Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24902 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 06/12/2016, (ud. 29/09/2016, dep. 06/12/2016), n.24902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20478/2010 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende,

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 36/29/2009, depositata il 09/06/2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29

settembre 2016 dal Relatore Cons. Dott. Emilio Iannello;

udito per la ricorrente l’Avvocato dello Stato Bruno Dettori;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, il quale ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata in data 9/6/2009 la C.T.R. del Piemonte confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da M.A., consulente tecnico nel settore automobilistico, avverso la cartella di pagamento nei suoi confronti emessa, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-bis, per il pagamento dell’Irap dovuta per l’anno 2003.

Respinta la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo, sulla base del rilievo che “soltanto con la tempestiva impugnazione della cartella è possibile contestare la debenza del tributo”, nel merito i giudici d’appello escludevano la sussistenza dei presupposti d’imposta.

2. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate sulla base di tre motivi.

L’intimato non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19”.

Premesso che la cartella impugnata è stata emessa a seguito della liquidazione automatizzata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, sostiene che “impugnare per vizi propri (ex art. 19 D.Lgs. cit.) la cartella ex art. 36-bis D.P.R. cit., significa rilevare che non è stato tenuto conto di uno o più versamenti effettuati o che non sono stati considerati alcuni errori formali eventualmente commessi nella dichiarazione ovvero che siano state compilate per errore parti della dichiarazione di non spettanza del contribuente”, ma non dedurre censure esclusivamente in punto di sussistenza o meno dei presupposti Irap.

4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e, segnatamente, del principio che attribuisce al contribuente l’onere della prova del fatto costitutivo della pretesa di rimborso dell’imposta e, quindi, dell’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione, avendo la C.T.R. deciso sulla base delle sole dichiarazioni fatte in tal senso dal contribuente.

5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. omesso di valutare i dati desunti dall’anagrafe tributaria ed esposti dall’ufficio nel corso del giudizio, dai quali risultava che il contribuente, a fronte di compensi per Euro 37.439,00, aveva sostenuto spese per Euro 9.522,00, con una incidenza superiore al 25% sull’intero reddito.

6. E’ infondato il primo motivo di ricorso.

Come questa Corte ha chiarito con ferma giurisprudenza, in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante, con conseguente sua impugnabilità, D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 19, anche per contestare il merito della pretesa impositiva (v. ex aliis Cass., Sez. 5, n. 12288 del 12/06/2015, non mass.; Sez. 5, n. 1263 del 22/01/2014, Rv. 629155).

Per converso, varrà rammentare che, secondo altrettanto pacifico indirizzo, le dichiarazioni fiscali, in particolare quelle dei redditi, non sono atti negoziali o dispositivi, nè costituiscono titolo dell’obbligazione tributaria, ma sono dichiarazioni di scienza e, quindi, salvi casi particolari, possono essere liberamente modificate dal contribuente, anche in sede processuale; pertanto, la dichiarazione, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico (v. Sez. 5, n. 29738 del 19/12/2008, Rv. 606025; Sez. 5, n. 1708 del 26/01/2007, Rv. 595660), derivandone altresìper logica conseguenza che l’impugnazione della cartella esattoriale, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, non è preclusa dal fatto che l’atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione.

7. Il secondo motivo è parimenti infondato.

Occorre anzitutto precisare che, diversamente da quanto postulato dalla ricorrente, quella proposta dal contribuente non va considerata istanza di rimborso ma mera contestazione (legittima per quanto sopra detto) della pretesa impositiva, ancorchè quest’ultima sia veicolata da cartella di pagamento emessa D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-bis, sulla base della dichiarazione presentata dallo stesso contribuente.

E’ pur vero nondimeno che se, di regola, ove il contribuente contesti la fondatezza della pretesa impositiva, è l’amministrazione ad essere gravata dell’onere di provare la sussistenza dei relativi presupposti, non può tuttavia obliterarsi il dato che, nel caso della cartella esattoriale emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis D.P.R. cit., l’amministrazione opera, in assenza di alcuna tipica attività di accertamento, sulla base dei dati stessi ricavabili dalla dichiarazione presentata dal contribuente (i quali, nella specie, secondo premessa in fatto pacifica in causa, attestavano la debenza del tributo) e alla stregua di un riscontro puramente formale dell’omesso versamento d’imposta, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell’amministrazione. Ciò inevitabilmente pone il contribuente che intenda opporsi alla cartella che di quella dichiarazione – e del successivo omesso pagamento dell’importo da essa risultante – costituisce automatica conseguenza, nella condizione di dovere (ossia, più propriamente, di essere gravato dall’onere processuale di) preliminarmente allegare e dimostrare l’erroneità in parte qua della dichiarazione e/o degli elementi da essa oggettivamente ricavabili.

Nel caso di specie, tuttavia, non si ricava affatto dalla sentenza l’applicazione di una regola di giudizio diversa da quella esposta, nè si desume in particolare che la C.T.R. – come genericamente dedotto dalla ricorrente – abbia deciso sulla base di quanto semplicemente affermato dal contribuente, leggendosi al contrario nella sentenza l’espressa indicazione che, al convincimento secondo cui “il valore deì beni strumentali utilizzati per lo svolgimento della professione non è tale da giustificare l’esistenza di un’autonoma organizzazione”, i giudici d’appello sono pervenuti sulla base dello “esame della documentazione allegata”.

8. Il terzo motivo è poi inammissibile perchè generico.

L’Agenzia non specifica gli elementi che la C.T.R. non avrebbe adeguatamente considerato nel giungere alla conclusione della insussistenza, nella fattispecie, del requisito d’imposta, nè mette questa Corte in condizioni di verificare direttamente la decisività degli stessi.

Il riferimento al mero complessivo ammontare delle spese sostenute dal contribuente si rivela inidoneo a palesare la sussistenza di un vizio nel percorso logico a fondamento della valutazione esposta di insussistenza del presupposto d’imposto, trattandosi di dato di per sè neutro e poco significativo rispetto all’obiettivo dimostrativo.

9. Il ricorso va quindi, in definitiva, rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 800,00, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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