reale su cosa altrui (Cass. 2014/27405; Cass. 2005/16495; Cass. 2004/24028; Cass. 1989/1561; Cass. 1998/6632; Cass. 1987/3722).

Su tale premessa occorreva, quindi, integrare il contraddittorio nei confronti del comproprietario, trattandosi di procedere alla rimozione di un’opera posto a servizio di un immobile comune e che esigeva una pronuncia suscettibile di essere eseguita anche nei confronti della parte non evocata in giudizio.

In mancanza la sentenza sarebbe stata inutiliter data, a nulla rilevando la consistenza dell’opera o l’entità dei lavori necessari alla sua eliminazione (nè che si trattasse solo di spostare il manufatto): difatti, come già affermato da questa Corte, la domanda di rimozione di una canna fumaria esige il litisconsorzio di tutti i comproprietari del manufatto (Cass. 1760/1976).

La condanna avrebbe prodotto – difatti – una modificazione della cosa comune che non poteva essere disposta od attuata “pro quota” in assenza di uno dei contitolari del diritto dominicale (Cass. 2016/6622; Cass. 2007/26653), non rilevando che si trattasse della sola rimozione di un segmento di un tubo in plastica, poichè la sentenza avrebbe comunque inciso sulla consistenza della res, rendendo la canna fumaria inservibile.

Inoltre, stante l’unitarietà della domanda ex art. 949 c.c., non era configurabile una pluralità di azioni, suscettibili di separata trattazione e decisione: contrariamente a quanto asserito in ricorso,

anche qualora il litisconsorte pretermesso proponga opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., avverso la sentenza di condanna alla demolizione resa in grado di appello, il giudice che accerti la fondatezza dell’opposizione deve provvedere rimettere in primo grado l’intera controversia (Cass. 2016/3925; Cass. 1995/2134).

Nessun rilievo poteva assumere il fatto che il resistente aveva nel frattempo rimosso l’opera, dovendosi comunque stabilire, nel contraddittorio delle parti, se tale rimozione avesse effettivamente fatto venir meno le ragioni del contendere o se residuassero misure ripristinatorie volte a reintegrare i diritti della ricorrente ed infine allo scopo di regolare le spese processuali.

Peraltro, nonostante l’asserita demolizione del manufatto, non risulta che la domanda di riduzione in pristino sia stata abbandonata per cui l’integrazione del contraddittorio non poteva considerarsi adempimento processuale che il giudice avrebbe potuto legittimamente omettere.

La necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio deve essere valutata esclusivamente sulla base del contenuto della domanda

poichè è questa che fissa e delimita l’ambito della controversia e non può farsi dipendere dalla soluzione di merito che il giudice ritenga di dover dare alla controversia (Cass. 2012/5139; Cass. 2007/14820; Cass. 2004/3647).

Infine la regolarizzazione del rapporto processuale è volta a consentire alla parte pretermessa di esercitare il diritto di difesa in modo da giungere ad una sentenza opponibile a tutti i comproprietari e pertanto prescinde del tutto dalle ragioni difensive sollevate dalla parte presente in causa e dalle concrete possibilità di accoglimento nel merito della domanda.

Nè poteva considerarsi carente, in capo al M. l’interesse a proporre l’impugnazione, risultando egli soccombente in primo grado ed essendo rimasto parte del giudizio, benchè avesse nel frattempo ceduto l’immobile a terzi, come si desume dall’art. 111 c.p.c..

3. Il quinto, il sesto ed in settimo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, sono parimenti infondati.

La Corte distrettuale non ha valutato la fondatezza nel merito della domanda di rimozione della canna fumaria nè ha attribuito all’azione natura personale, ma ha pronunciato sulle restituzioni poichè, per effetto dell’accoglimento del gravame, era venuto meno il titolo che giustificava l’esborso ricollegabile all’attuazione della pronuncia. Il diritto alla restituzione delle spese per l’attuazione della prima decisione conseguiva automaticamente dall’annullamento della sentenza di primo grado, anche se disposto per motivi di rito, dovendo rilevarsi non solo che dall’esame delle richieste formulate in appello non consta che il M. avesse subordinato la richiesta di rimborso all’accoglimento dei motivi di ricorso concernenti il merito ma soprattutto che quegli esborsi erano divenuti indebiti, quale che fosse il motivo per il quale la sentenza era stata riformata.

4. L’ottavo motivo è inammissibile.

La circostanza che non vi fosse corrispondenza tra l’importo contenuto nella fattura, espresso in Euro, e quello del preventivo, espresso in Euro, e che la somma globale comprendesse anche interventi diversi dalla rimozione della canna fumaria e non pertinenti all’esecuzione della sentenza di primo grado, sostanziava non un’errata valutazione delle risultanze documentali, ma un vero e proprio errore di percezione, sindacabile non in sede di legittimità, ma con il ricorso in revocazione per errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, essendosi in presenza di una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile riguardo ad un fatto incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa (Cass. 15.3.2018, n. 6405; Cass. 5.4.2017, n. 8828).

Di conseguenza la questione non poteva esser proposta in sede di legittimità neppure ai sensi dell’art. 115 c.p.c., disposizione che esula dall’ambito dei meri errori di percezione, disciplinando la formazione del convincimento del giudice.

5. Il nono motivo è inammissibile poichè la sentenza ha correttamente statuito sulle sole spese del secondo grado e non su quelle sostenute dalle parti dinanzi al tribunale, e pertanto la censura non appare pertinente.

Il ricorso è quindi respinto anche agli effetti delle spese, che si liquidano in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.

Si dà atto che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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