Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24925 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. II, 09/10/2018, (ud. 16/05/2018, dep. 09/10/2018), n.24925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 18772/14) proposto da:

TAPPENEIR NORBERT & C. S.A.S. (P.I.: 01498160215), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza

di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Peter

Tappeneir e Paolo Pacifici ed elettivamente domiciliata presso lo

studio del secondo, in Roma, v. A. Vallisneri 11;

– ricorrente –

contro

T.M. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.

Giorgio Petrachi ed elettivamente domiciliato presso il suo studio,

in Roma, v. Isabella D’Este, 13;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Trento – sez. dist. di

Bolzano n. 59/2014, depositata il 3 maggio 2014 (non notificata).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con ordinanza resa ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., in data 15 dicembre 2011, il Tribunale di Bolzano – sez. dist. di Silandro accoglieva le domande attoree della s.a.s. Tappeneir Norbert & Co. con le quali aveva richiesto l’accertamento dell’autenticità delle sottoscrizioni apposte sull’accordo del 23 marzo 2001, nonchè l’accertamento del diritto di servitù costituito con la stessa convenzione, con la quale il resistente T.M. aveva autorizzato l’edificazione della cucina pertinente al complesso alberghiero di essa ricorrente sino al confine con i suoi fondi rinunciando all’osservanza della distanza legale.

Decidendo sull’appello formulato dal predetto resistente e nella costituzione dell’appellata (che avanzava, a sua volta, appello incidentale), la Corte di appello di Trento – sez. dist. di Bolzano, con sentenza n. 59/2014, accoglieva il gravame principale e respingeva quello incidentale, dichiarando la nullità della clausola 3-bis dell’accordo oggetto di causa con la quale il T. aveva autorizzato la costruzione dell’edificanda cucina di parte avversa senza il rispetto delle prescritte distanze legali, dichiarando interamente compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte altoatesina rilevava che la suddetta clausola non poteva ritenersi valida perchè non era possibile derogare convenzionalmente alle prescrizioni degli strumenti urbanistici dettate in tema di distanze legali, con la conseguente irrilevanza della questione su se le parti, con il predetto accordo, avessero inteso costituire un diritto reale ovvero un diritto di natura personale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la s.a.s. Tappeiner Norbert & Co., articolato in due motivi, in riferimento al quale si è costituito con controricorso l’intimato T.M.. I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

2. Con la prima censura la società ricorrente ha dedotto l’errata e falsa applicazione del combinato disposto dell’artt. 873 c.c. e art. 19 disp. att. del piano regolatore del Comune di Silandro, sull’assunto presupposto che le parti, prevedendo nell’accordo del 23 marzo 2001 l’autorizzazione a portare la cucina fino al confine con la particella edilizia n. 286, non avevano fatto altro che concordare una facoltà che ad essa ricorrente era già riconosciuta dal regolamento di attuazione del piano regolatore, ragion per cui non si sarebbe potuta ritenere la nullità di detto accordo per contrarietà alla vigente normativa urbanistica (pena la “invasività” della sfera di autonomia contrattuale delle parti).

3. Con la seconda doglianza la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 a seguito dell’introduzione dell’art. 2-bis nel T.U. sull’edilizia per effetto del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”), convertito, con modif., nella L. 9 agosto 2013, n. 98, sull’asserito presupposto che quest’ultima normativa sopravvenuta aveva comportato la caducazione dei limiti alle distanze tra edifici, donde la validità dell’accordo intercorso tra le parti con riferimento alla disciplina in vigore precedententemente.

4. Rileva il collegio che, in via preliminare, occorre farsi carico dell’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso proposta nell’interesse del controricorrente per assunta violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 6).

Detta eccezione non è meritevole di accoglimento perchè – dal tenore complessivo del ricorso e dallo svolgimento logico dei formulati motivi – non può certamente affermarsi che la ricorrente non abbia, in primo luogo, provveduto adeguatamente (v. pagg. 2-3 del ricorso) all’esposizione sommaria dei fatti della causa, all’esauriente enucleazione dei motivi posti a fondamento del ricorso stesso con l’indicazione delle specifiche norme assunte come violate e al sufficiente assolvimento dell’ulteriore onere imposto del citato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

5. Ciò premesso, rileva il collegio che la prima censura avanzata dalla ricorrente è destituita di fondamento e deve, perciò, essere respinta.

Infatti, la Corte territoriale, con l’impugnata sentenza, ha legittimamente riconosciuto la nullità della convenzione del 23 marzo 2011 intercorsa tra le parti, così come dedotta in controversia, siccome derogatoria delle distanze legali minime stabilite dall’art. 19 del piano regolatore del Comune di Silandro (che rimandava “per relationem” – ma recependole in modo autonomo – alle norme di cui agli artt. 873,905 e 906 c.c., prescrivendo, oltretutto, una doppia distanza per le costruzioni, ovvero rispetto ai confini e rispetto agli edifici), come tale ponentesi in contrasto con una norma imperativa ed inderogabile. Così pronunciando la Corte altoatesina si è conformata alla consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., ad es., Cass. n. 2117/2004 e Cass. n. 9751/2010), secondo cui, in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati; tali deroghe, se concordate, sono invalide, nè – occorre aggiungere – tale invalidità può venire meno per l’avvenuto rilascio di concessione edilizia, poichè il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici.

Inoltre, il giudice di appello – ancorchè sul piano della mera completezza argomentativa – ha dato, altresì, conto della circostanza che nessuna delle parti aveva tematizzato – e dedotto ritualmente in giudizio – la questione sul se la normativa urbanistica applicabile al caso di specie ammettesse o meno il principio della prevenzione, ragion per cui, stante la novità della stessa, non poteva essere adottata alcuna pronuncia sul punto e, specificamente, sul se, in applicazione del suddetto principio, sarebbe potuta derivare la derogabilità convenzionale della disciplina urbanistica sulle distanze, con la conseguente conferma della statuizione generale di inderogabilità sulla scorta della ricordata giurisprudenza di questa Corte.

6. Anche la seconda censura è priva di fondamento giuridico e deve essere, perciò, disattesa.

Con essa, la ricorrente ha posto riferimento alla questione – peraltro già deducibile, “ratione temporis”, dinanzi alla Corte di appello – relativa al prospettato “ius superveniens” ricondotto al D.L. n. 69 del 2013, art. 30 (conv., con modif., dalla L. n. 98 del 2013), introduttivo del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 2-bis (T.U. sull’edilizia), con il quale è stato previsto di consentire alla Regione Trentino Alto-Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano di prevedere, con proprie leggi e regolamenti, deroghe alle disposizioni del D.M. n. 1448 del 1968.

Senonchè, deve osservarsi che – con tale innovativa sopravvenuta disposizione normativa – non risulta conferito un identico potere anche ai Comuni di detta Regione, e, peraltro, non bisogna trascurare che l’esercizio di tale potere derogatorio potrebbe avere effetto per il futuro ma non retroattivamente. Oltretutto, va rilevato che con il ricorso non risulta dedotto nè riscontrato che siano stati approvati provvedimenti normativi o regolamentari in attuazione del cit. D.P.R. n. 380 del 2001, nuovo art. 2-bis, tali da far caducare i limiti alle distanze tra edifici, evenienza questa che avrebbe potuto, eventualmente, incidere sull’art. 19 del piano regolare del Comune di Silandro.

7. Alla stregua delle complessive argomentazioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna, in virtù del principio della soccombenza, della società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

Va dato, infine, anche atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle stessa ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura del 15% sulle voci come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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