Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24911 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. II, 06/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 06/11/2020), n.24911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21585 – 2019 R.G. proposto da:

H.A., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Roma, alla viale Angelico, n.

38, presso lo studio dell’avvocato Marco Lanzilao che lo rappresenta

e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 7512/2019 del Tribunale di Ancona;

udita la relazione nella camera di consiglio del 3 luglio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. H.A., cittadino del (OMISSIS), formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che aveva abbandonato il suo paese d’origine per le precarie condizioni economiche in cui versava unitamente alla sua famiglia; che, con il danaro ricevuto in prestito, danaro che non era in condizione di restituire, aveva dapprima raggiunto la Libia – ove era stato incarcerato per quattro mesi ed aveva subito minacce e percosse – e dalla Libia si era trasferito in Italia.

2. La Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona rigettava l’istanza.

3. Con decreto n. 7512/2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da H.A. avverso il provvedimento della commissione.

Evidenziava il tribunale che le dichiarazioni del ricorrente, pur reputate attendibili, davano ragione di una vicenda di vita privata e dunque dell’insussistenza di violazioni dei diritti umani.

Evidenziava quindi che nessuno dei fatti allegati valeva ad integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Evidenziava altresì che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2014, ex art. 14.

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso H.A.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omesso errato esame delle dichiarazioni rese e delle allegazioni documentali; l’omesso esercizio dei poteri di cooperazione istruttoria.

Deduce che in realtà ha dichiarato di essere stato costretto a lasciare il suo paese d’origine perchè impossibilitato, in dipendenza della sue precarie condizioni economiche, a restituire, in un contesto caratterizzato da violenza ed insicurezza generalizzate, una somma di denaro ricevuta in prestito.

Deduce che, “se tali dichiarazioni risultano di incerta valutazione sussiste per il giudice di merito l’obbligo (…) di acquisire informazioni attendibili sulla situazione del paese di provenienza” (così ricorso, pag. 4).

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 la contraddittorietà e l’apparenza della motivazione.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Deduce in particolare che il rapporto “E.A.S.O.” menzionato dal tribunale “mette in luce, al contrario, una lunga serie di problematiche completamente omesse” (così ricorso, pag. 9); che al contempo l’incongruenza della valutazione del tribunale emerge dal rapporto di “Amnesty International” datato 2017, che, viceversa, dà conto della sussistenza, in (OMISSIS), di una situazione di violenza diffusa non controllata dallo Stato e di grave pericolo per la sicurezza individuale nonchè di una più che precaria situazione economica.

Deduce quindi che al riguardo la motivazione dell’impugnato dictum è meramente apparente, segnata dal contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.

7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; il difetto di motivazione ed il travisamento dei fatti.

Deduce che, ai fini del disconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) il tribunale non ha fatto luogo alla dovuta istruttoria, sicchè la motivazione sul punto è meramente apparente.

8. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19; l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost.

Deduce che ha errato il tribunale, viepiù in considerazione dei poteri di cooperazione istruttoria di cui è munito, a negargli la protezione umanitaria.

Deduce che, nel quadro dell’imprescindibile valutazione comparativa, in considerazione delle condizioni politiche, sociali ed economiche del suo paese d’origine, qualora rimpatriato, inevitabilmente verserebbe in condizioni di vulnerabilità ovvero subirebbe la menomazione dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla salute ed all’alimentazione, che, viceversa, l’Italia è tenuta a garantire in ossequio ai suoi obblighi costituzionali ed internazionali.

9. Si premette che agli atti risulta breve memoria datata 28.11.2019 nell’interesse del ricorrente ed a firma dell’avvocato Iacopo Maria Pintorri. Nondimeno l’avvocato Pintorri non risulta investito di rituale procura.

Della memoria, pertanto, non si terrà conto, viepiù giacchè rimanda integralmente, sic et simpliciter, alle deduzioni di cui al ricorso.

10. Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento.

11. Il tribunale, a rigore, non ha reputato inattendibili le dichiarazioni di H.A..

Ha ritenuto, piuttosto, in piena aderenza al loro letterale tenore (“ho lasciato il mio Paese per i problemi finanziari della mia famiglia: quello che guadagnavo non era abbastanza per mantenere i miei familiari”: cfr. verbale delle dichiarazioni rese dinanzi dalla commissione territoriale), che le stesse dichiarazioni dessero conto di una vicenda di vita privata, segnatamente, della necessità di sostenere e migliorare le condizioni economiche e del ricorrente e della sua famiglia d’origine, tuttora in (OMISSIS).

