Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24913 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. II, 06/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 06/11/2020), n.24913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20537-2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in Albano LAziale (RM) Corso

Matteotti n. 149, presso lo studio dell’avv.to ROBERTA ROSATELLI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 28/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Lecce, con decreto pubblicato il 28 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da C.M., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale riteneva non necessario procedere all’audizione del richiedente formulata senza indicare alcuno specifico aspetto meritevole di essere chiarito mediante l’ascolto diretto rispetto a quanto dichiarato dinanzi la commissione territoriale.

Il richiedente aveva riferito di essere scappato dal (OMISSIS) perchè, dopo la morte dei genitori, era stato perseguitato dallo zio che lo faceva lavorare anche quando non era in condizione di farlo.

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto i fatti narrati dal richiedente oltre a non essere credibili i, non attenevano a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale. Il tribunale rigettava anche la domanda di protezione sussidiaria atteso che il racconto del richiedente non era credibile. In particolare, la vicenda presentava elementi di forte contraddittorietà e molteplici lacune. Inoltre, anche a prescindere dalla credibilità del racconto, i fatti narrati non rappresentavano una delle situazioni riconducibili alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Peraltro, l’inattendibilità del racconto effettuato dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in assenza di ulteriori riscontri probatori, rendeva non accoglibilit l’istanza di protezione non sussistendo elementi sui quali concretamente basare una decisione in senso positivo.

Quanto alla protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), doveva evidenziarsi che mancavano i presupposti connessi alla situazione di conflitto o instabilità interna e in ogni caso la situazione generale del paese non si presentava quale situazione di violenza indiscriminata come risultante dalle fonti internazionali.

Con riferimento alla protezione umanitaria il Tribunale evidenziava che doveva confermarsi l’insussistenza di una condizione di vulnerabilità tenuto conto della situazione oggettiva e soggettiva del ricorrente, con riferimento al paese di origine in comparazione con la sua integrazione con le condizioni di vita in Italia non caratterizzate neppure da idonee risorse sicchè il rimpatrio non avrebbe comportato alcuna lesione nell’esercizio dei diritti umani fondamentali, costitutivi dello statuto di dignità personale.

3. C.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di cinque motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

5. Il ricorrente in prossimità dell’udienza ha depositato memoria illustrativa con la quale ha insistito nelle proprie richieste.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11.

La censura attiene alla mancata audizione del richiedente non essendo disponibile la videoregistrazione dell’audizione personale avanti la commissione territoriale e malgrado il Tribunale abbia ritenuto contraddittorie le dichiarazioni rese ledendo in tal modo il diritto d’essere ascoltato del ricorrente.

1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Il Tribunale nel provvedimento impugnato ha evidenziato che all’udienza del 23 maggio 2019, previa discussione delle parti presenti in aula, il giudice si è riservato di riferire al collegio per la decisione. L’udienza di comparizione, dunque, si è svolta regolarmente e il ricorrente non specifica nel ricorso se è stato presente alla suddetta udienza e se ha insistito nella richiesta di audizione, il che rende inammissibile il motivo. Peraltro, anche accedendo all’interpretazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, secondo la quale deve essere disposta l’audizione ogni qual volta manchi la videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo dinanzi la commissione territoriale, l’errore del Tribunale sarebbe sanato, trattandosi di nullità relativa che doveva essere eccepita dal ricorrente nel primo atto difensivo utile ex art. 157 c.p.c., comma 2.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 protezione sussidiaria.

A parere del ricorrente sussisterebbero i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in quanto se il ricorrente tornasse nel suo paese di origine subirebbe un danno grave in conseguenza di atti di persecuzione e di violenza da parte dello zio che l’aveva costretto di schiavitù. Peraltro, il paese di provenienza si trova ancora in una situazione di incertezza tale da impedire un’adeguata tutela del ricorrente.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 8. Protezione umanitaria.

A parere del ricorrente sussisterebbero i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno di carattere umanitario versando il ricorrente in una situazione di particolare vulnerabilità. Nella specie il Tribunale di Lecce ritenendo insussistenti i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato avrebbe dovuto accogliere la domanda del permesso di soggiorno per motivi umanitari, risultando provato che il richiedente aveva subito gravi atti di violenza fisica e psicologica tale da indurlo a fuggire e cercare rifugio nel nostro paese.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza o del procedimento.

La censura attiene alla contraddittorietà della motivazione del Tribunale sia in relazione al racconto del ricorrente sia in relazione alla situazione del (OMISSIS). La motivazione sarebbe, dunque, apparente e inidonea a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudice.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo il giudizio sulla protezione umanitaria.

Il ricorrente cita altri provvedimenti dei giudici di merito che hanno riconosciuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari a cittadini provenienti dal (OMISSIS) ed evidenzia che il ricorrente aveva fornito prove documentali sia in relazione a livello di integrazione raggiunto nel paese ospitante sia in relazione alla situazione sociopolitica del paese di provenienza. Sarebbe dunque evidente l’omesso esame da parte del tribunale di Lecce della decisiva questione sulla vulnerabilità del richiedente.

6. I motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito., (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Nella specie il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile alla stregua dei parametri di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il Tribunale ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva del paese di provenienza, sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Come si è detto il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo, quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, anche in questo caso il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. In particolare, il Tribunale ha tenuto conto della documentazione prodotta e ha ritenuto che il percorso di integrazione documentato dalla saltuaria attività lavorativa non fosse sufficiente per ritenere sussistente una condizione di elevata vulnerabilità in caso di rimpatrio forzoso nel paese di origine.

All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

9. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero intimato.

10. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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