Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24924 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. II, 09/10/2018, (ud. 03/05/2018, dep. 09/10/2018), n.24924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20153/2014 R.G. proposto da:

D.F.A., quale erede di S.A., rappresentato e

difeso dall’Avv. Claudio de Filippi, con domicilio eletto in La

Spezia, Via Ferrari n. 4/2.

– ricorrente –

contro

B.B. e B.P., quali eredi di Sc.Ma.Ca.,

rappresentati e difesi dall’avv. Mario Scampelli e dall’avv. Paolo

Panariti, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via

Celimontana n. 38.

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 131/2014,

depositata in data 30.1.2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3.5.2018, dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata in data 29.3.2008, S.A. ha citato in giudizio Sc.Ma.Ca. dinanzi al tribunale di La Spezia, proponendo domanda di accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione di una servitù di passaggio su un cortile pertinenziale al fabbricato sito in (OMISSIS), in catasto al fl. (OMISSIS), part. (OMISSIS), chiedendo inoltre di essere autorizzata ad eseguire i lavori di ripristino del viottolo, con condanna della convenuta a contribuire alle spese e alla consegna delle chiavi del cancello apposto lungo il tracciato e al risarcimento del danno provocato dall’impossibilità di esercitare la servitù.

Il Tribunale ha dichiarato la sussistenza della servitù in favore dell’immobile di cui al fl. (OMISSIS), part. (OMISSIS), sub (OMISSIS) sulla corte pertinenziale al fabbricato in catasto al fl. (OMISSIS), part. (OMISSIS), compensando le spese legali.

Su appello principale della S. ed appello incidentale della Sc., la Corte distrettuale ha riformato parzialmente la prima decisione, stabilendo che la servitù, acquistata per usucapione, insisteva sul “viottolo formatosi dal calpestio del fondo della Sc. nel tratto che correva adiacente alla recinzione metallica sul lato est della corte stessa”; ha confermato nel resto la pronuncia impugnata e ha compensato integralmente le spese del secondo grado.

Per la cassazione di questa sentenza D.F.A., erede di S.A., deceduta in data (OMISSIS), ha proposto ricorso in due motivi, illustrati con memoria.

B.P. e B., eredi di Sc.Ma.Ca., deceduta in data (OMISSIS), resistono con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione a falsa applicazione degli artt. 1069 e 1067 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza negato il rimborso delle spese di ripristino del viottolo e la condanna alla consegna delle chiavi del cancello, non considerando che dette spese non erano ricollegabili al compimento di attività necessarie per conservare la servitù, ma erano state la conseguenza di una condotta illegittima della titolare del fondo servente, la quale aveva depositato materiali di risulta lungo il tracciato e aveva apposto un cancello che impediva il transito; che, quindi, la titolare del fondo dominante aveva titolo ad ottenere il risarcimento poichè il pieno godimento della servitù era stato ripristinato solo a seguito della proposizione della domanda.

Il motivo è infondato.

Premesso che gli artt. 1067 e 1069 c.c., contemplano rispettivamente – il divieto per i titolari dei fondi di aggravare o diminuire l’esercizio della servitù e le modalità con cui devono essere eseguite le opere sul fondo servente al fine di conservare l’esercizio della servitù nonchè il riparto delle relative spese, va osservato che la Corte distrettuale si è limitata a rilevare, con accertamento in fatto, che al momento del sopralluogo del consulente tecnico, questi non aveva riscontrato la presenza di ingombri e del cancello, ed ha quindi respinto il motivo di appello con cui era stata censurata la dichiarazione di cessazione della materia del contendere adottata dal tribunale, supponendo che eventuali ostacoli al libero esercizio della servitù fossero stati rimossi dalla Sc. prima dell’accesso ai luoghi di causa da parte del consulente.

