Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24917 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 25/11/2011), n.24917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n.

12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

(1) la s.r.l. MECALL, con sede in (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore; (2) G.M.

G., (3) G.M. e (4) G.F. (eredi di G.

S., deceduto il (OMISSIS); residenti in

(OMISSIS)), tutti elettivamente domiciliati in Roma alla

Via S. Tommaso d’Aquino n. 73 presso lo studio dell’avv. LACAGNINA

Mario che li rappresenta e difende, insieme con gli avv. Roberto

DIENA e Vincenzo MERLI (del Foro di Milano) in forza della “procura”

rilasciata a margine della seconda pagina del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4031/05 depositata il 9 novembre 2005 dal

Tribunale di Genova.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 giugno 2011

dal Cons. Dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese dei controricorrenti, perorate dall’avv. Mario

LACAGNINA);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.

SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla s.r.l. MECALL e a G.S., il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE – premesso che: (2) con “verbale di accertamento … notificato in data 11 giugno 2003 …

veniva contestato che in data 23 dicembre 2000 MECALL srl, per il tramite di STS srl, quale rappresentante indiretta”, “in violazione del D.L. n. 220 del 1990, art. 1”, “avrebbe presentato per l’esportazione definitiva con destinazione Iraq una partita di merce” (“dispositivi generatori di raggi X”) “senza autorizzazione all’esportazione” (essendo “scaduta in data 2 ottobre 2000″ l'”unica autorizzazione all’esportazione esibita”, “senza che fosse stata concessa alcuna proroga”); (2) sulla base di detto verbale, con suo “decreto dirigenziale” emesso “in data 26 luglio 2004” (“notificato in data 6 settembre 2004”), “si infliggeva” alla società ed al G. (“legale rappresentante” della stessa), “in solido tra loro”, la “sanzione amministrativa pecuniaria … per la ritenuta violazione dell’art. 1” detto, “secondo quanto previsto dall’art. 3 del medesimo D.L.”, ” “per aver esportato in Iraq, senza la prescritta autorizzazione, un quantitativo di merce…”” -, in forza di un solo motivo, chiedeva di cassare la sentenza n. 4031/05 del Tribunale di Genova (depositata il 9 novembre 2005) che, dichiarati assorbiti gli altri, aveva accolto il terzo dei cinque motivi di opposizione proposti dagli ingiunti.

La società intimata nonchè G.M.G., G.M. e G.F. (eredi di G.S., deceduto dopo il deposito della sentenza impugnata) instavano per il rigetto dell’avverso gravame.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. La sentenza impugnata.

Il Tribunale – esposto (a) che “secondo parte ricorrente la normativa sanzionatoria … non troverebbe applicazione nel caso di specie, in quanto non vieterebbe le esportazioni di beni verso l’Iraq, ma si limiterebbe a vietare le transazioni aventi ad oggetto beni già appartenenti a soggetti o enti iracheni” e (b) che “secondo parte resistente, al contrario, la normativa in commento è applicabile al caso di specie, in quanto la finalità sottesa alla norma è quella di congelare qualunque forma di relazione economica da e per l’Iraq (c.d. Embargo economico) e sarebbe frustrata ove venisse interpretata in maniera “restrittiva”, con riferimento alle transazioni aventi ad oggetto i soli beni già appartenenti alla Repubblica irachena” – ha accolto l’opposizione (L. n. 689 del 1981, ex art. 22) proposta dalla società e dal G. ritenendo “corretta” la “tesi di parte ricorrente” (“norma riferibile alle sole transazioni aventi ad oggetto beni già appartenenti alla Repubblica Irachena”) essendo tale “interpretazione … l’unica possibile se si considera che pressappoco nello stesso periodo in cui è stato emanato il decreto legge … datato 6 agosto 1990 ed intitolato “misure urgenti relative ai beni della Repubblica Irachena”, veniva emanato un altro decreto legge, datato 23 agosto 1990 n. 247 (convertito con modificazioni dalla L. n. 298/90), intitolato “provvedimenti urgenti in ordine alla situazione determinatasi nel Golfo Persico”, il cui art. 1 cosi recitava: “ai cittadini italiani, ovunque si trovino, nonchè ai cittadini stranieri aventi residenza, domicilio o dimora in Italia, è vietata ogni attività intesa, anche indirettamente, a promuovere, a favorire o a realizzare vendite o forniture, esportazioni o trasporto di beni di qualsivoglia genere verso il Kuwait e l’Iraq o da tali stati provenienti”.

