Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24911 del 15/09/2021

Cassazione civile sez. II, 15/09/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 15/09/2021), n.24911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24274-2016 proposto da:

GUY SAND s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, via Livio Andronico n. 24, presso

lo studio dell’avvocato Ilaria Romagnoli, che la rappresentata e

difende unitamente all’avvocato professore Enrico Perego, del foro

di Milano;

– ricorrente –

contro

STEFANEL s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del

Commissario straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, via di Monte Giordano n. 36, presso lo studio dell’avvocato

Giovanni Izzo, che la rappresentata e difende con procura speciale

di cui alla compara di costituzione di nuovo difensore;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3010/2016 della Corte di appello di Milano,

depositata il 18 luglio 2016 e notificata il 21 luglio 2016;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 4

novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per il rigetto del

sesto motivo di ricorso e la declaratoria di inammissibilità per

gli altri motivi, in subordine il rigetto del ricorso;

uditi l’Avv.to Ilaria Romagnoli, per parte ricorrente, e l’Avv.to

Giovanni Izzo, per parte controricorrente.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1047 del 23.01.2014, il Tribunale di Milano accoglieva la domanda proposta da STEFANEL s.p.a. nei confronti di GUY SAND s.p.a. e per l’effetto condannava la convenuta al rimborso di Euro 138.459,72, oltre accessori, in favore dell’attrice – somma dovuta per l’imposta di registro conseguente al rilascio di nuova concessione d’uso dei locali siti in (OMISSIS), posti all’interno della galleria (OMISSIS), di proprietà del Comune di Milano e dal medesimo ente richiesta con bolletta del terzo trimestre del canore alla STEFANEL, locali originariamente concessi alla GUY SAND, e facenti parte dell’accordo di cessione di ramo d’azienda, di cui alla scrittura privata stipulata in data 08.03.2007, in forza della quale l’attrice era subentrata alla cedente nella concessione d’uso di detti locali, pattuendo il prezzo in Euro 5.500.000,00 – ritenendo detto giudice che l’intero accordo oggetto di causa era rivolto esclusivamente a far subentrare la STEFANEL nella concessione amministrativa di uso dei locali e nell’autorizzazione alla vendita dei capi di abbigliamento, di cui era titolare la GUY SAND e che il prezzo della cessione costituiva il corrispettivo per ottenere dette volture e conseguentemente la cedente era tenuta al pagamento della relativa imposta di registro.

In virtù di rituale appello interposto dalla GUY SAND, la Corte di appello di Milano, nella resistenza dell’appellata, respingeva il gravame e per l’effetto confermava la decisione di primo grado, condividendo l’interpretazione fatta del contratto di cessione d’azienda.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale, infatti, evidenziava che in forza dell’art. 6 del contratto definitivo stipulato fra le parti dovevano rimanere a carico della cedente tutti i tributi, tasse, imposte e sopravvenienze passive, di qualsiasi tipo e natura, maturate in data anteriore alla data di efficacia della cessione di azienda, fissata dalle parti nel giorno 19.03.2007, e per essere il credito preteso sorto contestualmente alla stipula della nuova concessione tra la GUY SAND ed il Comune, avvenuta in data 20.02.2007. Tale assunto trovava conferma nell’art. 4 del contratto, secondo il quale tutte le spese ed i costi maturati in data antecedente a quella di efficacia reale della cessione, compresa pertanto l’imposta di registro, che doveva ritenersi gravare sulla cedente; al pari dell’art. 11 della medesima convenzione per il quale solo a partire dalla data di consegna del ramo d’azienda la cessionaria sarebbe subentrata nella concessione e, da quel momento, obbligata a pagare i relativi canoni con le spese accessorie e condominiali. Aggiungeva che il rilascio della nuova concessione amministrativa di uso dei locali, per la durata di dodici anni, da parte del Comune costituiva condizione essenziale per il perfezionamento del contratto di cessione di azienda, il cui mancato ottenimento entro il 30.08.2007 avrebbe costituito condizione risolutiva del contratto medesimo (cfr artt. 6 e 7 del contratto preliminare). Ricostruzione della vicenda che contrastava con la tesi dell’appellante secondo cui il contratto di concessione in uso dei locali e il contratto di cessione d’azienda sarebbero stati tra loro collegati.

