Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24918 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 25/11/2011), n.24918

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.r.l. TRE EMME SMIMAT, con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Piazza Prati degli Strozzi n.

30 (int. 1) presso lo studio dell’avv. PARISELLA MASSIMO che la

rappresenta e difende in forza della “procura speciale” rilasciata in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(1) il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, e (2) l’AGENZIA delle DOGANE, in persona del

Direttore pro tempore, entrambi elettivamente domiciliati in Roma

alla Via dei Portoghesi n. 12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 156/02/05 depositata il 10 luglio 2006 dalla

Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (notificata il 3

ottobre 2006);

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 giugno 2011

dal Cons. dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese della ricorrente, perorate dall’avv. Massimo

PARISELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per la declaratoria di

inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato all’AGENZIA delle DOGANE ed al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, la s.r.l. TRE EMME SMIMAT – premesso che “con verbale” del 16 maggio 2001 la competente Circoscrizione Doganale aveva proceduto alla “revisione delle operazioni doganali di importazione” (“per un totale di otto bollette”) da essa compiute “quale rappresentante doganale e responsabile solidale” della “ditta American Import srl” perchè “le fatture inviate al controllo” (“intestate alle… ditte statunitensi: Casual Wear Inc.; California Attitude Inc.; American Clothing and Fashion Expansione Inc.”) dovevano ritenersi “false” essendo “le ditte… inesistenti” -, in forza di cinque motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 156/02/05 della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (depositata il 10 luglio 2006 e notificata il 3 ottobre 2006) che aveva disatteso il suo gravame avverso la decisione (479/09/03) della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna la quale aveva respinto il ricorso.

Il Ministero e l’Agenzia intimati, eccepita l’inammissibilità (per mancanza, “in tutti i mezzi…”, “della formulazione del quesito di diritto”) dello stesso, instavano per il rigetto dell’avverso gravame.

La società depositava “controdeduzioni al controricorso”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. La sentenza impugnata.

La Commissione Tributaria Regionale – premesso che “la società… ha impugnato, con il ricorso inviato per posta in data 31 gennaio 2003, oltre la cartella esattoriale, il precedente avviso di accertamento suppletivo e di rettifica n. 7867 notificatole il 29 aprile 2002” lamentando “la mancata notificazione sia del processo verbale di revisione dell’accertamento che del successivo avviso di accertamento” -, affermato di “condividere l’operato dei primi giudici” (“che hanno valutato ritualmente eseguita la notifica effettuata con raccomandata con ricevuta di ritorno, inviata alla sede legale della società ed il cui avviso di ricevimento risulta debitamente restituito al mittente”), ha disatteso l’impugnazione della contribuente ritenendo “l’operato della Dogana… ritualmente corretto e conforme alla norma” in quanto “il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5)” (“che disciplina, per quanto concerne i tributi doganali, la notifica al contribuente dell’avviso di accertamento suppletivo e di rettifica”) “dispone che qualora emergano, dalla revisione dell’accertamento, inesattezze, omissioni od errori relativi agli elementi presi a base dell’intervento, l’Ufficio possa provvedere alla rettifica dandone comunicazione all’interessato notificandogli apposito avviso”: per il giudice di appello, invero, “nel caso di specie non è espressamente previsto che la notifica sia eseguita secondo quanto stabilito dall’art. 137 c.p.c. e ss.” per cui, “in assenza di una disposizione espressa in materia doganale”, “può ritenersi corretta e ritualmente valida la notifica di un atto effettuata con l’invio di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno” (“confortano in tal senso norme dell’ordinamento doganale, tra le quali il D.M. n. 442 del 1988, art. 8, che dispone espressamente che l’Ufficio proceda a notificare a mezzo di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno”).

