Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24898 del 20/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/10/2017, (ud. 23/05/2017, dep.20/10/2017),  n. 24898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2459-2012 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

D.P.A., C.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 9873/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/01/2311 R.C.N. 6477/2006.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 17 gennaio 2011, la Corte d’Appello di Roma, confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma ed accoglieva parzialmente la domanda proposta da D.P.A. e C.A. nei confronti di Poste Italiane S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di nullità dei contratto a termine conclusi tra le parti rispettivamente per il periodo 2.5/30.6.2002 e per il periodo 1.7/30.9.2002 entrambi sulla base della seguente causale “esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002” sancendo la conversione a tempo indeterminato del rapporto e la spettanza del risarcimento commisurato a tutte le retribuzioni maturate dalla data di espletamento del tentativo di conciliazione;

– che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non assolto l’onere di specificazione che impone al datore la determinazione, già nell’accordo scritto, in modo diretto o indiretto, delle esigenze che, nel caso concreto, legittimano il ricorso al contratto a termine; legittima la conversione del rapporto; inapplicabile lo ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

– che per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l’impugnazione a sei motivi, a fronte della quale gli intimati non hanno svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

– che con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2 e art. 4, comma 2, dell’art. 12 preleggi, dell’art. 1362 c.c. e segg. e dell’art. 1325 c.c., censura il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine al mancato assolvimento dell’onere previsto dalla legge di specificazione della ragione posta a base dell’assunzione a termine del lavoratore stante il puntuale riferimento agli accordi sindacali recanti quella specificazione e versati in atti;

– che, con il secondo motivo il medesimo convincimento è censurato sotto il profilo motivazionale in relazione all’omessa considerazione dell’aspetto, qualificato come fatto controverso decisivo per il giudizio, dell’idoneità della compresenza nel contratto di più ragioni fra loro non incompatibili a porsi quali elementi di sufficiente specificazione dell’esigenza giustificativa;

– che con il terzo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2 e art. 4, comma 2, dell’art. 12 preleggi, dell’art. 1362 c.c. e segg. e dell’art. 1325 c.c., censura il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine al mancato assolvimento dell’onere previsto dalla legge di specificazione della ragione posta a base dell’assunzione a termine del lavoratore conseguente all’indicazione nel contratto individuale di una pluralità di causali giustificative;

– che il quarto motivo, rubricato con riguardo alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 c.c., artt. 115,116,244 e 253 c.p.c. e art. 421 c.p.c., comma 2, è inteso a censurare il malgoverno da parte della Corte territoriale delle regole sulla ripartizione dell’onere della prova, accollato alla Società medesima in contrasto con la presunzione desumibile dal sistema della legge circa la ricorrenza delle invocate esigenze, superabile con onere della prova a carico del lavoratore e, comunque, di non aver consentito alla Società di assolvere a tale onere, pur ad essa non incombente, non ammettendo i mezzi di prova richiesti, anche eventualmente valendosi dei propri poteri istruttori d’ufficio;

– che, con il quinto motivo il convincimento circa il mancato assolvimento dell’onere di specificazione delle esigenze legittimanti il ricorso all’assunzione a termine è censurato sotto il profilo motivazionale in relazione alla mancata ammissione dell’istanza istruttoria, qualificata come fatto controverso decisivo per il giudizio, intesa ad attestare l’effettività dei processi di mobilità anche con riguardo all’unità produttiva di adibizione dei lavoratori interessati;

– che il sesto motivo, attraverso la denuncia della violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1218,1219,1223,2094,2099 e 2697 c.c., è inteso a censurare l’erroneità della pronunzia della Corte territoriale in ordine alle conseguenze sanzionatorie della dichiarata nullità del termine e ciò anche con riguardo allo ius superveniens di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32.

– che i primi cinque motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, risultano infondati, dovendosi, per un verso, condividere, in armonia con i precedenti pronunciamenti di questa Corte (cfr. già Cass. n. 2279/2010), l’interpretazione che del disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ha accolto la Corte territoriale nel senso della necessaria specificazione già nell’accordo scritto, sebbene anche per relationem alle causali all’uopo recate dai contratti collettivi, delle ragioni che, in concreto e, dunque, con riferimento al singolo contratto, giustificano l’apposizione del termine, ai fini dell’individuazione delle reali esigenze tenute presenti dal datore e del controllo circa la loro effettività e, per altro verso, ritenere l’adeguatezza dell’iter valutativo, comprensivo dell’analisi degli accordi collettivi richiamati nel contratto individuale, che sostiene il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine al mancato assolvimento del predetto onere di specificazione;

che, di contro, il sesto motivo merita accoglimento, stante l’applicabilità nella specie del regime sanzionatorio dell’illegittimità del contratto a termine di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7, (cfr. tra le altre Cass.12.8.2015 ed i precedenti ivi richiamati) e l’irrilevanza dell’avvenuta abrogazione dei predetti commi 5 e 6 ad opera del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 55, lett. f), (vedi, da ultimo, Cass. 7132/2016);

che, dunque, respinti gli altri motivi di ricorso, va accolto l’ultimo nei sensi di cui in motivazione e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, la quale dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr. per tutte, Cass. n. 14461/2015) con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi dalla data della pronuncia giudiziale dichiarativa dell’illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr., per tutte, Cass. 3062/2016), disponendo altresì per l’attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie l’ultimo motivo nei sensi di cui in motivazione, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2017

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