12. La valutazione che delle dichiarazioni all’uopo rese il tribunale ha operato, è dunque congrua ed ineccepibile.

Cosicchè per nulla si giustificano gli assunti del ricorrente circa la pretesa incertezza delle sue dichiarazioni e circa la necessità che il tribunale si avvalesse dei poteri istruttori officiosi.

Del resto questa Corte spiega che, allorquando l’autorità giudiziaria abbia, per giunta, ritenuto non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario che faccia luogo ad un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

13. Certo H.A. ha altresì riferito che ha preso denaro in prestito per sostenere i costi del viaggio necessario per trasferirsi dal (OMISSIS) e che è esposto alle ritorsioni dei suoi creditori, siccome non è in grado di restituire il denaro ricevuto.

Ebbene, è vero senza dubbio che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave, ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. (ord.) 1.4.2019, n. 9043).

Tuttavia la riferita puntualizzazione non esplica valenza nel caso di specie.

Essenzialmente giacchè il ricorrente non ha specificamente allegato di essersi invano ed inutilmente rivolto alle autorità di polizia e giudiziarie del suo paese d’origine, onde ottenere protezione a fronte e per l’evenienza di possibili ritorsioni dei suoi creditori.

14. Il secondo motivo di ricorso del pari è destituito di fondamento.

15. Ovviamente, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

16. Cosicchè, nel segno della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si osserva quanto segue.

Per un verso, è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della citata pronuncia delle sezioni unite, possa scorgersi in relazione alle motivazioni alla stregua delle quali il Tribunale di Ancona ha disconosciuto la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).

Invero il tribunale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato, sulla scorta del rapporto “EASO”, correttamente inteso, il proprio iter argomentativo.

In particolare, con riferimento all'”anomalia” (dal ricorrente specificamente addotta) della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – il tribunale ha evidenziato che il rapporto “EASO” risalente al dicembre del 2017 dava conto dell’insussistenza in (OMISSIS) – democrazia multipartitica – di persecuzioni generalizzate e su iniziativa dello Stato e su iniziativa di soggetti non statuali; che esplicite iniziative di dissenso politico riguardavano unicamente i vertici del “B.N. P.”.

Per altro verso, il tribunale ha di certo disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dell’ipotesi astratta di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Per altro verso ancora, il ricorrente, in fondo, non adduce – alla stregua delle risultanze del rapporto di “Amnesty International” del 2017 – a supporto delle sue prospettazioni fonti di informazioni più recenti sulla situazione sociopolitica attualmente esistente in (OMISSIS) (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

17. Il terzo motivo di ricorso parimenti è destituito di fondamento.

18. Si è anticipato che, ai fini del disconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c) il Tribunale di Ancona ha fatto riferimento al report “EASO” risalente al dicembre del 2017, disponibile sul sito dell’Ufficio Europeo dal 28.8.2018 (cfr. decreto impugnato, pag. 2).

Per nulla si giustificano, perciò, e l’assunto del ricorrente a tenor del quale il tribunale non ha fatto luogo alla dovuta istruttoria in merito alle condizioni del suo paese d’origine e, evidentemente, la denuncia di motivazione apparente.

19. Il quarto motivo di ricorso similmente è destituito di fondamento.

20. In tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve – senza dubbio – essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela, che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

21. In questi termini, ben vero, la valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente asilo si sostanzia e si risolve in un giudizio “di fatto”, giudizio “di fatto” che, propriamente, il ricorrente censura con i passaggi finali dell’esperito motivo di ricorso (cfr. pagg. 25 – 26).

22. In quest’ottica, nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed alla luce della menzionata pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, non può che opinarsi nel senso che nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” inficia, anche in parte qua, le motivazioni del dictum anconetano.

In particolare il tribunale pur al riguardo ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Più esattamente il tribunale, nel quadro della debita valutazione comparativa, ha chiarito che il ricorrente, qualora rimpatriato, non si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità in considerazione, innanzitutto, delle ragioni, di ordine economico, che lo avevano indotto ad espatriare (cfr. decreto impugnato, pag. 2).

Ed ha soggiunto che rilevavano al riguardo il mancato riscontro di forme di menomazione dei diritti umani nel paese d’origine e la mancata dimostrazione, da parte del ricorrente, di aver intrapreso in Italia un effettivo percorso di integrazione sociale e lavorativa (cfr. decreto impugnato, pag. 7).

Si tenga conto, al contempo, che l’asserito mancato esame delle argomentazioni difensive svolte neppure è riconducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 14.6.2017, n. 14802; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718).

23. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

24. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, H.A., a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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