Per lo stesso giudice, poi, alla “riconosciuta… validità della notifica… consegue, inevitabilmente, l’inammissibilità del ricorso anche per quanto concerne la cartella esattoriale che risulta proposto in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3)” perchè “i vizi lamentati… non sono propri della cartella esattoriale impugnata, in quanto inerenti l’an ed il quantum del tributo, ma riguardano l’avviso di accertamento suppletivo e di rettifica ritualmente notificato e per il quale risulta decorso il termine per l’impugnazione”: “la suddetta cartella esattoriale poteva, infatti, essere impugnata esclusivamente per vizi propri e l’eventuale contestazione di altri vizi poteva essere fatta valere solo se gli atti prodromici non fossero stati notificati (ex pluribus Cassazione Sez. 5^, n. 6029 del 24 aprile 2002; Cass. n. 14624 del 10 novembre 2000; Cass. n. 14582 del 20 novembre 2002)”.

In conclusione, secondo la Commissione Tributaria Regionale, il ricorso di primo grado della contribuente è inammissibile essendo “ampiamente decorso”, al momento della sua proposizione, “il termine” (“sessanta giorni dalla data di notificazione del ruolo”) “per l’impugnazione previsto, a pena di decadenza, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21”: di conseguenza “ogni altra considerazione” è “assorbita” (per cui “la Commissione si esime dall’esaminare nel merito la controversia”).

p.2. Il ricorso della società.

Questa censura la decisione con cinque motivi.

A. Con il primo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, comma 5, della L. 20 novembre 1982, n. 890, e dell’art. 137 c.p.c. e ss.”, esponendo:

– “il termine notifica è talmente tecnico, ed universale, che è notorio che la sua disciplina è dettata solo dall’art. 131 c.p.c. e ss.”;

– “gli altri modi di notifica si pongono necessariamente come eccezione alla disciplina prevista dal codice di rito, e richiedono… una previsione ad hoc” (“il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60… disciplina espressamente le eccezioni all’art. 137 e ss…. adattandone la disciplina alle esigenze del rito tributario; e cosi anche il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, al comma 2, ribadisce che le notificazioni vanno eseguite ai sensi dell’art. 131 c.p.c. e ss., ma perchè nei commi successivi disciplina le eccezioni”);

– “Il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, non prevede alcuna eccezione alla disciplina generale in materia di notificazioni, di cui al codice di rito” “nulla viene aggiunto o specificato dal legislatore”;

questo, “quando… ritiene che non siano necessarie particolari garanzie, cosi come in materia di transito comunitario e restituzione all’esportazione, prevede espressamente che è sufficiente, ai fini della notifica, la lettera raccomandata con ricevuta di ritorno”).

Per la società, quindi, “la notifica è nulla” perchè “non è stata seguita la procedura prevista per legge”, e, di conseguenza, “non è stato instaurato il contraddittorio, con violazione dell’art. 24 Cost.”.

B. Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, commi 2 e 3, dell’art. 3 del Reg. CEE n. 1697/1979, trasfuso nell’art. 221 Reg.

CEE 2913/92, nonchè degli artt. 2935 e 2947 c.c.” costituiscono “ragioni di nullità dell’avviso di accertamento”.

C. Nella terza doglianza la contribuente afferma che “l’avviso di accertamento suppletivo e di rettifica è altresì nullo per essere stato emesso in violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.”, (dei quali denunzia, quindi, la “violazione e falsa applicazione”).

D. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione della L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 28, comma 1, lett. a)”, esponendo (in sintesi) che la “responsabilità… della rappresentanza nelle operazioni doganali” è “costruita in maniera forzata, al fine di rendere iniquamente responsabili il maggior numero di soggetti”.

E. In quinti (ultimo) luogo la contribuente eccepisce, con espresso “riferimento alle motivazioni” del “quarto motivo di ricorso”, l'”illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 40, e dell’art. 201, par. 3, parte prima, del CDC Reg. CEE n. 2913/1992, in relazione agli artt. 3 e 11 Cost.”.

p.3. Le ragioni della decisione.

Il ricorso, come peraltro eccepito anche dalle amministrazioni pubbliche, è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. – applicabile alla specie perchè con detto atto è stata impugnata una sentenza depositata il 10 luglio 2006, quindi dopo il giorno 2 marzo 2006 di entrata in vigore della stessa, introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, e prima del giorno 5 luglio 2009 data di decorrenza (per il quinto comma dell’art. 58 legge 18 giugno 2009 n. 69) dell’espressa abrogazione della stessa ad opera della medesima L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d), -, secondo cui “nei casi previsti dal’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”.

