Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24909 del 15/09/2021

Cassazione civile sez. III, 15/09/2021, (ud. 04/03/2021, dep. 15/09/2021), n.24909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristian – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9254/18 proposto da:

-) B.A., elettivamente domiciliato a Roma, via Silvio

Pellico n. 24, c/o l’avv. Claudia Garcea, difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

-) Be.Lu., elettivamente domiciliato a Roma, via di Vigna Rigacci

n. 16 (c/o avvocato Roberta Capitani), difeso dall’avvocato Antonio

Lamarucciola, in virtù di procura speciale apposta in calce al

controricorso;

– controricorrente –

nonché

-) C.L. & C. s.n.c., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a Roma, via

Monte Zebio n. 32 (c/o avv. Christiano Giustini), difeso dagli

avvocati Giancarlo Adorno, e Alessandra Toffolutti, in virtù di

procura speciale apposta in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 17 gennaio 2018

n. 84;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4

marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Secondo quanto riferito nel ricorso, B.A. e Be.Lu. sono proprietari di due immobili che affacciano su un cortile, nel Comune di (OMISSIS).

L’immobile di proprietà di Be.Lu. è concesso in locazione alla società C.L. & C. s.n.c..

Tale immobile affaccia sul cortile con due ingressi, tra i quali venne realizzata una tettoia o passaggio coperto che dir si voglia.

2. Nel 2001 B.A. convenne dinanzi al Tribunale di Venezia la società C., chiedendone la condanna “alla rimozione del passaggio coperto”.

Con sentenza 1428/03 (deve ritenersi un mero lapsus calami l’indicazione di tale sentenza col numero “1428/13” di cui al foglio 3, primo rigo, del ricorso) il Tribunale di Venezia accolse la domanda e condannò la società C. alla rimozione del manufatto.

3. Non essendovi stata esecuzione spontanea, nel 2013 B.A. iniziò l’esecuzione forzata con ricorso ex art. 612 c.p.c..

L’inizio dell’esecuzione forzata diede la stura a tre diverse iniziative giudiziarie:

a) la società C. propose opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., deducendo che, essendo solo conduttrice dell’immobile e quindi del manufatto da demolire, non poteva mettere in esecuzione alla sentenza;

b) Be.Lu., proprietario del manufatto da demolire, intervenne ex art. 105 c.p.c. nell’opposizione all’esecuzione proposta dalla società C.;

c) sempre Be.Lu. propose opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. avverso la sentenza di dieci anni prima, con cui il Tribunale di Venezia aveva ordinato la demolizione del manufatto.

A fondamento dell’opposizione dedusse di essere il proprietario del manufatto di cui era stata ordinata la demolizione, e di non aver partecipato al giudizio concluso dalla sentenza messa in esecuzione. Aggiunse di essere titolare di una servitù di appoggio costituita e trascritta nel 1934, in virtù della quale godeva del diritto di realizzare ed appoggiare al muro dell’immobile di B.A. in perpetuo una tettoia, dell’altezza di metri 2,89 da terra ed a distanza di metri 0,93 dal piano di davanzale della finestra sovrastante.

4. L’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. proposta da Be.Lu. e l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. proposta dalla società C. vennero riunite e decise dal Tribunale di Venezia con sentenza 12 aprile 2016 n. 893.

Il Tribunale accolse l’opposizione proposta da Be.Lu.; nessuna delle parti riferisce che sorte abbia avuto l’opposizione proposta dalla società C.. Quest’ultima, infatti, si limita a dichiarare nel proprio controricorso che il Tribunale ha dichiarato di “accogliere l’opposizione proposta nella causa n. 3178/14”, e cioè quella proposta da Be.Lu. (cfr. il ricorso principale, pagina 2).

Il Tribunale, in ogni caso, ritenne di poter dichiarare che la sentenza messa in esecuzione fosse “inefficace ed inopponibile erga omnes”.

5. La suddetta sentenza 893/16 venne appellata da B.A..

Nei confronti della società C., l’appellante dedusse che i motivi di opposizione da essa proposti (e cioè l’essere solo conduttrice del manufatto da demolire) si sarebbero dovuti far valere nel giudizio concluso dal titolo esecutivo messo in esecuzione, e non potevano più essere proposti in sede di opposizione all’esecuzione.

6. Nei confronti di Be.Lu. l’appellante dedusse invece:

a) che la servitù di appoggio concessa illo tempore a favore del fondo di quest’ultimo riguardava un preciso manufatto (un “tettoia di vetro retinato”) che da tempo non esisteva più, e che era stata demolita e sostituita da una tettoia di tipo diverso;

b) che in ogni caso l’opposizione di terzo proposta da Be.Lu. ex art. 404 c.p.c. era inammissibile, dal momento che questi sin dal 2008 sapeva dell’esistenza della sentenza con cui nel 2003 il Tribunale di Venezia aveva ordinato la demolizione.

