Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24914 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. II, 06/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 06/11/2020), n.24914

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19458-2019 proposto da:

E.B.A.E.H., elettivamente domiciliato in Moncaliere

(To) via vittime di Bologna n. 3 presso lo studio dell’avv.to

ROBERTO FRANCESCO ROTELLA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 4/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 02/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza pubblicata il 2 gennaio 2019, respingeva il ricorso proposto da E.B.H., cittadino egiziano, avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Lecce aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. L’unico motivo di impugnazione riguardava l’erroneità della decisione del tribunale che non aveva sufficientemente valutato il dato pacifico circa la violazione dei diritti umani da parte delle autorità egiziane come risultante da fonti internazionali.

La Corte d’Appello rilevava che il richiedente aveva riferito di essersi allontanato dal proprio paese in quanto, dopo aver prestato del denaro ad un suo collega di lavoro, a fronte del rifiuto di restituirlo, questi aveva offeso i suoi familiari e si era recato da lui con un bastone, minacciandolo e cercando di colpirlo. Egli nel difendersi aveva colpito l’aggressore con un pezzo di ferro provocandone la morte. I parenti del defunto lo ricercavano per ucciderlo ed egli, sentendosi minacciato, aveva deciso di fuggire.

Secondo la Corte d’Appello i fatti narrati, a prescindere dalla loro credibilità, non integravano i presupposti per la protezione sussidiaria; in quanto non risultava in alcun modo che l’appellante fosse stato incriminato o corresse il rischio di una condanna alla pena di morte, egli inoltre, poteva rivolgersi all’autorità statale per difendersi dai suoi aggressori e far valere la sua innocenza, essendosi trattata di una reazione di difesa ad un’aggressione.

Non vi era dunque la possibilità di configurare il grave danno così come la minaccia non aveva causa da una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto interno internazionale. La Corte d’Appello confermava anche il rigetto della protezione umanitaria non ravvisandosi una situazione di particolare specifica vulnerabilità del richiedente e non essendo, a tal fine,sufficiente la circostanza che egli avesse trovato un’occupazione lavorativa.

3. E.B.A.H. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di un motivo di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. L’unico motivo di ricorso è così rubricato: omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare che l’Egitto è un paese che non garantisce la libertà dei diritti civili e politici, dove il sistema giuridico si basa sui sistemi inglese, islamico e napoleonico, dove esiste la pena di morte applicabile ad oltre quaranta reati. Le sentenze capitali devono essere preliminarmente sottoposte, per un parere non vincolante al massimo leader religioso del paese. Dopo l’attentato a Sadat del 1981 sono stati limitati drasticamente i diritti e le libertà individuali e sono stati migliai i terroristi fratelli musulmani giustiziati.

1.1 Il ricorso è inammissibile.

L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, prescrive a pena di inammissibilità che il ricorso per cassazione debba essere corredato dall’esposizione “sommaria” dei fatti di causa.

Si tratta, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dei fatti della controversia, sia sostanziali sia processuali, i quali vanno esposti, peraltro, solo in quanto rilevanti per la decisione di legittimità e, in ogni caso, in modo sommario, ossia riassuntivo. Vanno narrate, cioè, ma con adeguata sintesi, le domande introduttive, le vicende del giudizio di merito: il tutto, quale premessa per l’esposizione dei motivi del ricorso. Il citato art. 366 c.p.c. è difatti posto a tutela dell’imprescindibile esigenza di chiarezza espositiva e completezza del ricorso, che deve contenere quanto occorre al giudice di legittimità per comprendere la questione di diritto portata al suo esame.

Di recente questa Corte ha ribadito che “per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3 non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso, ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi”.

Nella specie l’esposizione sommaria dei fatti da un lato manca del tutto come parte autonoma del ricorso e dall’altro non è ricavabile neanche dall’unico motivo di ricorso che non contiene tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate.

Peraltro, vi è un ulteriore motivo di inammissibilità in quanto l’unico motivo di ricorso svolto dal ricorrente è del tutto generico e fa riferimento unicamente all’esistenza in Egitto della pena capitale, senza tener in alcuna considerazione la motivazione svolta dalla Corte d’Appello circa il fatto che il racconto del richiedente non riportava alcuna condizione di pericolo, avendo questi agito per legittima difesa, e potendo rivolgersi all’autorità di polizia o all’autorità giudiziaria.

2. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo svolto effettiva attività difensiva il Ministero intimato.

3. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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