Ne’ l’imposta pretesa dal Comune poteva essere qualificata quale accessorio del canone di concessione prescindendo dalla effettiva utilizzazione dei locali.

Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso la GUY SAND, sulla base di sette motivi, cui ha resistito con controricorso la STEFANEL.

In prossimità della udienza pubblica entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1362,1363 e 1475 c.c., nonché dei principi in tema di collegamento negoziale, con conseguente nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3, quanto al ruolo del rinnovo della concessione dei locali sull’impianto negoziale complessivo e le conseguenze in punto di riparto delle spese. Ad avviso della ricorrente, infatti, l’imposta di registro sulla nuova concessione andrebbe qualificata quale costo dell’operazione di cessione del ramo di azienda, per tale ragione del tutto estraneo all’attività ceduta, con conseguente configurabilità del collegamento negoziale dedotto fra la nuova concessione ed il contratto di cessione del ramo di azienda, tenendo conto che della nuova concessione dodecennale con il Comune era esclusiva beneficiaria la sola Stefanel, indipendentemente dalla circostanza che fosse stata stipulata dalla Guy Sand. Aggiunge la ricorrente che le spese della cessione avrebbero comunque dovuto gravare sull’acquirente a norma dell’art. 1475 c.c., anche allorché anteriori alla cessione.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1719 e 1720 c.c. relativamente alle obbligazioni del mandante. Ad avviso della ricorrente nel suo operato andrebbe configurato anche la figura del mandatario per essersi impegnata a procurare, direttamente o indirettamente, alla Stefanel la stipula di una concessione a proprio nome, cedibile con la cessione del ramo di azienda.

Con la conseguenza che anche sotto tale aspetto non potevano non essere riconosciuti alla stessa i costi che per legge erano a carico del mandante.

Con il terzo mezzo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la corte territoriale omesso l’esame del sesto motivo di appello, con il quale lamentava una lettura solo parziale dell’art. 11 del contratto, riportandolo di seguito. Ad avviso della ricorrente l’art. 11 sarebbe l’unica clausola contrattuale che disciplinerebbe fra le parti il rapporto di concessione concluso con il Comune e lo stesso prevedeva a carico della Guy Sand solo il rateo del nuovo canone corrispondente al suo periodo di godimento del nuovo canone corrispondente al suo periodo di godimento dei locali durato un solo mese.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce l’ulteriore violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in ipotesi si volesse ritenere che non si verserebbe in ipotesi di omessa pronuncia, di cui al terzo mezzo, bensì di implicito rigetto della doglianza lamentata con il sesto motivo di appello.

Con il quinto motivo la ricorrente insiste nella violazione e nella falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c. assumendo che la interpretazione fornita dalla corte territoriale comporta nella sostanza che l’onere di sopportare il costo dell’imposta di registro sulla nuova concessione, da stipulare prima della cessione del ramo di azienda sarebbe accidentalmente caduto su quella delle due parti che avesse stipulato con Comune di Milano la nuova concessione.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2722 c.c. per la mancata ammissione dei capitoli di prova per interpello e per testi relativi alla formazione dell’accordo sul prezzo prima che controparte chiedesse di inserire nel preliminare la clausola relativa alla stipula di una nuova concessione che avesse un termine finale più lungo rispetto a quello della concessione in corso.

Con il settimo motivo la ricorrente nel dolersi della violazione e della falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 2733 c.c. lamenta che la mancata ammissione dell’interpello l’abbia di fatto privata della possibilità di provocare la confessione della controparte.

E’ pregiudiziale l’esame dei motivi sesto e settimo – che è opportuno esaminare unitariamente avendo entrambi ad oggetto la questione istruttoria – per quanto di seguito si dirà.

