Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24904 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/10/2019, (ud. 12/04/2019, dep. 04/10/2019), n.24904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Mario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11399-2018 proposto da:

INTERPORTO SERVIZI CARGO SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, INTERPORTO CAMPANO SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, CORSO

D’ITALIA 102, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLO MISASI, che

le rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

RAIL TRACTION COMPANY SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4,

presso lo studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ARTHUR FREI, LUKAS

VON LUTTEROTTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO

SEZIONE DISTACCATA di BOLZANO, depositata il 17/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 17/1/2018, la Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, tra le restanti statuizione, per quel che ancora rileva in questa sede, ha condannato la Interporto Campano s.p.a. e la Interporto Servizi Cargo s.p.a. al pagamento, in favore della Rail Traction Company s.p.a., di somme a quest’ultima dovute a titolo di integrazione del c.d. minimo garantito di forniture di servizi contrattualmente convenuto tra le parti;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, muovendo dall’interpretazione della risoluzione consensuale dei pregressi rapporti contrattuali, stipulata dalle parti nel dicembre del 2010, queste ultime non avessero inteso in alcun modo travolgere il diritto, ritenuto come acquisito dalla Rail Traction Company s.p.a., al conseguimento del ridetto “minimo garantito” riferito al periodo anteriore all’accordo di risoluzione, con la conseguente conferma della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva riconosciuto la fondatezza della corrispondente pretesa della Rail Traction Company s.p.a.;

che, avverso la sentenza d’appello, la Interporto Campano s.p.a. e la Interporto Servizi Cargo s.p.a. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

che la Rail Traction Company s.p.a. resiste con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. le parti hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, le società ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1362,1363,1372 e 1458 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente applicato le richiamate regole legali di ermeneutica contrattuale, avendo trascurato la considerazione complessiva del testo negoziale interpretato, ed essendo ricorsa illegittimamente al criterio del comportamento complessivo delle parti in presenza di espressioni negoziali di carattere inequivoco;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 dei 18/11/2003, Rv. 568253);

che, nel caso di specie, le odierne società ricorrenti si sono limitate ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, il preteso tradimento, da parte dei giudici di merito, della comune intenzione delle parti (ai sensi dell’art. 1362 c.c.), nonchè la scorrettezza dell’interpretazione complessiva attribuita ai termini dell’atto negoziale (ex art. 1363 c.c.), orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale (sulla scia di quella fatta propria dai primo giudice), non già attraverso la prospettazio-ne di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., n. 3) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;

che, sul punto, è appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione delle dichiarazioni negoziali in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, nè spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà, per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze, sì da sfuggire integralmente all’odierna censura avanzata dalle ricorrenti in questa sede di legittimità;

che, con il secondo motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente attribuito un qualificante significato interpretativo al comportamento processuale parzialmente acquiescente delle odierne ricorrenti in relazione a taluni punti della sentenza di primo grado;

che il motivo è inammissibile;

che, sul punto, osserva il Collegio come l’argomento interpretativo espressamente censurato dalle società ricorrenti compare, nella trama complessiva della motivazione elaborata dal giudice a quo, alla stregua di un mero passaggio incidentale, privo di decisiva o determinante incidenza, avendo la corte territoriale (e, prima ancora, il giudice di primo grado) concretamente legato il senso della decisione assunta al vigore logico di ben altri passaggi argomentativi di carattere testuale e comportamentale (diversi dalla dedotta acquiescenza processuale), nel loro complesso autonomamente idonei, di per sè, a dar conto della decisione impugnata, pur a prescindere dal valore logico dell’occorrenza contestata;

che, pertanto, varrà rilevare l’inammissibilità della censura in esame per difetto di decisività;

che, con il terzo motivo, e ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale asseritamente trascurato la considerazione del fatto decisivo costituito dalla logica incompatibilità della conservazione del cosiddetto minimo garantito in relazione al complessivo assetto di interessi delle parti, così come venutosi configurando nel tempo anche in relazione alle scelte imprenditoriali della società avversaria;

che il motivo è inammissibile;

che, sul punto, osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

che, secondo l’interpretazione venutasi consolidando nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciiiabiii o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

che, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza delle società ricorrenti deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5 citato, bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, conseguentemente, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate – a cui la memoria da ultimo depositata dalle ricorrenti non arreca decisivi apporti argomentativi di segno contrario – dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna delle società ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 150/0, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis,.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 12 aprile 2018.

Depositato in cancelleria il 4 ottobre 2019

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