Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 249 del 12/01/2010

Cassazione civile sez. I, 12/01/2010, (ud. 28/09/2009, dep. 12/01/2010), n.249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26015/2008 proposto da:

P.P. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 132, presso l’avvocato

MORGANTI Pietro, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DENTI LUDOVICA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.E.M.T. (c.f. (OMISSIS)), S.

E.M.S.P., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

DUILIO 13, presso l’avvocato FINANZE GIUSEPPA, rappresentate e difese

dagli avvocati CARTILLONE Biagio, SOLARI RITA, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2447/2 008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata l’11/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/09/2009 dal Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato PIETRO MORGANTI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per le controricorrenti, l’Avvocato GIUNIO MASSA, per delega,

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 27/5/2003, S.E.M. T., quale madre esercente la potestà sulla figlia minore S., chiedeva dichiararsi la paternità di P.P..

Costituitosi il contraddittorio, il P. chiedeva rigettarsi la domanda.

Il Tribunale per i minorenni di Roma, con sentenza in data 10/3/2005, dichiarava la paternità del P. sulla minore.

Con ricorso in appello, ritualmente depositato, il P. impugnava la predetta sentenza, proponendo varie questioni pregiudiziali chiedendo comunque che fosse esclusa la sua paternità sulla minore.

Costituitosi il contraddittorio, l’appellata chiedeva rigettarsi l’appello.

La Corte d’Appello di Roma, sezione per i minorenni, con sentenza 1/4- 11/6/2008, rigettava l’appello. Propone ricorso per cassazione il P., sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso la controparte.

Il P. ha depositato memoria per l’udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, P.P. eccepisce la nullità della sentenza di primo grado, perchè mancante dell’intestazione “Repubblica Italiana – In nome del Popolo Italiano”.

Condivide questa Corte le argomentazioni del ricorrente circa il significato e l’importanza della solenne intestazione, e tuttavia non può che rigettare il motivo: l’art. 156 c.p.c., prevede che non possa essere pronunciata la nullità per inosservanza di forma di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata per legge, e nessuna norma del codice di rito prevede che l’omessa intestazione, come sopra indicata, comporti la nullità della sentenza. Tale omissione non comporta alcuna assenza di requisito indispensabile per il raggiungimento dello scopo della sentenza stessa. Essa costituisce dunque fattispecie di mero errore materiale, emendabile ex artt. 287 e 288 c.p.c. (al riguardo, Cass. S.U. n. 550 del 1985).

Il motivo va pertanto rigettato.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo, richiamando la disciplina della procedura camerale, e ritenendo non conforme a Costituzione un “modulo processuale, quale quello previsto dall’art. 737 c.p.c., e segg.”. Il motivo va dichiarato inammissibile per carenza di interesse e genericità. Il ricorrente non solleva questione di legittimità costituzionale nè lamenta eventuali lesioni del suo diritto ovvero impossibilità di farlo valere, in conseguenza del rito camerale e delle decisioni assunte dal primo giudice e da quello di appello.

Con il terzo motivo, lamentando violazione di legge e carenza di motivazione, il ricorrente contesta la valutazione (ritenuta inconsistente) della propria condotta processuale: egli non avrebbe accettato di sottoporsi all’indagine genetica (in primo grado), quando il giudice non aveva ancora disposto la relativa consulenza.

Nè avrebbe potuto ammettersi interrogatorio formale nei suoi confronti, in materia di diritti indisponibili.

Il motivo va rigettato, siccome infondato.

Come chiarisce il giudice a quo, con adeguata e non illogica motivazione, il primo giudice aveva chiesto al P. se si sarebbe assoggettato ai prelievi, in vista di una consulenza tecnica genetica; di fronte al rifiuto dell’odierno ricorrente, non dispose, ritenendola inutile, tale consulenza. Quanto all’interrogatorio formale, chiarisce il giudice a quo che esso era stato dedotto sulla circostanza relativa alla frequentazione del P. con la madre della minore, all’epoca del concepimento di questa, e in tali termini esso era sicuramente ammissibile.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge, in quanto la Corte di merito avrebbe ignorato ulteriori eccezioni di inammissibilità dell’interrogatorio formale per la tardività della sua formulazione e l’implicita rinuncia, per mancata conferma della richiesta istruttoria.

Il motivo va dichiarato inammissibile per genericità. Il ricorrente richiama le eccezioni formulate in atto di appello, senza indicarle esplicitamente nè fornire argomentazioni e giustificazioni al riguardo.

Con il quinto motivo, il P. lamenta violazione di legge e omessa motivazione: la paternità sarebbe stata pronunciata senza assunzione di alcun mezzo di prova.

Il motivo va rigettato, in quanto infondato. Ed invero ben può la causa per la dichiarazione giudiziale di paternità decidersi sulla base di elementi presuntivi. Nella specie, il giudice a quo, con adeguata e non illogica motivazione, evidenzia la condotta del P. che, dopo il rifiuto di sottoporsi alla prova genetica in primo grado, confermò tale rifiuto in appello, anche dopo che la consulenza era stata disposta; egli non rispose altresì all’interrogatorio formale. Il suo comportamento – precisa il giudice a quo – conferma e rafforza un quadro probatorio già consistente a favore della paternità (al riguardo, tra le altre, Cass. n. 13665 del 2004): richiama il giudice a quo frequenza e tempi di versamenti di somme, effettuati a favore della madre del minore, come pure l’indicazione della minore stessa, come beneficiarla di polizza assicurativa, disposta dal P. stesso). Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari ed Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010

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