Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24897 del 15/09/2021

Cassazione civile sez. III, 15/09/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 15/09/2021), n.24897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21093-2018 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO N

12, presso lo studio dell’avvocato MAURO TORCIANO, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUIGI LOMIO;

– ricorrente –

contro

CA.MA., e CA.MA.PI., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DI TOR CALDARA, 5, presso lo studio dell’avvocato MARIA

GERARDI, rappresentati e difesi dall’avvocato EMANUELE BRUNETTI;

– controricorrenti –

nonché contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 178/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 06/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/03/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con ordinanza del 3.7.2007, il Tribunale di Melfi accolse il ricorso per denunzia di danno temuto proposto dai coniugi M. e Ca.Ma.Pi. nei confronti del Condominio (OMISSIS) e di C.A., ordinando al primo di eseguire opere già deliberate dall’assemblea condominiale e alla C. di consentire l’accesso alla terrazza in uso esclusivo (sovrastante l’appartamento dei ricorrenti) per l’effettuazione di dette opere; con lo stesso provvedimento, il Tribunale condannò i resistenti al pagamento delle spese di lite;

con atto di citazione notificato il 16.7.2007 e depositato in Cancelleria il giorno successivo, la C. propose appello avverso l’anzidetta ordinanza;

la Corte di Appello di Potenza ha dichiarato l’inammissibilità del gravame, ritenendo che l’ordinanza fosse soggetta esclusivamente a reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.; ha affermato, infatti, che “all’ordinanza impugnata non può che attribuirsi la natura di provvedimento non decisorio a efficacia provvisoria, in quanto palesemente ed agevolmente riconducibile ad un giudizio di nunciazione ancora in fase cautelare, contro cui poteva e doveva essere esperito l’unico rimedio previsto dal codice di rito, ossia il reclamo. Dal che discende l’inammissibilità dell’appello”; ha conseguentemente condannato l’appellante al pagamento delle spese di lite, liquidandole in 3.697,00 Euro, “tenuto conto del valore della causa (valore dei lavori stimato in Euro 12.480,00) ed applicati i valori medi”;

ha proposto ricorso per cassazione C.A. affidandosi a tre motivi; hanno resistito i Ca. con controricorso;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..;

il P.M. ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento degli altri due; parte resistente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 121,156 e 159 c.p.c.. Omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione, con riferimento alla mancata conversione dell’atto di appello in atto di reclamo. Fondatezza dell’impugnazione”;

premesso che l’atto di appello (una volta notificato) era stato depositato in Cancelleria entro il termine di quindici giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, e quindi entro il termine previsto per proporre reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., la ricorrente assume che lo stesso presentava tutti i requisiti formali e sostanziali del reclamo e la circostanza che avesse veste di atto di citazione anziché di ricorso non ostava alla possibilità di produrre gli effetti del secondo una volta che era stato rispettato il termine per il deposito in Cancelleria; da ciò conseguirebbe – secondo l’assunto della C. – che “la Corte di Appello di Potenza, invece di dichiarare inammissibile l’impugnazione, avrebbe dovuto, previa conversione dell’atto denominato “atto di appello”, esaminare l’impugnazione e decidere nel merito la causa”; e ciò in quanto, “a mente degli artt. 121,156 e 159 c.p.c.(…), le forme degli atti del processo sono liberi, non può essere pronunciata nullità per inosservanza di forma di un atto e l’atto produce effetti ai quali è idoneo”;

a sostegno della sua richiesta di accoglimento del primo motivo, il P.M. ha osservato che:

il reclamo avverso l’ordinanza cautelare del Tribunale andava proposto avanti allo stesso Ufficio, in composizione collegiale, ex art. 669 terdecies c.p.c., mente l’atto di appello era stato proposto con citazione a comparire avanti alla Corte di Appello, ancorché la costituzione in giudizio dell’appellante fosse avvenuta entro il termine perentorio di 15 giorni previsto per il reclamo cautelare;

“non vi è ragione per distaccarsi da quell’orientamento di legittimità che non limita la translatio judicii alla sola trasmissione del processo, in senso orizzontale, tra giudici del medesimo grado, consentendola, invece, anche alla trasmissione fra i giudici di diverso grado ed anche nelle fasi di impugnazione” (in tal senso vengono richiamate Cass., S.U. n. 18121/2016, Cass. n. 24274/2017, Cass. n. 8155/2018 e Cass. n. 15463/2020);

