Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24915 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. II, 06/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 06/11/2020), n.24915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21161-2019 proposto da:

I.F., elettivamente domiciliato in Foggia via Da Zara n.

3, presso lo studio dell’avv.to VITTORIO SANNONER, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO TRIBUNALE BARI, PROCURA GENERALE

PRESSO CORTE D’APPELLO BARI, PROCURA GENERALE PRESSO CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimate –

avverso la sentenza n. 639/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 13/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’Appello di Bari, con sentenza pubblicata il 13 marzo 2019, respingeva il ricorso proposto da I.F., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Bari aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. La Corte d’Appello confermava il giudizio di non credibilità del racconto del richiedente che aveva riferito di essere perseguitato dalla setta degli (OMISSIS) e di essere (OMISSIS), e poi (OMISSIS) e di avere timore di essere ucciso.

La Corte d’Appello di Bari rilevava che la vicenda narrata dal richiedente era priva di riferimenti fattuali credibili, così fortemente contraddittoria ed inverosimile da non poter essere ritenuta veritiera.

La non credibilità del racconto determinava il rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Non ricorrevano i presupposti neanche della protezione di cui al successivo citato art. 14, lett. c), non risultando dalla consultazione delle fonti ufficiali, che l’area della (OMISSIS) di provenienza del ricorrente fosse soggetta a una violenza generalizzata.

Anche il permesso di soggiorno per motivi umanitari doveva essere negato non risultando allegata, prima ancora che provata, alcuna vicenda dalla quale desumere una particolare vulnerabilità dell’istante in ipotesi di ritorno al paese di origine, dove peraltro il richiedente conservava un solido riferimento familiare. Non vi era alcuna situazione di integrazione sul territorio italiano e, dunque, la stessa mancanza di allegazione in fatto precludeva la valutazione della sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3. I.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

La censura attiene alla non applicazione del principio dell’onere probatorio attenuato nel ritenere non credibile il racconto del richiedente senza attivazione del dovere di cooperazione istruttoria con riferimento alle fonti ufficiali non correttamente valutate da parte della corte d’appello. Il ricorrente riporta in particolare il rapporto di amnesty international da cui ricava un’insicurezza generalizzata sull’intero territorio (OMISSIS).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 e art. 14, lett. c).

La censura riguarda la ritenuta insussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata. Al contrario in (OMISSIS) la situazione è caratterizzata dall’esistenza generalizzata di aspri e violenti conflitti di carattere etnico religioso, in continua evoluzione e diffusi in tutto il territorio nazionale. Al fine di escludere la protezione sussidiaria nell’ipotesi sub c) sono necessarie due condizioni: una oggettiva riguardante l’area di appartenenza o l’intero paese, l’altra soggettiva riguardante la condizione personale. A parere del ricorrente l’esame della situazione oggettiva da parte della Corte d’Appello non sarebbe stato effettuato in modo sufficientemente adeguato. Sarebbe mancato l’esame rigoroso dell’intervento dell’autorità statuale della (OMISSIS) sulla situazione di violenza diffusa a fronte di una incontestata situazione di violenza indiscriminata in diverse aree. In particolare, sarebbe stata omessa la valorizzazione delle risultanze probatorie di cui al rapporto annuale di Amnesty International. Questi stessi elementi avrebbero dovuto essere valorizzati in relazione alla situazione di vulnerabilità del richiedente.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 6.

Anche in questo caso il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello sia venuta meno ai poteri istruttori ufficiosi non avendo valorizzato il rapporto di Amnesty International in relazione all’endemica violenza che caratterizza la (OMISSIS) e al mancato contrasto della stessa da parte dei poteri statuali. Sarebbe quindi sussistente quella situazione di vulnerabilità come riferita dal richiedente che teme per la propria vita.

4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

In particolare, quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che la Corte d’Appello ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

La Corte d’Appello ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva della (OMISSIS), sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Il ricorrente, inoltre, afferma che le fonti internazionali provano una situazione di grave instabilità del paese e di violenza indiscriminata e, di conseguenza, anche una situazione di vulnerabilità oggettiva del richiedente.

La Corte d’Appello ha ampiamente citato le medesime fonti internazionali indicate dal ricorrente, traendone la conclusione che la (OMISSIS) non presenta una situazione tale da determinare una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese, anche in relazione alla vicenda personale narrata.

Deve ribadirsi che: “In tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5″ (Cass. ord. 30105 del 2018).

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso, anche alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono la stessa allegazione di una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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