Secondo il giudice a quo:

– “è evidente, in base ad interpretazione letterale della norma sopraccitata, che con l’emanazione del D.L. n. 247 si è voluto vietare l’esportazione di beni in Iraq ed attuare quello che comunemente viene detto embargo economico” per cui, “in presenza di un decreto legge avente espressamente ad oggetto il divieto di esportazione di beni in Iraq”, “viene meno la tesi di parte resistente in base alla quale la ratio del D.L. n. 220 del 1990, art. 1, era quella di vietare in generale tutte le transazioni di beni da e per l’Iraq, altrimenti non si vede per quale motivo dopo pochi giorni dall’emanazione del D.L. n. 220 del 1990, il Governo Italiano abbia sentito la necessità di emanare il D.L. n. 247 del 1990”;

“l’ionica spiegazione possibile, a meno di non voler concludere che il legislatore abbia creato una norma inutile, è quella di ritenere che il D.L. n. 220 del 1990, art. 1, vietasse le sole transazioni aventi oggetto beni “già” appartenenti a soggetti iracheni, mentre l’art. 1 del successivo D.L. n. 247 del 1990 ha introdotto il divieto di esportazione di beni in Iraq o dall’Iraq, indipendentemente dalla loro appartenenza”;

– “tale interpretazione “restrittiva” del D.L. n. 220 del 1990, art. 1, limitata alle transazioni aventi ad oggetto beni già appartenenti all’Iraq, risulta confermata dal “preambolo” del decreto legge in commento, dove espressamente si legge che la finalità della norma era quella di “congelare i beni iracheni nel territorio degli stati membri”;

– “il D.L. n. 220 del 1990, art. 1 non è pertanto applicabile al caso di specie, in quanto sancisce un divieto diverso rispetto alla violazione contestata al ricorrente, che, come si legge sia nel provvedimento impugnato, sia nel processo verbale di contestazione della violazione del 6 giugno 2003, è di aver esportato merci verso l’Iraq senza essere in possesso di valida autorizzazione all’esportazione”.

Per lo stesso giudice, inoltre, l'”applicazione nel caso di specie” del D.L. n. 220 del 1990, art. 1″ non trova applicazione neppure “in base all’art. 1510 c.c.” (per il quale “la proprietà delle cose esportate era già stata trasferita al destinatario della spedizione con la consegna della merce al vettore e quindi si trattava di beni già appartenenti alla Repubblica Irachena”) perchè “il D.L. n. 220 del 1990, avendo lo scopo di “congelare i beni iracheni nel territorio degli Stati membri” vietava le transazioni aventi ad oggetto unicamente i beni già appartenenti all’Iraq alla data dell’emanazione del decreto in questione (6 agosto 1990) e conseguentemente non può trovare applicazione nel caso di specie, in quanto la consegna della merce al vettore e il conseguente trasferimento di proprietà della stessa è avvenuto in epoca successiva all’emanazione del summenzionato decreto”.

p. 2. Il ricorso del Ministero.

Questi denunzia “violazione e falsa applicazione del D.L. 6 agosto 1990, n. 220, art. 1, convertito in L. 5 ottobre 1990, n. 278” esponendo:

– “la norma”, poichè “consente (contempla?) l’appartenenza dei beni anche ad intermediari”, “consente di porre l’accento sul luogo di destinazione dei beni (Iraq)” di tal che è questo “luogo … a connotare il regime giuridico di detti beni”: i “divieti”, infatti, “sono imposti a tutti i soggetti che anche indirettamente prendono parte agli atti per i quali sussiste il divieto”;

– “l’autorizzazione” (rectius: parere favorevole …) espressa dal Comitato N.U. istituito ai sensi della risoluzione N.U. 661/90, riporta quale termine della sua validità la data del 2 ottobre 2000″ per cui “l’operazione” non “era autorizzata” perchè l'”autorizzazione del primo agosto 2000 rilasciata dal Ministero italiano … riporta come data di scadenza la medesima data dell’atto del Comitato delle N.U.”.

p. 3. Le osservazioni dei controricorrenti.

La società e gli eredi di G.S. – esposto aver eccepito che “il fatto, oggetto dell’incolpazione …, doveva ritenersi insussistente, siccome non corrispondente a quello descritto …

nella norma” (“D.L. n. 220 del 1990, art. 1”) – affermano non potersi (“non si può”) “sostenere che l’esportazione di beni verso l’Iraq sia vietata dal D.L. n. 220 del 1990, art. 1, perchè … lo vieta l’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale” (“principio generale dell’interpretazione”: “letteralità”): “la lettera del D.L. n. 220 del 1990, art. 1 è ben chiara, così come altrettanto chiara è quella del D.L. n. 247 del 1990, art. 1”; “ben diverse” sono “anche … le intenzioni del legislatore” quali desumibili dal “Preambolo del D.L. n. 220 del 1990” (“congelare i beni iracheni nel territorio degli stati membri”) e da quello del “D.L. n. 247 del 1990” (“necessità di adeguarsi alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 661/1990 e del … Regolamento CEE n. 2340/90, … norme … che decisero l'”embargo” contro l’Iraq”: “questo fu …

attuato nel nostro ordinamento solo con il D.L. n. 247 del 1990”);

“quindi: norme diverse, fattispecie diverse, ratio legis diversa”.

p. 4. Le ragioni della decisione.