A. In ordine a tale disposizione, invero, “la giurisprudenza di questa corte ha ripetutamele affermato” (Cass., un., 20 maggio 2010 n. 12339, da cui gli excerpta, tra le innumeri):

– “non risponde alla prescrizione” della stessa “un ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che non postuli l’enunciazione, da parte del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato (Cass. n. 28280 del 2008)”;

– “detto quesito deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata, essendo perciò inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (sez. un. n. 26020 del 2008)”.

Il “quesito di diritto”, insomma, “deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, onde la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. n. 24339 del 2008); e lo stesso accade quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, il quesito si rivela inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, giacche manca di indicare qual sia l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Sez. un. n. 18759 del 2008)”.

La “funzione propria del quesito di diritto”, quindi (Cass., 3^, 10 aprile 2010 n. 8555), “è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamele compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 7 aprile 2009, n. 8463)”; il “quesito” previsto dall’art. 366 bis c.p.c., pertanto, “deve compendiare” (a) “la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito”, (b) “la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice” e (c) “la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso” con conseguente inammissibilità del “ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769)”.

Nella medesima decisione n. 12339/2010, poi, si è, altresì, precisato che “/’ identificazione della regula iuris postulata dal quesito di diritto di cui al citato art. 366 bis c.p.c., deve avvenire, nella parte apposita del ricorso a ciò deputata, attraverso espressioni specifiche che siano idonee ad evidenziarla, restando invece escluso che la questione possa risultare da un’operazione di interpretazione complessiva del ricorso stesso e quindi anche dell’esposizione del motivo (Cass. n. 16002 del 2007)”.

B. Nelle depositate “controdeduzioni al controricorso” la società – esposto che “non sono state elaborate formule sacramentali, o comunque vincolanti, cui il ricorrente debba necessariamente attenersi nella formulazione del quesito ex art. 366 bis c.p.c.” -, a contestazione dell’avversa “eccezione” (in senso atecnico, essendo l’eventuale inosservanza dell’art. 366 bis c.p.c. rilevabile ex officio da questo giudice di legittimità, perchè il rispetto della prescrizione è posto dalla norma a espressa “pena di inammissibilità” del ricorso o del motivo), sostiene di aver scelto di formulare (“formulando”) i “quesiti in forma assertiva”, precisando di aver “posto a conclusione del primo motivo” il “quesito… se l’Agenzia delle Dogane può notificare un avviso di accertamento a mezzo di semplice raccomandata A/R, quando le altre Agenzie non lo possono fare” laddove ha scritto (“ultime otto righe dello stesso”):

“la procedura obbligatoria, nel caso di notificazione a mezzo posta, non è stata rispettata dalla Dogana, perchè attuata a mezzo di una semplice raccomandata con ricevuta di ritorno, con il che la procedura di notifica non è stata seguita, e quindi la notifica dell’avviso di accertamento è nulla”.

Per la società, inoltre, “non può non trovare applicazione, anche a proposito della formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., il principio di autosufficienza già elaborato dalla Suprema Corte di Cassazione (… sentenza 13 ottobre 2006 n. 22934)”.

C. In via preliminare va escluso che – come ritenuto dalla ricorrente – l’osservanza del “principio di autosufficienza” del ricorso per cassazione (principio desumibile dall’art. 366 c.p.c, per il quale questo atto processuale “deve contenere in sè”, “a pena di inammissibilità”, “tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito”) possa integrare e/o sostituire quella della specifica previsione del successivo art. 366 bis in quanto la prima norma (presente del vigente codice di rito civile sin dall’entrata in vigore dello stesso) svolge la funzione (Cass., 3^, 10 marzo 2011 n. 5700, tra le recenti, che richiama “Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845”), di consentire a questo giudice di legittimità la “valutazione della fondatezza” delle “ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito…, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito”, quindi una funzione del tutto diversa da quella della seconda, quale illustrata al punto A di questo.