7. Con sentenza 17 gennaio 2018 n. 84 la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame.

Il giudice d’appello ritenne che:

-) l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. era ammissibile: sia perché il proprietario dell’immobile da demolire è litisconsorte necessario nel giudizio introdotto da chi chieda la demolizione; sia perché la circostanza che egli fosse a conoscenza della sentenza di demolizione non costituiva acquiescenza a tale decisione;

-) l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. era altresì fondata, in quanto il proprietario del manufatto di cui era stata ordinata la demolizione, e che non aveva partecipato al relativo giudizio, aveva dimostrato di essere titolare di un diritto di servitù a mantenere la tettoia oggetto del contendere; né rilevava che tale manufatto potesse essere stato, nel corso di novant’anni, modificato nei materiali o nella struttura, dal momento che B.A. non aveva dimostrato che “le dimensioni e l’ubicazione della struttura siano mutate”;

-) da ultimo, con riferimento al motivo di appello concernente l’opposizione all’esecuzione proposta dalla società C. (basato, come si è visto, sull’assunto che questa società aveva sollevato in sede di opposizione all’esecuzione questioni che si sarebbero dovute far valere nel giudizio di merito), la Corte d’appello lo rigettò con la seguente motivazione: “va detto che l’opposizione all’esecuzione proposta dalla società era fondata sulle medesime ragioni poste a sostegno dell’opposizione di terzo, che sono state tutte esaminate”.

8. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da B.A. con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.

Hanno resistito con separati controricorsi la società C. e Be.Lu..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 615 c.p.c..

Sostiene che la Corte d’appello, mutuando un errore già commesso dal Tribunale, ha trascurato di considerare che l’opposizione proposta dalla società C. (e basata sull’assunto che quest’ultima, in quanto mera conduttrice del manufatto da demolire, non avrebbe potuto procedere alla demolizione) era fondata su motivi che si sarebbero dovuti far valere nel giudizio di merito, cioè quello concluso dalla sentenza che ordinò la demolizione.

1.1. Il motivo è inammissibile per due diverse ed indipendenti ragioni.

La prima ragione di inammissibilità è che il ricorso non riassume in modo completo ed ordinato lo svolgimento dei fatti di causa, richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 3.

In particolare non espone in modo esaustivo quale domanda venne proposta dall’odierno ricorrente dinanzi al fr.ibunale di Venezia, nel giudizio concluso dalla sentenza 1428/03; non espone quali difese sollevò in quel giudizio la società C.; definisce ripetutamente se stesso “parte appellante” (così il ricorso, foglio 3), generando confusione sulle posizioni delle parti; fa riferimento a statuizioni (“il capo d) della sentenza 1428/03”) non altrimenti illustrate; non riassume in modo esaustivo i motivi posti dalla società voluto fondamento della propria opposizione all’opposizione.

1.2. La seconda ragione di inammissibilità del primo motivo di ricorso è la carenza di interesse a proporlo, ex art. 100 c.p.c.

Ed infatti, quand’anche fosse accolto, resterebbe il fatto che il ricorrente comunque non potrebbe mettere in esecuzione la sentenza di demolizione, a causa della vittoriosa opposizione proposta dal terzo che, per quanto si dirà, resiste alle censure sollevate dal secondo motivo.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta sia il vizio di violazione di legge (prospetta la violazione degli artt. 1073 e 2697 c.c.), sia quello di omesso esame d’un fatto decisivo.

2.1. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge, il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6.

Nella illustrazione del motivo, dopo la trascrizione di un brano della sentenza impugnata, il ricorrente deduce che la decisione della corte d’appello sarebbe erronea in fatto e in diritto ed a sostegno di tali deduzioni invoca una serie di circostanze processuali non altrimenti esplicitate: deduce che nel giudizio di merito “nessuno parlò” dell’esistenza di una tettoia in vetro e ferro, senza precisare quali diverse deduzioni svolsero le controparti ed in quali atti; deduce di avere “sempre opposto” non esservi prova della realizzazione di una tettoia in ferro e vetro, senza indicare in quali atti ed in quali termini avvenne tale deduzione; deduce di avere “eccepito da sempre” il mancato esercizio della servitù che Be.Lu. dichiarava di vantare, senza indicare in quale atto ed in quali termini; fa riferimento ad atti (un rapporto dei vigili urbani di Venezia) dei quali non si riferisce il contenuto e la fase processuale in cui vennero prodotti.

2.2. Questa confusa esposizione, che già di per sé varrebbe a rendere il ricorso inammissibile, in ogni caso pare avere quale unico filo conduttore la deduzione che erroneamente la corte d’appello avrebbe ritenuto esistente, a favore di Be.Lu. ed a carico dell’odierno ricorrente, una servitù di appoggio in realtà mai dimostrata: ma se davvero questa fosse la censura che il ricorrente inteso prospettare, essa sarebbe a fortiori inammissibile, in quanto investirebbe l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove, questioni come noto non prospettabili nella presente sede di legittimità.

2.3. Nella parte, infine, in cui prospetta l’omesso esame d’un fatto decisivo il motivo è parimenti inammissibile perché il suddetto vizio non è dedotto nei termini e con i criteri stabiliti da questa corte.

Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, nell’interpretare il novellato art. 360 c.p.c., n. 5, hanno stabilito (molto tempo prima dell’introduzione del presente ricorso) che colui il quale intenda denunciare in sede di legittimità un errore consistito nell’omesso esame d’un fatto decisivo, ha l’onere di indicare:

(a) quale fatto non sarebbe stato esaminato;

(b) quando e da chi era stato dedotto in giudizio;

(c) come era stato provato;

(d) perché era decisivo (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Nel caso di specie, il secondo motivo di ricorso non contiene alcuna delle suddette analitiche indicazioni.

3. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo. Segue il raddoppio del contributo unificato.

PQM

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna B.A. alla rifusione in favore di Be.Lu. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.300, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna B.A. alla rifusione in favore di C.L. & C. s.n.c. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.300, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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