“nel caso, oltre all’errore dell’individuazione del giudice competente per grado, vi sarebbe anche un errore di individuazione del rito da adottare: non quello ordinario di impugnazione, ma quello di cui all’art. 669-terdecies c.p.c., per le impugnazioni cautelari. Ma nemmeno tale errore rileva, a meno che non si assuma una violazione del termine perentorio per l’introduzione del gravame esatto. Il che, nel caso di specie non è avvenuto”;

peraltro, il gravame proposto rispettava anche i requisiti formali del reclamo, che “non soggiace ai limiti previsti per l’atto di appello (…), per cui l’ammissibilità del reclamo cautelare è sottoposta ad una valutazione meno rigorosa di quella propria dell’appello”;

ritiene il Collegio che il motivo sia infondato, in quanto:

la giurisprudenza concernente la sanatoria, in via conversione, dell’atto proposto con citazione anziché con ricorso, purché il primo sia non soltanto notificato ma anche depositato in cancelleria entro il termine previsto, non giova a sanare l’errore in cui è incorsa la C. che, prima ancora che errare nella scelta della forma (atto di citazione anziché ricorso) e nell’individuazione del giudice competente (Corte di Appello anziché Tribunale in composizione collegiale), ha errato nella scelta del rimedio impugnatorio, che non poteva essere l’appello, ma esclusivamente il reclamo cautelare;

un tale errore osta anche all’applicazione dei principi richiamati dal P.M. in punto di transiatio judicii, giacché la stessa Cass., S.U., n. 18121/16 ha avuto cura di precisare (a pag. 30) che la transiatio fra giudici di diverso grado opera “sempre che la scelta del mezzo di impugnazione sia corretta”;

e in tal senso milita la successiva giurisprudenza di legittimità: si vedano, ex multis, Cass. n. 25078/2016 (che ha affermato che “l’erronea individuazione del mezzo di impugnazione (…) impedisce l’insorgenza di alcun obbligo per il giudice adito di operare la transiatio iudicii”, in favore del giudice competente sul corretto mezzo d’impugnazione, e ciò in ragione della inammissibilità radicale ed insanabile della impugnazione erroneamente proposta dinanzi al giudice funzionalmente incompetente per grado”, e ha evidenziato – in motivazione – come le SS.UU del 2016 affermino il principio della translatio “esclusivamente in relazione ad un’impugnazione pur sempre proposta in modo corretto ed ammissibile e, quindi, nell’ambito di un mezzo di impugnazione idoneamente individuato”), Cass. n. 5712/2020 e Cass. n. 10419/2020;

né, peraltro, risulta pertinente il richiamo del P.M. (in nota) a Cass. n. 15463/20, giacché, nel caso esaminato da tale pronuncia, la translatio judicii dalla Corte di appello al Tribunale è stata ritenuta possibile a fronte della corretta individuazione del mezzo impugnatorio attivato (reclamo in materia di volontaria giurisdizione);

una volta assodato che il mezzo prescelto dalla C. era errato (e tale da non consentire alcuna translatio al giudice che sarebbe stato competente per un diverso tipo di impugnazione), non rileva, ovviamente, che l’atto di appello contenesse i requisiti formali e sostanziali del reclamo o che l’iscrizione a ruolo dell’appello sia avvenuta entro il termine in cui avrebbe dovuto essere proposto il reclamo;

il motivo e’, inoltre, inammissibile nella parte in cui denuncia un vizio di motivazione in termini (di omissione, contraddittorietà e insufficienza) non più prospettabili ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5;

il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e “omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione con riferimento alla omessa pronuncia di compensazione delle spese del giudizio”: la ricorrente assume che, “attesi contrasti e mutamenti giurisprudenziali, la Corte territoriale avrebbe dovuto procedere alla compensazione delle spese del giudizio;

il motivo è inammissibile sia perché – come il precedente – deduce il vizio motivazionale secondo parametri non più vigenti, sia in quanto – a tacer d’altro – non è sindacabile in sede di legittimità la scelta del giudice di merito di non avvalersi della facoltà di compensazione delle spese processuali. (Cass. Sez. Un., n. 14989 del 2005).

col terzo motivo (che denuncia anch’esso la violazione degli artt. 91 e 92 e l’omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione, nonché “omesso compiuto esame degli atti del giudizio in cui è dichiarato il valore della controversia. Violazione dell’art. 10 c.p.c.”), la ricorrente censura la sentenza per avere liquidato le spese di lite sulla base di un valore della controversia superiore a quello effettivo; invero, assume che la Corte aveva fatto riferimento al costo stimato delle opere occorrenti per eliminare le infiltrazioni dal terrazzo (Euro 12.458,00), mentre il valore della controversia doveva essere ragguagliato ai danni subiti dall’appartamento dei Ca. (Euro 1.811,08);

il motivo, inammissibile laddove denuncia il vizio motivazionale in termini non consentiti, è parimenti inammissibile in relazione alle altre violazioni denunciate, che sono prospettate senza osservare la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, giacché non risultano fornite le indicazioni necessarie a localizzare gli atti che attesterebbero il minor valore della causa;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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