La tesi, peraltro, non trova nessun conforto nemmeno nella decisione (richiamata dalla contribuente) di questa sezione n. 22934 depositata il 13 ottobre 2006 essendo stata la stessa resa su impugnazione della “sentenza n. 88/66/01 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 21 maggio 2001”, quindi su ricorso per cassazione non regolato anche dall’art. 366 bis detto perchè la sentenza del giudice tributario di appello era stata ivi depositata prima dell’entrata in vigore della stessa.

D. L’anticipata inammissibilità del ricorso discende dall’oggettivo riscontro della mancanza materiale del “quesito di diritto” (richiesto, a espressa “pena” di tale sanzione processuale, dal ripetuto art. 366 bis c.p.c.) non rinvenendosi in tale atto processuale nessuna “parte apposita…a ciò deputata”.

In particolare va evidenziato che siffatta “parte apposita”, diversamente da quanto sostenuto dalla contribuente nelle “controdeduzioni al controricorso” depositate dalla stessa, non è rinvenibile nemmeno nelle “ultime otto righe” del primo motivo di ricorso atteso che le espressioni riportate in tali “righe” sono attribuite, giusta il loro soggetto sintattico e logico, all'”Ufficio doganale” (o alla “Dogana”); nelle “ultime otto righe” in questioni, infatti, è scritto (testualmente):

“L’Ufficio doganale, ora ci viene a dire che tale procedura obbligatoria, nel caso di notificazione a mezzo posta, non è stata rispettata, perchè questa è stata attuata a mezzo di una semplice raccomandata con ricevuta di ritorno. Con il che la Dogana candidamente ci confessa che la procedura di notifica non è stata seguita, e quindi la notifica è nulla. Pertanto, essendo nulla la notifica dell’avviso di accertamento, viene meno il fondamento della richiesta di cui alla cartella di pagamento che, priva di titolo, va dichiarata anch’essa emessa in violazione di legge e dunque nulla ed inefficace”.

In tale frase (unica indicata dalla stessa ricorrente per affermare l’osservanza, in “forma” definita “assertiva”, del disposto dell’art. 366 bis c.p.c.), all’evidenza, non si rinviene nessuna enunciazione nè del principio di diritto applicato dal giudice di appello (“nel caso… non è espressamente previsto che la notifica sia eseguita secondo quanto stabilito dall’art. 131 c.p.c. e successivi” per cui, “in assenza di una disposizione espressa in materia doganale”, “può ritenersi corretta e ritualmente valida la notifica di un atto effettuata con l’invio di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno”) – principio costituente l’indefettibile referente giuridico di riscontro dell’inerenza del “quesito” – nè, soprattutto, della diversa “regula iuris” che la parte (in base ad aderente, acconcio richiamo normativo, peraltro nel caso del tutto mancante), ritiene corretta: nelle frasi riportate, infatti, la contribuente, quand’anche per asserita voce dell'”Ufficio doganale”, da per certo (quindi per indiscusso ed indiscutibile) quello che, invece, è il vero problema giuridico posto dalla fattispecie, ovverosia stabilire se con l’inciso del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, comma 5, “ne da comunicazione all’operatore interessato, notificando apposito avviso” il legislatore abbia inteso riferirsi alle modalità di notifica previste e regolate dal vigente codice di procedura civile (art. 137 e ss.) o se la norma consenta di ritenere adempiuto l’obbligo quante volte l'”avviso” (contenente la “comunicazione” delle “inesattezze”, delle “omissioni” e degli “errori” emersi dalla “rettifica”), tenuto conto dello scopo dell’atto (desumibile dal successivo settimo comma: ” la rettifica può essere contestata dall’operatore entro trenta giorni dalla data di notifica dell’avviso”), sia comunque portato a conoscenza del contribuente con mezzi (quindi anche utilizzando quello della raccomandata postale con avviso di ricevimento, come possibile in sede di processo tributario a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 3, per il quale “le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto”) che garantiscono l’arrivo dello stesso nella sfera giuridica di conoscenza del destinatario.

p.4. Delle spese processuali.

Per la sua totale soccombenza la società, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere all’Agenzia le spese del giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe professionali forensi, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società a rifondere alle amministrazioni pubbliche le spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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