Il ricorso deve essere accolto.

A. Il D.L. 6 agosto 1990, n. 220, art. 1 (convertito in L. 5 ottobre 1990, n. 278, recante “misure urgenti relative ai beni della Repubblica dell’Iraq”) vieta (“sono vietati”) “gli atti di disposizione e le transazioni, a qualsiasi titolo effettuati, concernenti beni mobili anche immateriali, beni immobili, aziende o altre universalità di beni, valori o titoli di natura finanziaria o valutaria comunque denominati, allorchè detti beni, valori o titoli appartengano, anche tramite intermediati, alla Repubblica dell’Iraq o a qualsiasi soggetto, agenzia, ente od organismo partecipato, controllato o diretto dalla Repubblica dell’Iraq medesima”.

Per il primo comma dell’art. 3 del medesimo provvedimento, poi;

(1) “i soggetti che, anche indirettamente, prendono parte agli atti per i quali sussiste il divieto di cui all’art. 1 sono civilmente responsabili dei danni derivanti dal compimento degli atti nulli” e;

(2) “si applica altresì nei loro confronti la sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma di danaro non inferiore alla metà dei valore dell’operazione e non superiore al valore medesimo”.

Dal chiaro ed univoco tenore testuale delle riprodotte disposizioni- inteso (come ovvio) alla luce del principio generale posto dall’art. 11 delle c.d. “preleggi” (“la legge non dispone che per l’avvenire”, quindi necessariamente anche “per l’avvenire”) e dalla considerazione della finalità (“congelare i beni iracheni nel territorio degli Stati membri” i n esecuzione ed ottemperanza della “dichiarazione sulla invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, resa il 4 agosto 1990 dalla Comunità economica europea e dai suoi Stati membri”), dichiarata nel “preambolo”, perseguite dalla norma – si evince l’erroneità della tesi, sostenuta (ancora con il controricorso) dalle parti private e condivisa dal giudice a quo, perchè la stessa falsa completamente il senso letterale e l’evidenziato scopo della norma, alla quale, peraltro aggiunge (onde rendere plausibile l’operazione ermeneutica seguita) un avverbio temporale (“già”) che non si ritrova affatto nel testo normativo e che finisce per limitare, contra ius, l’oggetto dell’intervento legislativo alle sole situazioni giuridiche anteriori all’entrata in vigore della norma, quasi che la dichiarata necessità di “congelamento” dei “beni iracheni nel territorio degli Stati membri” (all’evidente fine di impedire il loro uso, anche quale strumento indiretto di sostegno bellico, oltre che di indebolimento e di coazione economica) fosse esclusiva soltanto dei beni che erano “iracheni” al momento dell’emanazione della norma e non anche (ex art. 11 cit.) di quelli che lo sarebbero diventati in futuro, cioè nel suo vigore.

L’errore che inficia la sentenza impugnata consiste nell’avere fermato l’attenzione sul verbo “appartengano”, senza considerare che, essendo oggetto della disposizione il divieto (“sono vietati”) degli “atti di disposizione” e delle “transazioni” posto nell’incipit del dato normativo, quel divieto, tenuto conto delle finalità perseguite, ha senso compiuto unicamente se e perchè riferito (come, peraltro, impone l’art. 11 preleggi) agli atti compiuti ed alle transazioni poste in essere sotto il vigore della norma, di tal che il momento significativo (ai fini del sorgere del fatto vietato) di determinazione dell’appartenenza (“appartengano”) deve essere individuato in quello di compimento degli “atti di disposizione” e delle “transazioni”: il divieto, conseguentemente, colpisce tutte le operazioni previste dalla norma, compiute nel suo vigore, che abbiano ad oggetto “beni” da considerare iracheni in quel momento, a prescindere dal momento di acquisto (eventualmente) anteriore all’entrata in vigore del divieto.

B. Nessun conforto alla tesi qui contrastata deriva, poi, dal D.L. 23 agosto 1990, n. 247, art. 1 (convertito, con modificazioni, in L. 19 ottobre 1990, n. 298, recante “provvedimenti urgenti in ordine alla situazione determinatasi nel Golfo Persico”, per il cui comma 1 “ai cittadini italiani ovunque si trovino, nonchè ai cittadini stranieri aventi residenza, domicilio o dimora in Italia, è vietata ogni attività intesa, anche indirettamente, a promuovere, a favorire o a realizzare vendite o forniture, esportazioni o trasporto di beni di qualsivoglia genere verso il Kuwait e l’Iraq o da tali Stati provenienti” (a norma della L. 19 luglio 1991, n. 224, art. 1, a decorrere dal 2 marzo 1991 è revocato il divieto di cui al presente decreto, limitatamente ai rapporti con il Kuwait).