Come accennato sopra la Guy Sand s.p.a. ha dedotto, e chiesto di provare a mezzo testi e con interrogatorio formale (cfr. pag. 17 del ricorso):

– da un lato, che “aperta una trattativa per la cessione a Stefanel s.p.a. del ramo d’azienda di Guy Sand s.p.a….nel corso della trattativa Stefanel s.p.a. era stata informata che il contratto di concessione dei locali di proprietà del Comune di Milano…scadeva nel 2013”;

– dall’altro “che fu…raggiunta dalle parti…un’intesa per la cessione del ramo d’azienda costituito dall’esercizio di (OMISSIS) al prezzo di Euro 5.500.000,00”, “prezzo…definito nel corso della primavera del 2006…e mancava la sola formalizzazione del contratto, la Stefanel chiese a Guy Sand di stipulare col Comune di Milano un nuovo contratto di concessione idoneo ad assicurarle una durata di dodici anni con l’avvertenza che se la nuova richiesta non fosse stata accolta dal Comune Stefanel non avrebbe acquistato il ramo d’azienda”;

– da ultimo che “la Stefanel motivò la nuova richiesta asserendo che, a suo avviso, alla scadenza del 2013 il rinnovo della concessione con un soggetto subentrato nel rapporto non era assicurato; mentre la Guy Sand, per i pregressi rapporti col Comune risalenti al 1987 avrebbe potuto ottenere un rinnovo anticipato di dodici anni a tariffe inferiori a quelle praticate nel 2006 per nuovi concessionari e a quelle usualmente maggiorate del 2013″;

– infine che ” la Guy Sand s.p.a. iniziò una trattativa col Comune di Milano per il rinnovo anticipato della concessione secondo la richiesta di Stefanel s.p.a.”, “trattativa che durò più di sei mesi e ritardò la formalizzazione della cessione d’azienda che avvenne al prezzo concordato prima che la Stefanel formulasse la richiesta di una concessione comunale per l’uso dei locali della durata di dodici anni”.

Totalmente prescindendo da tali istanze la Corte di appello di Milano ha affermato che:

– l’interpretazione del contratto di cessione d’azienda, alla luce delle clausole di cui agli artt. 6, 7 e 4, della medesima convenzione, era nel senso che in forza dell’art. 6 del contratto definitivo stipulato fra le parti dovevano rimanere a carico della cedente tutti i tributi, tasse, imposte e sopravvenienze passive, di qualsiasi tipo e natura, maturate in data anteriore alla data di efficacia della cessione di azienda, fissata dalle parti nel giorno 19.03.2007, e per essere il credito preteso sorto contestualmente alla stipula della nuova concessione tra la GUY SAND ed il Comune, avvenuta in data 20.02.2007;

– l’assunto trovava conferma nell’art. 4 del contratto, secondo il quale tutte le spese ed i costi maturati in data antecedente a quella di efficacia reale della cessione, compresa pertanto l’imposta di registro, doveva ritenersi gravare sulla cedente;

– al pari dell’art. 11 della medesima convenzione per il quale solo a partire dalla data di consegna del ramo d’azienda la cessionaria sarebbe subentrata nella concessione e, da quel momento, obbligata a pagare i relativi canoni con le spese accessorie e condominiali;

– aggiungeva che il rilascio della nuova concessione amministrativa di uso dei locali, per la durata di dodici anni, da parte del Comune costituiva condizione essenziale per il perfezionamento del contratto di cessione di azienda, il cui mancato ottenimento entro il 30.08.2007 avrebbe costituito condizione risolutiva del contratto medesimo (cfr artt. 6 e 7 del contratto preliminare);

– concludeva pertanto che siffatta interpretazione smentiva “la tesi dell’appellante secondo cui il contratto di concessione in uso dei locali e il contratto di cessione d’azienda sarebbero stati tra loro ‘collegatì, poiché Guy Sand era tenuta ad ottenere una nuova concessione in uso dei locali…pena la risoluzione del contratto preliminare di cessione d’azienda”;

– ha poi proseguito che non “erano ammissibili le prove orali articolare dall’appellante, stante il divieto di cui all’art. 2722 c.c. di provare a mezzo testimoni circostanze contrarie al contenuto dell’accordo negoziale, stipulato per iscritto”.

Alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, l’accertamento della volontà dei contraenti è un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice del merito e, pertanto, non è censurabile in sede di legittimità se non quando la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice del merito, oppure quando questi abbia violato le regole legali di ermeneutica, sempre che in tal caso si specifichi in qual modo egli se ne sia discostato (Cass. 16 luglio 2001 n. 9636). In tema di interpretazione del contratto, in altri termini, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni legali di ermeneutica e la coerenza e logicità della motivazione addotta (Cass. 13 febbraio 2002 n. 2074; sempre nello stesso senso, altresì, Cass. 19 febbraio 2002 n. 2396), con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca solo nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto vagliati dal giudice di merito (Cass. 29 novembre 2001 n. 15185).