Nel pronunciare sulle spese di causa il giudice d’appello ha inoltre rilevato che quest’ultima aveva ammesso nella comparsa di costituzione di primo grado che, in occasione dei lavori di ristrutturazione eseguiti presso la propria abitazione, aveva depositato materiali di risulta del cantiere e aveva collocato un cancello, sostenendo che tale condotta giustificasse la compensazione delle spese processuali, senza tuttavia affatto riconoscere la fondatezza della domanda proposta dalla S., la quale, peraltro, aveva chiesto di eseguire i lavori di ripristino del viottolo e di porre a carico della controparte l’obbligo di concorrere nelle spese in proporzione ai vantaggi arrecati dalle opere al fondo servente (cfr. sentenza, pag. 2), mentre la Corte di merito ha stabilito che era stata la Sc. a liberare spontaneamente il percorso e a sostenere eventuali spese (cfr., sentenza pag. 5).

Il ricorso non si confronta, quindi, con il reale contenuto della decisione, poichè la Corte distrettuale ha escluso la spettanza del rimborso per carenza di prova della sussistenza di impedimenti al libero esercizio del passaggio, non già applicando erroneamente gli artt. 1067 e 1069 c.c. (poichè non ha affatto asserito che le spese necessarie a ripristinare il libero esercizio del diritto di transito rientrassero tra quelle necessarie a conservare la servitù), nè tantomeno, negando che eventuali limitazioni subite dal titolare del fondo dominante integrassero un illecito dannoso.

2. Il secondo motivo censura la violazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza compensato le spese di lite, non considerando che la convenuta, pur avendo riconosciuto la sussistenza della servitù, ne aveva ostacolato l’esercizio, dando quindi causa al giudizio. A parere del ricorrente, la Corte distrettuale, dichiarata la cessazione del contendere, avrebbe dovuto porre le spese a carico della parte virtualmente soccombente, dato che il pieno godimento della servitù era stato ripristinato solo in corso di causa e che non sussistevano ragioni gravi ed eccezionali per disporre la compensazione.

Il motivo è infondato.

Il giudizio è stato proposto con citazione notificata in data 20.3.2008 e pertanto ricadeva nella previsione dell’art. 92 c.p.c., nella formulazione introdotta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2.

La compensazione poteva, quindi, esser disposta in caso di soccombenza reciproca o in presenza di altri giusti motivi, non trovando applicazione il testo risultante dalla modifica adottata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, operante solo per le cause proposte dopo il 4.7.2009 (Cass. 29.5.2015, n. 11284; Cass. 28.5.2015, n. 11130; Cass. 27.7.2012, n. 13460).

Occorre anche ribadire che la scelta di compensare le spese processuali è riservata al prudente apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità come vizio di motivazione nei limiti in cui ne è attualmente ammissibile lo scrutinio (Cass. s.u. 7.4.2014, n. 7083; Cass. 17.5.2012, n. 7763) o quando l’individuazione dei motivi di compensazione da parte del giudice si traduca nell’errata sussunzione di un dato comportamento nell’ambito dei giusti motivi contemplati dalla norma (cfr., in motivazione, Cass. s.u., 22.2.2012, n. 2572).

Nel caso in esame, la Corte distrettuale ha disposto la compensazione, considerando che sia l’appello principale che quello incidentale erano stati respinti ed inoltre rilevando che la Sc. aveva rimosso gli ingombri ed il cancello apposti lungo il tracciato prima del sopralluogo del consulente tecnico ed aveva, ancor prima del giudizio, manifestato la disponibilità a riconoscere l’intervenuta usucapione della servitù, senza ottenere risposta. Tale condotta, in quanto idonea ad escludere o attenuare significativamente le ragioni di conflitto tra le parti prima dell’instaurazione della lite, costituiva, difatti, un comportamento processuale di per sè idoneo a fondare la decisione sulle spese (Cass. 12.1.2012, n. 340; Cass. 28.1.2010, n. 1939).

Il ricorso è quindi respinto anche agli effetti delle spese del presente grado di legittimità.

Sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2500,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.

Si dà atto che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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