Questa disposizione, infatti, diversamente da quanto affermato dal tribunale, non è “inutile” ove si attribuisca alla precedente, come naturaliter (giusta le considerazioni svolte innanzi), effetti (anche) per i beni divenuti di pertinenza dell’Iraq successivamente alla entrata in vigore del D.L. n. 220 del 1990, perchè la stessa amplia (e tanto costituisce intuibile, ovvio “motivo” della necessità del “successivo intervento”), soggettivamente ed oggettivamente, la portata complessiva del precedente provvedimento restrittivo della “circolazione” (giuridica e, quindi, economica) dei “beni iracheni” in quanto (a) dichiara destinatari del divieto tutti i “cittadini italiani ovunque si trovino” (quindi non solo gli operanti nel territorio nazionale ma anche quelli che operino all’estero) e (b) include nel divieto “ogni attività intesa, anche indirettamente, a promuovere, a favorire o a realizzare vendite o forniture, esportazioni o trasporto di beni di qualsivoglia genere verso … l’Iraq” o proveniente da tale Stato, nonchè (comma 2 dello stesso art. 1) quello “di effettuare trasferimenti di fondi destinati, anche indirettamente, ad enti o persone in… Iraq”.

C. Il Tribunale, con i controricorrenti, inoltre ed infine, non considera che il D.L. n. 240 del 1990, art. 1, “per quanto concerne i cittadini italiani”, al comma 3 (1) ha esteso “i divieti di cui… al D.L. 6 agosto 1990, n. 220, art. 1 … anche se le attività ivi menzionate sono compiute in territorio estero” e (2) al comma 4 ha disposto che “a; contravventori ai divieti di cui ai commi 1 e 2 si applicano le sanzioni di cui al D.L. 4 agosto 1990, n. 216, artt. 2 e 3 e D.L. 6 agosto 1990, n. 220”: il rinvio, quoad poenam, agli “D.L. 4 agosto 1990, n. 216, artt. 2 e 3 e D.L. 6 agosto 1990, n. 220″ rende evidente la necessità di una interpretazione unitaria del complessivo tessuto normativo regolatore dell'”embargo” (quale risultato, quindi, da tutte le afferenti norme) e, soprattutto (per quanto qui interessa), la soggezione ai divieti, per l’intera durata dello stesso, di tutte le “attività” oggetto dell’embargo, a prescindere dalla collocazione, in epoca anteriore o posteriore all’entrata in vigore delle singole disposizioni, del momento di acquisto dell'”appartenza” del bene oggetto del divieto.

D. In definitiva, dalle considerazioni svolte discende il principio di diritto (peraltro sostanzialmente già affermato da questa sezione nella decisione presa all’udienza del 13 aprile 2011, depositata il 30 giugno 2011 con il n. 14377, nei confronti della “srl STS”, “rappresentante indiretto” della srl MECALL, concernente la stessa vicenda economica) secondo cui il divieto (“sono vietati”) posto dal D.L. 6 agosto 1990, n. 220, art. 1 (convertito in L. 5 ottobre 1990, n. 278) comprende tutti i “beni, valori o titoli” (e, per effetto, del D.L. 23 agosto 1990, n. 247, art. 1, comma 3, convertito, con modificazioni, in L. 19 ottobre 1990, n. 298, “anche … le attività ivi menzionate … compiute in territorio estero”) che, nel periodo di vigore della norma “appartengano” (“anche tramite intermediari”) “alla Repubblica dell’Iraq” (“o a qualsiasi soggetto, agenzia, ente od organismo partecipato, controllato o diretto dalla Repubblica dell’Iraq medesima”), indipendentemente, quindi, dal momento (anteriore o posteriore all’entrata in vigore di quello specifico divieto), giuridicamente rilevante, di acquisizione dell’appartenenza di quei “beni, valori o titoli” da parte di uno dei soggetti detti, ritenuti, jure et de jure, comunque riferibili alla “Repubblica dell’Iraq”.

p. 5. Provvedimenti conclusivi.

La sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata perchè fondata su di una ermeneusì legislativa erronea; la causa, siccome bisognevole dei conferenti ulteriori accertamenti fattuali, deve essere rinviata allo stesso giudice perchè, in diversa composizione, (1) riesamini la controversia (a) facendo applicazione del principio innanzi enunciato e, in accertata persistenza della loro pendenza, (b) scrutinando i motivi di doglianza ritenuti assorbiti nella sentenza annullata, nonchè (2) provveda anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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