Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24897 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 25/11/2011), n.24897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresentata e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1578/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/11/2006 R.G.N. 1013/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega PESSI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario che ha concluso per inammissibilità del quarto motivo

del ricorso, rigetto dei rimanenti motivi.

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

La Corte rilevato che:

il giudice d’appello di Firenze, confermando la sentenza di prime cure, ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra il lavoratore indicato in epigrafe e Poste Italiane s.p.a. e la conseguente instaurazione fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni dalla data della costituzione in mora;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Poste Italiane s.p.a. affidato a quattro motivi – illustrati da memoria, il lavoratore non ha svolto attività difensiva;

con riferimento all’assunzione del lavoratore in epigrafe assunto con contratto a termine stipulato in data 4 novembre 1999 a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane la Corte territoriale, premesso che l’accordo de quo era disciplinato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 attribuendo rilievo decisivo al fatto che le parti avevano fissato il limite del 30 aprile 1998 alla possibilità di procedere con assunzioni a termine ha ritenuto il contratto a termine in esame illegittimo in quanto stipulato in epoca posteriore;

il Collegio, in esito alla odierna udienza di discussione ha disposto che la motivazione sia redatta in forma semplificata;

il primo ed il secondo motivo del ricorso, che si concludono, rispettivamente con i seguenti quesiti di diritto: 1 “se in caso di risoluzione di un rapporto di lavoro a tempo determinato per superamento del periodo di comporto, debba applicarsi la relativa disciplina contrattuale compresa quella relativa al periodo di comporto per malattia o nel caso in cui venga, successivamente, dichiarata la nullità del termine al contratto a tempo determinato debba applicarsi la relativa disciplina contrattuale compresa quella del comporto”, 2. “se è vero in virtù della delega in bianco contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 l’autonomia sindacale investita da funzioni paralegislative non incontra limiti ed ostacoli di sorta nella tipologia dei nuovi contratti a termine in relazione alle ipotesi che ne legittimano la conclusione, per cui gli accordi successivi a quello del 25.9.1997 non hanno una natura negoziale bensì ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto e se la norma contrattuale debba necessariamente prevedere una specificazione della causale collettiva in una causale individuale”, non sono scrutinatali considerato che le denuncie, facendo riferimento alla contrattazione collettiva, dovevano essere, a mente dall’art. 366 c.p.c., n. 6 – così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 5 – accompagnate dalla specificazione della sede processuale di merito dove i ccnl di riferimento sono rintracciabile e tanto anche in funzione di quanto dispone l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, prevedente un ulteriore requisito di procedibilità del ricorso (Cass. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. 23 settembre 2009 n. 20535 e Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161, nonchè Cass. 24 febbraio 2011 n. 4530); nè del resto vi è trascrizione nel ricorso del contenuto delle clausole collettive che interessano;

il terzo motivo ed il quarto motivo, con i quali si chiede, a norma del richiamato art. 366 bis c.p.c., rispettivamente: 1. “se nel caso di notevole lasso di tempo intercorso tra la data di scadenza del rapporto a termine tra le parti e quella in cui il lavoratore si è attivato per far valere il diritto di conversione del rapporto di lavoro, il Giudice debba valutare – eventualmente in concorso con altre indicative circostanze di fatto – la volontà tacita del lavoratore, espressa in fatti concludenti, di risolvere il rapporto rinunciando a far valere l’eventuale illegittimità del termine apposto al contratto” 2. “se nel caso di oggettiva difficoltà della parte di acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondate la prova a supporto delle proprie domande o eccezioni – segnatamente per la prova dell’aliunde perceptum – il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole (con apposita motivazione) solo quando gli elementi somministrati da richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto”, sono inammissibili per genericità del relativo quesito;

invero tali quesiti prescindono del tutto dalla ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata e si risolvono nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia e come tale non è idoneo ad assolvere alla sua funzione;

questa Corte ha affermato, infatti, che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759), – il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile;

nulla per le spese del giudizio di legittimità non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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