Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24896 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 25/11/2011), n.24896

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato PAROLETTI CAMILLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.F.L.;

– intimata –

e sul ricorso 322-2008 proposto da:

D.F.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO

21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SCAVONE MAURIZIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato PAROLETTI CAMILLO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1787/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/12/2006 R.G.N. 479/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega PAROLETTI CAMILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso e conferma

sentenza con correzione ex art. 384 c.p.c..

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

La Corte rilevato che:

il giudice d’appello di Torino, riformando la sentenza di prime cure, ha dichiarato la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato, per il periodo dal 31 marzo 2000 al 30 giugno 2000, tra le suddette parti per esigenze eccezionali, con conseguente instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato e condanna della società al pagamento delle retribuzioni dalla data della costituzione in mora;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Poste Italiane s.p.a. affidato a un unico motivo, il lavoratore ha resistito con controricorso ed ha proposto impugnazione incidentale condizionata illustrata da memoria; Poste Italiane ha notificato controrivorso avverso il ricorso incidentale;

con riferimento all’assunzione del nominato lavoratore con contratto a termine stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane la Corte territoriale, attribuendo rilievo decisivo alla mancanza di prova delle particolari esigenze in relazione allo specifico caso dedotto in giudizio, ha ritenuto il contratto a termine in esame illegittimo;

la suddetta impostazione è stata ampiamente censurata dalla società ricorrente la quale contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi;

il lavoratore con il ricorso incidentale condizionato deduce l’omessa motivazione in ordine alla data della stipula del contratto a termine esaminato e dei successivi contratti a termine;

il Collegio ha disposto, all’esito dell’odierna udienza, che la motivazione venga redatta in forma semplificata;

riuniti i ricorsi quello principale risulta infondato;

con numerose sentenze questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione . .), dopo il 30 aprile 1998;

premesso, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di la sopra ricordata giurisprudenza di legittimità ha osservato in particolare che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453);

ha rilevato altresì che tale interpretazione è rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866); ha, infine, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141);

il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti;

conseguentemente, sia pure correggendosi, ex art. 384 c.p.c., la motivazione, la sentenza impugnata va confermata trattandosi di contratto a termine stipulato per un periodo successivo alla scadenza dell’ultima proroga e, quindi, come tale privo del presupposto normativo legittimante;

il ricorso incidentale rimane assorbito;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale condizionato e condanna la società ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi, oltre Euro 2.500,00 per onorario e oltre spese IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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