Tuttavia va osservato che la prova testimoniale non valorizzata dalla Corte distrettuale è articolata con riferimento alla incidenza nella pattuizione complessiva della ulteriore richiesta della Stefanel di rilascio di nuova concessione per ulteriori dodici anni da parte del Comune, operazione che parrebbe essere di segno neutro in ordine al prezzo della convenzione medesima: attraverso il mezzo istruttorio, in particolare, i testimoni dovrebbero riferire se nel corso delle lunghe trattative fosse stato tenuto fermo l’originario prezzo pattuito nonostante l’ulteriore richiesta di cui era stata gravata la Guy Sand costituendo oggetto della condizione di efficacia del contratto il solo avveramento del rilascio di nuova concessione dodecennale, ovvero la cedente assumeva su di sé anche gli oneri economici conseguenti.

Ora, è da escludere che la prova in questione violi il disposto dell’art. 2722 c.c., dal momento che essa concerne, propriamente, il criterio seguito dalle parti nell’accollare alla Guy Sand la responsabilità di questa ulteriore operazione. Dunque non ha ad oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento contrattuale, rilevando, piuttosto, come essa sia finalizzata all’acquisizione di fatti per accertare le modalità con cui le parti sarebbero pervenute alla redatta convenzione. Si tratta di circostanze il cui contenuto ed oggetto non risultano in alcun modo previsti nel documento, né contrastano col suo contenuto, non possono ritenersi comprese, né escluse nel negozio stipulato per iscritto, ancorché, con esso, si trovino in occasionale rapporto.

In questo modo è evidente che si tratti di una prova diretta a dar conto del preciso contenuto della volontà negoziale, comunque ammissibile, dovendosi rammentare che quando il regolamento negoziale, così come materialmente redatto, non corrisponda, quanto alle espressioni usate, alla comune ed effettiva volontà delle parti, per erronea formulazione, redazione o trascrizione di elementi di fatto, anche se la discordanza non emerga dalla semplice lettura del testo, si deve ritenere esistente un mero errore materiale e tale errore può essere ricostruito con ogni mezzo di prova, indipendentemente dalla forma propria del contratto cui si riferisce (Cass. 9 aprile 2008 n. 9243; Cass. 28 agosto 1993 n. 9127). In termini più generali, può rammentarsi che i limiti legali di ammissibilità della prova orale non operano quando la prova sia diretta non già a contestare il contenuto di un documento, ma a renderne esplicito il significato: il divieto dell’ammissione della prova testimoniale stabilito dall’art. 2722 c.c., in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento, riguarda – così – solo gli accordi diretti a modificare ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio, mentre il divieto non riguarda la prova diretta ad individuarne la reale portata attraverso l’accertamento degli elementi di fatto che determinarono il consenso dei contraenti (Cass. 12 giugno 2012 n. 9526; Cass. n. 4601 del 2017).

E’ palese che nella specie la circostanza che la ricorrente intendeva provare – e cioè che all’atto della sottoscrizione del contratto (nel quale, è opportuno sottolineare che era previsto il corrispettivo pattuito in origine, senza incarichi aggiuntivi per la Guy Sand) la parti intendevano addossare alla cedente la sola responsabilità dell’avveramento della condizione del rilascio di nuova concessione – non incorre nel divieto di cui all’art. 2722 c.c.

Naturalmente siffatte considerazioni valgono a maggiore ragione per l’interrogatorio formale deferito che ha la finalità di provocare la confessione giudiziale.

All’accoglimento del sesto e del settimo motivo del ricorso segue l’assorbimento dei primi cinque motivi dello stesso ricorso (relativi sostanzialmente all’interpretazione della convenzione e alla natura delle obbligazioni conseguenti all’ulteriore incarico affidato alla cedente).

Conclusivamente, vanno accolti il sesto e il settimo motivo di ricorso, assorbiti i restanti.

In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che nel decidere la controversia si atterrà ai principi di diritto su enunciati e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

PQM

La Corte, accoglie il sesto e il settimo motivo di ricorso, assorbiti i primi cinque;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

 

 

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