Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24912 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. II, 06/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 06/11/2020), n.24912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20600 – 2019 R.G. proposto da:

B.R., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Ascoli Piceno, alla piazza

Roma, n. 23, presso lo studio dell’avvocato Vittorio D’Angelo, che

lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 6939/2019 del Tribunale di Ancona;

udita la relazione nella camera di consiglio del 3 luglio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. B.R., cittadino del (OMISSIS), formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che aveva abbandonato nel 2016 il suo paese d’origine per le precarie condizioni economiche in cui – a causa della malattia che aveva colpito il padre e dell’avanzata età della madre – versava unitamente alla sua famiglia; che aveva dapprima raggiunto la Libia e dalla Libia si era trasferito in Italia.

2. La Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona rigettava l’istanza.

3. Con ordinanza n. 6939/2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da B.R. avverso il provvedimento della commissione.

Evidenziava il tribunale che le dichiarazioni del ricorrente, pur reputate verosimili, davano conto di una vicenda privata, ovvero della necessità di sostenere e migliorare le condizioni economiche della famiglia d’origine, tuttora in (OMISSIS), e dunque della insussistenza di violazioni dei diritti umani.

Evidenziava quindi che nessuno dei fatti allegati valeva ad integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Evidenziava altresì che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2014, ex art. 14.

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, siccome, nel quadro della debita valutazione comparativa, il ricorrente, qualora rimpatriato, non si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso B.R.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

5. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, il vizio di motivazione apparente.

Deduce che la motivazione dell’impugnato dictum è generica e stereotipata.

Deduce che non ha svolto alcuna domanda diretta al riconoscimento dello status di rifugiato e tuttavia il tribunale ha motivato al riguardo, incorrendo in ultrapetizione.

Deduce, con riferimento alla protezione sussidiaria, che il tribunale ha genericamente riferito dell’esposizione a pericolo dei civili che vivono in una non meglio definita “area in questione”.

Deduce, con riferimento alla protezione umanitaria, che il tribunale non ha per nulla tenuto conto della distruzione della sua abitazione a seguito di una alluvione; che, contrariamente all’assunto del tribunale, ha prodotto un vero e proprio contratto di lavoro a tempo determinato, della durata di 14 mesi, con l'”Azienda Agricola Conca d’Oro”, con decorrenza dal 27.10.2018, quindi da epoca precedente la proposizione del ricorso.

6. Il ricorso è destituito di fondamento.

7. Il ricorrente non ha interesse a denunciare il vizio di ultrapetizione in cui assume sia incorso il tribunale, allorchè gli ha denegato lo status di rifugiato.

Tanto siccome, per sua stessa ammissione, non ha al riguardo formulato alcuna domanda.

8. La locuzione “area in questione” adoperata dal Tribunale di Ancona in tema di protezione sussidiaria, a pagina 5 dell’impugnato dictum, deve essere riferita all’intero territorio del (OMISSIS).

Del resto, nel paragrafo “sulla situazione nel paese di origine” il tribunale, con diretta valenza in ordine alla denegata protezione sussidiaria art. 14 cit., ex lett. c) ha specificato che il rapporto “EASO” risalente al dicembre del 2017 dava conto dell’insussistenza in (OMISSIS) di persecuzioni generalizzate e su iniziativa dello Stato e su iniziativa di soggetti non statuali.

Conseguentemente il presupposto di un grave danno alla vita ed alla incolumità personale derivante da situazioni di violenza indiscriminata determinata da conflitti armati era da escludere – ha opinato sostanzialmente il tribunale – sia con riferimento all’intero territorio del (OMISSIS) sia, evidentemente, con riferimento alla specifica regione del territorio del (OMISSIS) di provenienza del ricorrente.

9. In tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve – senza dubbio – essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela, che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

10. In questi termini, dunque, la valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente asilo si sostanzia e si risolve in un giudizio “di fatto”, giudizio “di fatto” che, propriamente, il ricorrente censura con i passaggi finali dell’esperito motivo di ricorso (pagg. 7 – 10).

11. In quest’ottica, nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, non può che opinarsi nel senso che nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” inficia, anche in parte qua, le motivazioni del dictum anconetano.

In particolare, con riferimento all'”anomalia” della motivazione “apparente” – che il ricorrente ha inteso denunciare e che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – si evidenzia che il tribunale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

11.1. Più esattamente il tribunale ha chiarito che il ricorrente, qualora rimpatriato, non si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità in considerazione, innanzitutto, delle ragioni, di ordine economico, che lo avevano indotto ad espatriare (cfr. decreto impugnato, pag. 2).

Ed ha soggiunto che non si aveva riscontro di una effettiva integrazione del ricorrente nel tessuto socioeconomico italiano; che a tal riguardo non potevano esplicar valenza nè la partecipazione a corsi di formazione, di volontariato e per l’apprendimento della lingua italiana nè la promessa di un’assunzione lavorativa condizionata a favorevoli condizioni di mercato e con un salario inferiore all’importo dell’assegno sociale (cfr. decreto impugnato, pagg. 6 – 7).

12. D’altra parte il ricorrente, per un verso, si duole per l’omessa considerazione dei danni sofferti – la distruzione della sua abitazione – a causa ed a seguito di una alluvione; per altro verso, per l’erronea valutazione del contatto di lavoro prodotto.

E però, da un canto, l’asserito mancato esame delle argomentazioni difensive svolte neppure è riconducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 14.6.2017, n. 14802; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718).

E però, d’altro canto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

13. Il Ministero dell’Interno sostanzialmente non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese va pertanto assunta.

14. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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