Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24920 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 06/12/2016, (ud. 23/11/2016, dep. 06/12/2016), n.24920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – rel. Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6283/2009 proposto da:

GESTOR SPA in persona dell’Amm.re Unico e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CICERONE 28, presso

lo studio dell’avvocato PIETRO DI BENEDETTO, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

STUDIO M. SNC, COSTRUZIONI L.M. E FIGLIO SNC, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA VIA FREGENE 13, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPINA D’ANGELO, rappresentati e difesi dall’avvocato ALFONSO

SALVATORE giusta delega in calce;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 74/2008 della COMM. TRIB. REG. di POTENZA,

depositata il 23/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Presidente e Relatore Dott. DOMENICO CHINDEMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DI BENEDETTO che si riporta al

contenuto del ricorso e ne chiede l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

Con sentenza n. 74/03/08, depositata il 23.6.2008 la Commissione Tributaria Regionale della Basilicata accoglieva l’appello proposto dalla società Costruzioni L.M. e Figlio s.n.c. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Potenza n. 217/02/2005, annullando l’avviso di accertamento Tosap, per gli anni 2002,2003, per l’occupazione di suolo pubblico.

Rilevava al riguardo la Commissione Tributaria Regionale come dagli elementi forniti dalle parti non fosse possibile ritenere provata la riconducibilità alle società appellanti della occupazione di suolo pubblico oggetto di accertamento, rilevando come i lavori erano stati affidati ad altre imprese.

La Gestor s.p.a. impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale assumendo preliminarmente la tempestività del ricorso ritenendo invalida la notifica della sentenza di appello, al fine del decorso del termine breve di impugnazione, effettuata nel domicilio eletto in grado di appello, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17,censurando la sentenza impugnata con un’unica censura.

La società intimata si è costituita con controricorso eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per il decorso del termine breve di impugnazione.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 8.1.2015, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La società intimata eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per cassazione per essere stato proposto oltre il termine breve dalla notifica della sentenza di appello, ritualmente effettuata in data 1.12.2008, mentre il ricorso è stato proposto con notifica in data 3.3.2009, oltre il termine di 60 gg. previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51.

Occorre preliminarmente, verificare la ritualità della notifica della sentenza di appello al fine di accertare la vigenza del termine breve per la notifica del ricorso in cassazione.

Nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie vanno applicate, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, le norme di tale decreto e, solo per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1 (articolo rubricato Luogo delle comunicazioni e notificazioni), prevede che “le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio” e la loro variazione ha effetto dalla notifica alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione al comma 2 statuisce che “l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo”.

Questa Corte, a Sezioni Unite, ha affermato che “per un verso non esistono ragioni normative che impongano di affermare che l’art. 17 cit. si riferisce esclusivamente alle notificazioni endoprocessuali, laddove, anzi, proprio la previsione secondo cui l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo (comma 2), nonchè esigenze di coerenza sistematica, inducono alla conclusione che la norma è applicabile, con carattere di specialità e quindi di prevalenza, anche alla notificazione del ricorso in appello (Cass. S.U. 15.12.2015 n. 14916) e, quale logica conseguenza, anche alla notifica della sentenza di appello con conseguente mancata applicazione al processo tributario, dell’art. 285 c.p.c., che dispone che, al fine della decorrenza del termine breve di impugnazione, la notificazione della sentenza debba essere eseguita con le modalità indicate dall’art. 170 c.p.c..

Nella fattispecie in esame la sentenza di secondo grado è stata notificata nel domicilio eletto dalla Gestor s.p.a. nella memoria di costituzione in appello (“(OMISSIS) sn”) senza che il procuratore di detta società abbia provveduto alla notifica della variazione di domicilio alla segreteria della commissione e alle parti costituite; la notificazione non è stata,quindi, ritualmente effettuata, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, nel domicilio originariamente eletto, ma a quello irritualmente indicato nella memoria di costituzione in appello, con conseguente nullità della notificazio9ne della sentenza e la sua inidoneità a far decorrere il termine breve di impugnazione, con conseguente ritualità della notifica del ricorso per cassazione nel termine lungo.

2. La ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, rilevando come soggetto passivo della Tosap sia la società intimata titolare dell’atto di concessione rilasciato dal Comune, operando in via sussidiaria il criterio dell’occupazione materiale solo in mancanza di un atto di assenso dell’occupazione del suolo pubblico da parte dell’Ente proprietario.

La questione controversa concerne la sussistenza della soggettività passiva in ordine all’obbligo di versamento della Tosap nel caso di rilascio a favore della società interessata degli atti di concessione da parte dell’Amministrazione a prescindere dalla effettiva occupazione del suolo e in presenza di contratti di appalto stipulati con terzi e relativi alla costruzione assentita da parte del Comune.

Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, individua il soggetto tenuto al versamento della tassa nel “titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione”.

Questa corte ha già affermato, con orientamento a cui si intende dare continuità, che “a norma del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, obbligato al pagamento della TOSAP è il titolare dell’atto di concessione o autorizzazione all’occupazione. L’affidamento in appalto dell’esecuzione dei lavori per i quali è stata chiesta l’autorizzazione e l’effettiva occupazione del suolo pubblico da parte dell’impresa appaltatrice non rilevano se non nel senso di una eventuale responsabilità solidale dell’impresa quale occupante di fatto (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9695 del 10/05/2005, cfr. Cass. 7.3.2005 n. 4896).

Rilievo decisivo va, quindi, attribuito alla sussistenza di un atto di concessione o di autorizzazione, venendo in rilievo l’occupazione di fatto soltanto quando sia constatato che l’occupazione del suolo sia avvenuta in assenza abitativo in via di mero fatto e, quindi abusivamente.

Va, conseguentemente accolto il ricorso, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di merito a seguito della già operata compensazione da parte delle CT, ponendosi a carico della intimata le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società.

Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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